Cocktail e drink, è tempo di cucina liquida

Cocktail e drink, è tempo di cucina liquida

image_pdfimage_print

blody mary più o menoNel mondo del bere mixato arriva una nuova tendenza che mischia le due arti portando tecniche, ingredienti e attrezzature dei ristoranti dietro il bancone dei bar. Si chiama “Cucina liquida”, arriva dagli Stati Uniti, spopola a Londra e Parigi, ed è la tendenza più trendy del momento.

Niente paura, non troveremo nel nostro bicchiere una porzione di risotto allo zafferano centrifugata: semplicemente, i cocktail vengono preparati secondo le tecniche di cucina e non quelle classiche da bar, e con prodotti destinati a un piatto e non a un bicchiere.

I cocktail tradizionali come i Martini e i frozen vengono reinventati in ricette nuove dove compaiono gelatine, spray, essenze, riduzioni, glasse, aromi e spezie. Il mixer e lo shaker fanno posto a piastre a induzione, pentole e omogeneizzatori. Il risultato sono proposte davvero insolite: Martini alle spezie, drink flambé, Margarita agli agrumi, Collins a base di centrifugati di verdura e frutta, cocktail con pomodori e persino con il cioccolato, il burro e la ricotta.

In Italia il precursore di questa nuova filosofia è Dario Comini, pluripremiato patron del Nottingham Forest di Milano, uno dei barman più quotati al mondo proprio per il suo estro innovativo. In “Mix and drink”, libro mastro della cucina liquida, spiega come ha adattato le tecniche della cucina molecolare alla stazione del bar, e realizzato nuovi cocktail con glasse, spume e gelatine, tutte realizzate in casa.

Gli accoliti di questa nuova filosofia sono ogni giorno di più: ciascuno ci “mette del suo” e dà vita a interpretazioni personali: c’è chi, come Comini, usa shaker e pentole per mixare marmellate, salse e puree e dar vita a sciroppi aromatizzati, riduzioni di liquori, infusi di distillati, spezie e puree; chi si rivolge agli amanti del bio con germogli e erbe da coltivazioni organiche; chi si ispira alle ricette della pasticceria e della cultura locale; e chi, addirittura, abbina liquori e vegetali in base a un’attenta analisi molecolare.

Il panorama spazia in tutta la Penisola: in Sicilia, a Castelvetrano, Gianluca Nardone all’Area 14 dà della Cucina liquida-Mixology l’interpretazione più golosa con i suoi “dessert drink” ispirati ai dolci tipici siciliani, il cannolo, la cassata siciliana e la cucchitedda. Gli ingredienti? Oltre a vodka e liquori vari, scaglie di cioccolato, ricotta di pecora, cubetti di latte, cannella e infusione di canditi.

A Brescia, Stefano Sabatti al Box&co Officine dello Spirito estrae dal cilindro ricette sempre nuove e su Facebook i clienti si propongono in massa per fare da cavie, mentre a Bergamo Fiorenzo Colombo, barman formatore, ha inserito la Mixology nelle sue materie di studio.

Milano, come sempre, è ancora più all’avanguardia: al Carlo e Camilla in Segheria (il locale di Cracco), Filippo Sisti alza il livello della sperimentazione con il Foodpairing, ovvero la creazione di cocktail a partire da un ingrediente a cui vengono abbinati, in base alla loro analisi molecolare, elementi del tutto insoliti. Qualche esempio? Il Blue Cheese Martini, una rivisitazione del classico Dry Martini, preparato con formaggio erborinato, vermouth, gin e un macerato di salvia e olive; lo Smoke Lavander, con noci pestate, burro caldo e whisky; e due versioni alternative del Bloody Mary, il Louisiana Soul (gin, carne salata, succo di pomodoro concentrato, pomodorini pachino, aglio, capperi, coriandolo, paprika affumicata e peperone), e il Celery Mary (centrifuga di sedano, cetriolo, pepe rosa, basilico, sale, erbe e pomodoro al naturale). La proposta più strana è però l’Easter-ismo, un drink servito nelle uova di struzzo.

Con la nuova tendenza si definisce una nuova figura professionale, il barchef, e nascono corsi che insegnano i segreti per diventarlo. Con una sorpresa inaspettata: la mixologymania sta catturando anche i bar dei piccoli paesi.

Nicola MorSpiega Nicola Mor, docente della scuola Cefos di Brescia: “Oggi, anche nel mondo del bere si tende a stancarsi presto e a cercare continue novità e nuovi gusti. Si beve e si mangia più per curiosità che per bisogno. I clienti vanno a Parigi, a Londra, assaggiano questi nuovi cocktail e quando tornano li chiedono ai loro baristi. Complici la crisi economica e i controlli alcolemici tendono a rimanere nel bar di paese, e così anche molti baristi di locali in provincia si stanno avvicinando a questa nuovo modo di lavorare”.

“Rispetto agli anni bui 80-90 quando il barman era lo studente universitario che lavorava per pagarsi gli studi – prosegue Mor – oggi c’è una riscoperta di questo mestiere, si cerca di essere sempre più preparati dal punto di vista tecnico e di creare nuovi sapori. Il nome di barchef è nato per differenziarsi, per far capire che si sta facendo qualcosa di diverso e nuovo. Dietro la tendenza della cucila liquida c’è il desiderio di preparare tutto da sé, di dare un’impronta personale al proprio lavoro”.

“Fare Mixology – chiarisce – significa lavorare con maggiore attenzione e ricerca, puntare sulla qualità delle materie prime utilizzate nella miscelazione. A partire dal bicchiere, dalla qualità del ghiaccio e degli altri ingredienti. Ad esempio, invece di usare il sale tradizionale sul bicchiere del Margarita si impiega il sale dell’Himalaya o il sale aromatizzato al pistacchio e i drink vengono accompagnati da gelatine o Lime essiccato, secondo la moda più in voga in questo momento all’estero. Il concetto chiave che sottende questa nuova filosofia è la possibilità di preparare le basi necessarie per i cocktail, e questo implica che si apprendano tecniche di erboristeria e di cucina”.

Potrebbe essere una tendenza temporanea (ma Mor è pronto a scommettere il contrario); una cosa è certa, si aprono nuove frontiere per il mondo dei bar, la via alla sperimentazione è aperta e i risultati sembrano piacere.