Converrà affidarsi alla Sacra Spina. Chissà che una preghiera collettiva ai piedi della reliquia che nelle scorse settimane ha mostrato un “segno” che a qualcuno ha fatto gridare al miracolo non sortisca effetti migliori della marcia di protesta di 3-4 mila cittadini della Valle Brembana, scesi in strada per chiedere la salvaguardia dell’ospedale di San Giovanni Bianco.
Nonostante la mobilitazione popolare e malgrado l’affannarsi in ogni sede di sindaci e amministratori locali, il destino della struttura sanitaria è sempre più precario, fino al punto da non poter escludere (certo non a breve termine) una chiusura o una riconversione. Difficile immaginare un futuro sereno quando, secondo la collaudata tecnica del carciofo, il presidio perde un pezzo dietro l’altro. Nemmeno il tempo di digerire la chiusura del punto nascite, ed ecco il ridimensionamento della pediatria, la revisione degli orari del pronto soccorso, il timore di ulteriori tagli.
Da vertici della sanità bergamasca arrivano rituali e poco convincenti rassicurazioni. “L’ospedale non si tocca” giurano. Ma nello stesso tempo compulsano tabelle e normative. Proprio quelle che rendono poco credibili le loro parole. Perché il punto è tutto lì. E’ nell’assoggettare un ospedale di montagna alle logiche generali, nel considerare le strutture sanitarie tutte uguali, tutte misurabili su freddi parametri statistici ed economici. “Se non ci sono almeno 500 nascite all’anno, un reparto non può rimanere aperto” detta la Regione. E San Giovanni, che si è fermato circa alla metà, ha pagato dazio. Pazienza se un lieto evento in Valle Brembana ha un valore che va al di là del numero. E’ il segno della gente di montagna che non si arrende allo spopolamento, che rimane gelosamente attaccata al suo territorio, che continua ad immaginare un futuro in realtà isolate.
L’ospedale è un polmone che dà fiato alla Valle, è l’angelo custode su cui contare nel momento del bisogno. Se questo viene meno, svaniscono anche le ragioni per rimanere. Bisognerà rifletterci seriamente e ritrovare la coerenza tra i rituali richiami all’importanza della montagna e le decisioni che si prendono. Stupisce, quindi, che proprio chi fa della tutela delle radici il proprio atout propagandistico e valoriale se ne dimentichi quando procede con logica da piccolo ragioniere di paese.
Fa ridere pensare che le sorti della Sanità lombarda dipendano da qualche centinaio di migliaia di euro per i supposti sprechi dovuti al mantenimento dei servizi a San Giovanni Bianco. Non scherziamo, dai. I soldi buttati sono quelli finiti nelle tasche degli amici degli amici per consulenze inesistenti o per servizi pagati tre-quattro volte il loro valore. Basta ricordare solo gli ultimi scandali che hanno fatto finire in carcere in Lombardia l’ex assessore alla Sanità Mario Mantovani e il presidente della commissione Sanità Fabio Rizzi. Ma in questi giorni è in corso a Milano il processo a carico dell’ex governatore Roberto Formigoni e anche in questo caso sono emersi giri di denaro da decine di milioni assolutamente non giustificati se non da logiche di potere o familistiche.
E allora, finiamola di fare i rigoristi sui più deboli, su chi ha tutti i titoli per chiedere una attenzione che vada al di là delle occhiute regole di bilancio. Se è stato giusto riconvertire gli ospedali di Trescore, Calcinate, Sarnico, è altrettanto sacrosanto chiedere che a San Giovanni Bianco siano date tutte le risorse per mantenere viva ed efficiente una struttura di vitale importanza per una parte così significativa del territorio. Non è campanilismo, è semplice buon senso. Così come non è affatto una questione di quattrini. O meglio, lo è ma non fino al punto da impedire una decisione ponderata e legata alla specificità del caso. Insomma, è una mera questione di volontà politica. Il presidente (e assessore alla Sanità ad interim…) Roberto Maroni, se c’è e vuole davvero dimostrare di essere vicino al territorio, batta un colpo.