Quali effetti sta producendo sul mercato del lavoro il combinato disposto degli sgravi contributivi previsti dalla legge di stabilità – in vigore dal primo gennaio 2015 – e della nuova disciplina dei licenziamenti introdotta dal decreto attuativo del Jobs Act operativo dal 7 marzo 2015?
Nonostante importanti decreti non abbiano ancora visto la luce, politiche attive in primis, l’impatto occupazionale di quanto già disposto dall’esecutivo è costantemente al centro dell’osservazione di istituzioni e organi di stampa. Vi si rivolge un’attenzione particolare da quando, circa un mese fa, il neo Presidente dell’Inps Tito Boeri ha reso noto agli organi di informazione il dato relativo al numero di imprese che avevano fatto richiesta di poter accedere alla decontribuzione. Si trattava di 76mila aziende, numero che era stato subito assunto come indice del rilancio delle assunzioni. Il dato era però indicativo solo dell’interesse suscitato dagli incentivi economici. Non vi si poteva leggere né il numero esatto di assunzioni, auspicabilmente più di una per impresa, né l’influenza delle novità normative, trattandosi di richieste raccolte prima dell’entrata in vigore del contratto a tutele crescenti. Mettendo in guardia rispetto alla qualità dei numeri forniti, Boeri aveva infatti rimandato la pubblicazione dei dati completi a fine maggio.
Era stato poi direttamente il Ministro Poletti a rendere noti i dati sulle comunicazioni obbligatorie, anticipando la consueta pubblicazione trimestrale, ossia senza attendere i dati consolidati. Tra gennaio e febbraio del 2015 erano stati attivati 79 mila contratti a tempo indeterminato, il 38,4% in più rispetto agli stessi mesi del 2014. A seguito dell’interesse suscitato dall’annuncio il Ministero aveva poi scelto di diffondere tabelle più dettagliate, dove si leggeva che il saldo tra attivazione e cessazioni di contratti a tempo indeterminato nel periodo dava come risultato 45.703. I dati su Occupati e disoccupati pubblicati dall’Istat il giorni dopo hanno poi condotto il dibattito verso la confusione. Il report dell’istituto riportava rispetto a febbraio 2014 una diminuzione degli occupati dello 0,2% su base mensile e una disoccupazione in aumento dello 0,7% (+23 mila). Il dato che aveva destato più preoccupazione era però quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni che mostrava un lieve incremento (+0,1%) rivelando quindi un sostanziale stallo rispetto ai due mesi precedenti.
I dati Istat, quelli del Ministero e dell’Inps erano non erano in realtà paragonabili tra loro trattandosi di rilevazioni statistiche i primi e di attivazioni e cessazioni direttamente conteggiare i secondi. Nonostante ciò la pubblicazione di ulteriori dati provenienti dall’Inps sui rapporto di lavoro attivati a Gennaio e Febbraio negli ultimi tre anni, ha condotto a forti critiche rivolte all’entusiasmo del Governo. Da quel set di dati risultava infatti una differenza tra nuovi contratti 2015 e 2014 di sole 13 unità. Per spiegare l’apparente contradditorietà dei dati, da quel momento si è cominciata a sottolineare a più riprese l’importanza qualitativa piuttosto che quantitativa dei dati di attivazioni e cessazioni; in particolare da quando l’Osservatorio Lavoro Veneto ha fornito i primi dati comprendenti gli andamenti di marzo. Sino a quel momento si trattava infatti ancora di valori che escludevano il primo periodo di vigenza delle tutele crescenti. I dati del Veneto confermavano la forte crescita del tempo indeterminato con un aumento delle assunzioni del 18% a gennaio, +46% a febbraio e del +71% a marzo. Si poteva però già osservare la prevalenza dell’effetto sostitutivo piuttosto che aggiuntivo. Come ha segnalato Francesco Riccardi su Avvenire, secondo i dati veneti Il 12% degli assunti a tempo indeterminato non risultava aver avuto precedenti esperienze di lavoro. In altre parole si poteva desumere che i nuovi contratti a tempo indeterminato fossero frutto di sostituzione di altri contratti nell’88% dei casi.
Stessa analisi possibile con i dati provenienti dalla provincia di Milano, dove nel mese di marzo i contratti a tempo indeterminato sono aumentati del 50%, ma dove al contempo la curva di tendenza delle imprese attive sul mercato del lavoro con almeno un avviamento nel mese risulta ferma, “mentre in una condizione di sviluppo economico, vista la base produttiva composta da imprese di piccole dimensioni, dovrebbe crescere parallelamente alla crescita degli avviati”. Conclusione: “Le misure poste in essere dal governo hanno dunque effettivamente avuto un impatto sulla scelta della tipologia contrattuale, a vantaggio del contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti, ma non hanno creato nuova occupazione attraverso l’incremento di nuove opportunità di lavoro”.
Pochi giorni fa, durante un intervento all’Università Luiss di Roma, il ministro Poletti ha anche definito un nuovo obbiettivo per le stabilizzazioni: «Il governo riterrà di aver centrato l’obiettivo – ha detto Poletti – se alla fine di quest’anno grazie al Jobs act ci sarà il 10% in più di contratti a tempo indeterminato». L’efficacia degli incentivi economici conduce i più a ritenere necessaria una loro stabilizzazione anche per le assunzioni relative al 2016. A riguardo Poletti alla Luiss ha affermato che «il contratto a tutele crescenti deve diventare […] un contratto che costa strutturalmente meno». Secondo il Viceministro dell’Economia Enrico Morando il governo starebbe inoltre ragionando su come replicare lo sgravio contributivo rendendolo «selettivo e meno intenso».
Visti gli esempi precedenti di fallimento di incentivi dedicati a fasce giovani o svataggiate (vedi l’esperienza di quelli predisposti dal pacchetto Letta nel 2013) ci si chiede in che modo il Governo abbia intenzione di introdurre una condizionalità efficace. Si tratta di una questione importante. Non pare al momento delinearsi all’orizzonte un decisa spinta alle assunzioni di giovani che possa intaccare quella disoccupazione giovanile oltre il 42%. L’effetto delle misure adottate sta comportando infatti un importante miglioramento qualitativo dei rapporti di lavoro che, trattandosi di sostituzioni di contratti già esistenti, interessa in prevalenza lavoratori già dotati di esperienza.
Fatto che desta qualche preoccupazione se si pensa che le misure dedicate ai giovani non godono di particolare fortuna. L’ormai nota difficoltà di funzionamento del programma Garanzia Giovani fa il paio con l’arretramento dell’apprendistato, unico contratto di lavoro caratterizzato da una componente formativa e riservato agli under 29. Solo per stare ai dati provenienti dalla lombardia il boom del 113% delle assunzioni a tempo indeterminato tra gennaio e febbraio era accompagnato da calo conseguente dell’apprendistato del 29,4%, fatto che si può spiegare con la maggiore convenienza economica e la maggior flessibilità normativa del contratto a tutele crescenti.
Francesco Nespoli (ricercatore Adapt)