di Oscar Fusini*
La presentazione della ricerca “Riavviare la crescita: il ruolo delle professioni nel terziario di mercato” – realizzato dall’Ufficio Studi Confcommercio e presentato nel corso del convegno “Competitività e crescita: il ruolo delle professioni del terziario”, organizzato a Roma da Confcommercio Professioni (il coordinamento delle Associazioni professionali del sistema confederale) – è stata l’occasione per analizzare una serie di proposte a sostegno delle categorie. Ovvero:
– Definizione dell’autonoma organizzazione al fine di assicurare, con certezza, l’ esclusione dall’Irap dei professionisti
– Esclusione del sistema degli Studi di settore come strumenti di accertamento
– Riduzione dell’aliquota contributiva da equiparare a quella delle altre casse (24%).
– Normazione degli aspetti della contribuzione che riguardano la gratuità della ricongiunzione e gli anni minimi di versamento.
– Aumento della trasparenza nel bilancio Inps con la messa in risalto delle posizioni dei professionisti, offerta della garanzia sui rendimenti e montanti
– Agevolazione dell’accesso al credito dei professionisti anche attraverso il sistema dei Confidi
Il manifesto
Con l’annuncio dell’estensione della sua rappresentanza, Confcommercio ha realizzato un manifesto nel quale afferma che i professionisti sono e saranno protagonisti nella crescita del paese. Il manifesto in dieci punti qualifica i valori che sono alla base dell’attività di Confcommercio Professioni. Il tutto nella consapevolezza che è importante un cambiamento culturale nel contesto socio economico che punti sulla competitività dei professionisti nell’economia dei servizi. Nel grande cambiamento che caratterizza il nostro sistema, evolvono i bisogni dei consumatori, che chiedono e chiederanno sempre di più servizi professionali, sofisticati, integrati, personalizzati e soprattutto accessibili e a prezzi più contenuti. Servizi – costantemente influenzati dalla diffusione delle nuove tecnologie e dei nuovi domini di conoscenze – che cambieranno ulteriormente la natura stessa della prestazione, alle prese con un contesto competitivo dove nuove forme di concorrenza, spesso sleale e travestita da sharing ecnomy, sono in forte ascesa. Per questo il professionista che vive di competenze e abilità, sarà attore della nascente società post industriale della conoscenza, ricoprendo un ruolo centrale nella tenuta e nello sviluppo occupazionale. Occorre, tuttavia, rafforzare le capacità operative – basandosi su una reputazione misurabile e tracciabile – e, soprattutto, agevolare un cambio della mentalità d’approccio con cui vengono considerati i professionisti e i lavoratori autonomi così da creare regole del gioco e politiche di incentivazione a misura di professionista.
I numeri dei professionisti in Italia
L’ufficio studi di Confcommercio ha elaborato una ricerca che evidenzia come l’arretratezza del nostro paese – che all’inizio degli anni ‘60 era ancora un Paese a prevalenza agricola – abbia rallentato il processo di crescita dei posti di lavoro, aumentati in 50 anni (dal 1960 al 2015) solo del 17% (64.582 posti di lavoro) contro crescite di oltre il 30 per cento in tutti i principali Paesi europei ed addirittura del 120% negli Stati Uniti. In questo lasso di tempo, l’occupazione si è terziarizzata portando i lavoratori del comparto dal 33 al 73 % degli occupati totali. L’Italia ha un grande primato (terzo posto assoluto) nel numero degli occupati indipendenti( oltre 6,2 milioni), ma nonostante questo, tra costoro solo poco meno di 1,2 milioni sono professionisti, rispetto ai quasi 2,5 milioni della Germania ed oltre 2 milioni del Regno Unito. Paghiamo quindi un ritardo culturale che penalizza sotto diversi aspetti i professionisti che nonostante tutto, dal 2008 al 2014, sono cresciuti per numero (+ 2% gli ordinistici e + 48,8% i non ordinistici) rispetto alle altre categorie.
Il futuro del Paese
Spiegare oggi la crescita numerica dei professionisti in Italia parlando solo di sbocco occupazionale sarebbe riduttivo. E’ vero che la mancanza di posti di lavoro spinge molte persone, soprattutto i giovani, ad aprire una partita Iva, ma non può essere solo questo. Altrimenti non si capirebbe come siano nate professionalità così nuove, come personal trainer, coach, formatori, esperti di marketing, consulenti informatici e altri ruoli emergenti legati alle nuove tecnologie. Anche l’assimilazione, sempre e comunque della partita Iva, al precariato vale ma non per tutti. E nel nome di una difesa a priori, sono stati trascurati passaggi che avrebbero potuto aiutare la crescita professionale di molte persone. Le partite Iva non sono solo persone senza occupazione o precarie. In primo luogo perché alla facilità di apertura si contrappone una difficoltà enorme nel rispondere ai bisogni di conoscenze e competenze dei committenti. In altri termini, non basta aprire la partita Iva per lavorare, soprattutto in periodi come questi, ma occorrono risposte di qualità, competenze e risultati per le imprese o le persone clienti. In realtà, il bisogno di lavorare in autonomia – secondo schemi nuovi e diversi da quelli del rigido rapporto di lavoro subordinato – è ambito soprattutto dai giovani. Per molti, poi, il desiderio di trovare occasione di perfezionamento e crescita professionale prevale alla necessità del posto fisso. Certo, il sistema non aiuta. Perché il ritardo nell’ambito del credito verso i professionisti, della tutela previdenziale e della creazione di un sistema di norme di tutela impediscono nel nostro Paese un reale crescita quantitativa ma anche qualitativa dei professionisti. Con la tecnologia che corre, le imprese diventano sempre più “piatte”, più orizzontali e stanno sostituendo figure una volta solo interne (dirigenti e quadri) con professionisti esterni in grado di rispondere al meglio alle esigenze del momento. Allora questo Paese deve veramente fare un salto di qualità che è soprattutto culturale, evitando spinte generaliste come, per esempio, quelle contenute nel decreto Fornero che assimilava ogni rapporto di collaborazione a un rapporto di lavoro subordinato, mentre lo stesso Governo fissava per centinaia di migliaia di persone, con reddito molto basso, aliquote contributive molto più alte degli altri. Il tutto con l’obiettivo di fare cassa anziché tutelare e senza garantire trasparenza nelle posizioni contributive, aspetto invece assolutamente necessario in un Paese civile. In un mercato sempre più complesso, e in un sistema che vede un tessuto produttivo popolato soprattutto da micro e piccole imprese, bisogna allora essere coraggiosi nel ribaltare le presunzioni. Il professionista, quello vero, deve poter svolgere la propria professione. Serve la consapevolezza che i professionisti, quelli che imposteranno la loro attività sulla tecnologia e sulla competenza, saranno i veri protagonisti della crescita dell’Italia come imprenditori delle conoscenze e saranno in grado di aiutare a traghettare il nostro sistema economico verso lo sviluppo. Per questi professionisti servono innanzitutto una casa madre che li tuteli nei passaggi fondamentali della previdenza, dell’assistenza sanitaria e normativa di riferimento, li assista sul fronte del credito e nell’accesso ai fondi strutturali e via a seguire. Confcommercio ha iniziato un percorso di approfondimento e di proposta sui temi principali che riguardano i professionisti attraverso un coordinamento nascente che potrebbe diventare Federazione e raggruppare moltissime delle sigle di rappresentanza già presenti e iscritti nell’elenco del ministero. Inoltre è allo studio il sistema della certificazione delle competenze per promuovere la crescita attraverso standard prefissati, corsi di formazione, attestazioni e crediti formativi. Questo anche per accrescere il valore della competenza e tutelare le professioni da concorrenze sleali. Per ora lo sforzo è solo nazionale e la partenza del progetto confederale. Eppure la novità delle professioni dovrebbe tradursi in una nuova integrazione tra centro e territori, che agevoleranno nuove collaborazioni tra associazioni di mestiere le strutture territoriali che vorranno aderirvi.