Città Alta, il commercio soffre 
e cerca ricette per il rilancio

Città Alta, il commercio soffre e cerca ricette per il rilancio

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Angelo Nespoli, che sarebbe più giusto chiamare “quella sagoma dell’Angelo”, la sua ricetta per Città Alta e per la vita in generale, ce l’ha. Nella sua bottega di frutta e verdura sulla Corsarola (dove si servono tutti, signore Vip della City, come Cristina Parodi, ma anche i turisti che si fanno invogliare da ciliegie in bella vista) si ha l’impressione che il tempo non sia mai passato.
Tutto è rimasto uguale a 50, 60 anni fa (unica modernità il registratore di cassa), anche la sua voglia di chiacchierare con il cliente, un mix di simpatia e voglia di fare che, ogni giorno, lo portano, con la moglie, da Zanica in Città Alta. Una ricetta (per il commercio)? Semplice. Ti guarda in faccia e ti dice: “Qui serve solo pregare la Madonna”. E non lo dice così, per modo di dire, mentre nel sacchetto ci infila l’ultimo messaggio mariano di Medjugorie: “Dovrebbero andarci tutti, non sappiamo più cos’è la fede”.
Ecco, la fede. Al di là delle preci dell’Angelo, ce ne vuole molta commercialmente parlando per vivere e (sopravvivere) in una parte di Bergamo che, al di là della patina turistica con cui si propone al mondo, vive una quotidianità commerciale difficile, a tratti paradossale. Diverse anime e diversissimi concept si sovrappongono uno sull’altro e ad ogni negozio che si affaccia su via Gombito o via Colleoni è storia a sé. Sono attività figlie della loro epoca, come gli artigiani che adesso si contano sulle dita di una mano: un idraulico, un elettricista, un falegname ed un tappezziere.
Quest’ultimo, che fa capo alla famiglia Carrara, capostipite il Bepi e attività avviata 1953, nel risiko delle botteghe, ha lasciato nel 2012 sulla Corsarola il suo negozio appannaggio della Gastronomia Mangili, che a sua volta un anno e mezzo fa ha abbandonato lo storico negozio, tre vetrine davanti all’altrettanto storico bar Cavour. Paolo Carrara, il figlio, scuote la testa: “Rimanere sulla Corsarola per la nostra attività era diventato improponibile. Ci siamo trasferiti in via Rocca in un negozio del Comune, solo così riusciamo a farcela”. Per inciso, l’ex negozio di Mangili dopo quasi due anni è ancora sfitto, cartelli in bella mostra sui vetri: “affittasi”, in via Gombito. Qualcuno che passa, scatta una foto, poi chissà che cosa pensa davanti ad un canone di affitto “impossibile”, per non parlare della vendita: richiesta un milione di euro. Angelo Mangili che quella bottega l’aveva rilevata da Eugenio Salvetti cinquant’anni fa, quando era poco più che un garzone, ha mollato il colpo e si è trasferito. La clientela di Mangili è un bel mix turistico-residenziale, ma soprattutto è composta da gente della Città Bassa che però “non sale più di una volta alla settimana. Arrivare in Città Alta è diventato un problema, con il transito ed i parcheggi e i clienti ci rinunciano”. E i turisti? “In quest’ultimo periodo sono molto cambiati – gli fa eco la figlia Elena – pensavamo che la chiusura per i lavori di manutenzione di Orio fossero la causa di un momentaneo stop, ma ci stiamo rendendo conto che, quest’anno, il turismo sta soffrendo”.
Ad un passo dalle vetrine sfitte, c’è Kiko, la catena beauty cosmetic del Gruppo Percassi, che industrialmente parlando, cresce in modo esponenziale nel mondo: tre aperture al giorno.
Quella di Città Alta rappresenta il tipo di brandizzazione commerciale universale che vorrebbe essere  l’opposto di quella tipicizzazione che si intende mantenere. E che presenta esempi straordinari, come quella del negozio Lorenzi di via Salvecchio che, oltre a materiale elettrico e piccoli elettrodomestici, vende di tutto un po’. Un’ àncora di salvezza nel caso di una lampadina che si rompe o un tubo che perde acqua. Quando un negozio di vicinato chiude è un piccolo terremoto, anche affettivo. Sempre alla fine del 2012 aveva cessato la sua attività Amalia Tresoldi, titolare di un negozio, dove nel minor spazio era possibile trovare la maggior quantità di alimentari possibile. L’attività è stata ceduta al Forno Fassi e alla figura di Amalia si è sostituita quella della signora Marina che vende sempre pane (ma un minor quantità di alimentari). “Per chi vende il “fresco” gli orari di carico e scarico della merce sono molti limitanti – afferma – questo per i negozi di alimentari è un grosso problema. Occorre pensare anche a chi sta dietro il bancone”.
Qualche coraggioso segnale imprenditoriale c'è. Quello, ad esempio, rappresentato da Serena Conti, che dopo aver passato una vita nella ristorazione, ha avviato un anno fa 22c, qualcosa di mezzo tra un ristorante ed un negozio con la vendita di piatti pronti e precotti da asporto o da degustare in loco, all'inizio di via Donizetti. Una formula innovativa di risto-gastronomia che rappresenta una sfida. O ancora come di Paolo Carnazzi, 37 anni di Gandino e Federica Licini 25 anni di Curno che si sono lanciati, è proprio il caso di dirlo, in una nuova scommessa commerciale: quella di portare in piena Corsarola un pezzo della Val Gardena. La coppia, infatti, ha aperto  lo scorso autunno un negozio in franchising, il primo tassello di un progetto commerciale che per “Dolfi”, l’azienda di Ortisei fondata nel 1892, dovrebbe presto estendersi in altre città d'Italia. L’atmosfera che si respira in questo negozio su tre piani, tra via Colleoni e via Salvecchio è una sorta di madeleine in salsa artigianale e rappresenta, anche in questo caso, qualcosa di ricercato, pensato in un'ottica di valorizzazione dell'antico borgo dove non mancano, anche in ambito imprenditoriale, le curiosità
Come quella dell’Edicola della Funicolare, regno incontrastato di  Giuseppe Tua. Un edicolante, ma non per caso che ha preso il mestiere come una “mission”. La sua è un’autentica customizzazione, dal momento che effettua la consegna dei quotidiani a domicilio. un "ore sette" casalingo. Oltre la vendita, il servizio ai residenti:“Città Alta è della gente che la abita- rimarca- e in questo senso, le maggiori lamentele riguardano l’assenza di negozi di vicinato soprattutto di servizio a persone anziane. Al di là di aperture e chiusure, penso che anche una maggiore e migliore programmazione degli eventi potrebbe costituire un <plus> in grado di garantire un flusso più continuativo del turismo”.