Nell’accelerazione del cambiamento occorre domandarsi quanto del nostro lavoro resterà stabile e quanto si modificherà. Per molti il cambiamento sarà radicale tanto nei lavori attuali quanto nelle nuove professioni che nasceranno. L’interrogativo per tutti è quali competenze serviranno per affrontare le novità sia per i già occupati sia per i futuri lavoratori. È questo il senso della ricerca ‘Futurability: l’Italia del futuro raccontata da 100 protagonisti dell’economia’, presentata in anteprima in un evento di CFMT all’hotel Excelsior Gallia di Milano lo scorso 16 aprile.
Gli stakeholders di Cfmt, Confcommercio e Manageritalia, condividono l’ipotesi di partenza che il lavoro delle persone resti centrale nelle imprese e che i processi formativi attuali siano inadeguati per rispondere al necessario innalzamento delle competenze. Da una parte esiste un sistema della formazione datato, autoreferente ed incapace di rispondere ai bisogni delle imprese.
Le imprese vorrebbero assumere ma non trovano candidati in grado di rispondere ai profili richiesti. Dall’altra le imprese italiane, inchiodate da “crescita zero”, pressione fiscale e costo del lavoro non offrono sbocchi immediatamente appetibili per i giovani talenti con la conseguente “fuga di cervelli” all’estero. Il problema si sta acuendo negli ultimi anni e i processi devono essere governati per renderli meno anarchici e dissipativi.Per Confcommercio e Manageritalia la rappresentanza delle imprese deve essere forza attiva per il cambiamento di rotta.
Con senso di responsabilità occorre partire dai limiti del modello formativo e offrire soluzioni alla politica oggi incapace da sola di risolvere il problemi del mondo economico. Il problema – come ha ricordato la vicepresidente di Confcommercio Imprese per l’Italia Donatella Prampolini – non è solo degli ingegneri per la ricerca e sviluppo delle grandi imprese.
Tocca tutte le persone e in tutti i settori, perché gli effetti saranno trasversali. Anche il terziario il commercio il turismo e i servizi. Il problema delle nuove competenze investirà tutti, commessi, camerieri e impiegati, in tutti i ruoli e in tutte le imprese, anche tradizionali, dalla grande alla piccola. Dal seminario sono emerse due tendenze di pensiero: una brutale che propone di cambiare molto e in fretta perché un terzo dei lavoratori è già fuori mercato oggi e nel giro di un triennio non potrà più ricollocarsi.
Questo è un Paese che spende molto in formazione ma disperde risorse. Se molto del futuro sarà basato sulle soft skill che peraltro sono quelle capacità difficili da produrre e da misurare allora il sistema formativo deve essere completamente reinventato. Dall’altra c’è chi sostiene che nel cambiamento epocale non si può buttare tutto ma implementare. La scuola in Italia è buona ma occorre renderla più moderna e funzionale. Nuovi canali, strumenti e modelli formativi rispetto a quelli tradizionali.
Occorre quindi innovare nella tradizione per rimettere un Paese che è tradizionalmente fermo.La proposta del presidente di Manageritialia Guido Carella in questo senso è stata forte. Occorre creare un osservatorio nazionale per studiare i cambiamenti degli scenari e trovare modelli formativi che producono maggiore occupabilità delle persone. Modelli come il sistema complessivo VET francese opera sulla base di competenze condivise tra lo Stato francese (Ministeri dell’Istruzione, Università, Lavoro, Agricoltura e Affari Sociali, ecc), le Regioni, gli enti di formazione e formazione professionale e le parti sociali che sono tutti coinvolti nella progettazione di programmi di formazione.
Sembrerebbe utopia pensare di raggiungere un’unità di intenti tra soggetti disgregati e ottenere un cambio di passo in tempi brevi ma è chiaro che qualsiasi soluzione, perché sia realmente efficace dovrà essere di grande discontinuità rispetto al passato. Difficilmente divisi e a strattoni potremo ottenere risultati tangibili.