Lavoro, «nei colloqui il dress code conta più del curriculum». Parola di Carla Gozzi

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«Nei colloqui di lavoro, oggi, al primo posto c’è la personalità. E noi siamo come gli altri ci vedono; non c’è nulla di più futile e fondamentale del dress code per la comunicazione di se stessi: rivela se abbiamo autostima e creatività».

Parola di Carla Gozzi. La famosa style coach ha tenuto sabato alla scuola formazione Ascom di Osio Sotto un seminario sul tema dello stile di fronte a un pubblico di professioniste. Consulenti, project manager, giornaliste, manager, imprenditrici, impiegate, ristoratrici, dai 24 ai 67 anni, accomunate dalla stessa richiesta: avere un’immagine professionale, ma allo stesso femminile.

Segno che lo stile non ha età e che il dress code è una chiave importante per il lavoro, oltre che per la propria vita privata.

«Anche chi ha il camice, una divisa o lavora in ambienti “maschili” può realizzare un look femminile e personale, basta puntare sugli accessori, aggiungere all’abbigliamento formale un dettaglio femminile, come ad esempio il colore della montatura degli occhiali, gli orecchini o un foulard», ha detto Gozzi.

E se la mattina ci si trova davanti all’armadio scoraggiate o addirittura annichilite di fronte alla scelta dei capi da indossare, «il trucco è semplice: comprare abiti, meglio se in jersey, che non richiedono abbinamenti e sono facili da portare, e preparare i capi abbinati sulle grucce con tanto di accessorio in un sacchetto, così si ha l’outfit pronto in pochi secondi».

L’esperta di moda più amata d’Italia ha anticipato i must have della prossima stagione, ovvero, i capi da avere assolutamente: trench beige in stile vestaglia, abiti fiorati e a camicia; maglie a righe, pantaloni a palazzo, con taglio a uomo, cropped, colorati e a fantasia. E ancora: t-shirt con grafiche sotto a bomber, top e abiti a sottoveste fucsia, rosso o nero (il top); e in quanto agli accessori: tracolle colorate con dettagli originali, shopper argento e oro con dettagli importanti, sandali minimali con cinturini alle caviglie e sandali con platform, sabot; orecchini ad anelli e pendenti con due forme diverse; occhiali trasparenti o con montatura trasparente e lenti colorate. Infine tanto rosso e fucsia: saranno i colori della primavera- estate 2017.


Il commercio continua a spingere l’occupazione

commessa_optCalano gli avviamenti, ma scendono anche le cessazioni. Così Bergamo si trova a contabilizzare un saldo comunque negativo, ma meno negativo che nell’anno precedente. L’ARIFL ha pubblicato i dati del 4° trimestre del 2016 relativo ai movimenti sul mercato del lavoro lombardo, e si vede che il tunnel della crisi, nonostante alcuni segnali incoraggianti, si presenta ancora lungo. Nell’ultimo trimestre del 2016, Bergamo ha visto attivare 32.355 avviamenti (contro i 34.437 dello stesso periodo del 2015 e i 24000 del 2014), mentre 36.778 sono state le cessazioni (nel 2015 furono quasi 40.000). Il segno negativo campeggia nel saldo di ogni provincia lombarda, testimonianza evidente che la situazione non concede sprazzi di sereno assoluto da nessuna parte. Entrando nel dettaglio dei settori economici, si vede come sia ancora il commercio a trainare la locomotiva delle assunzioni, con 20.623 nuovi contratti. L’industria si ferma a 8.900, mentre il settore delle costruzioni, ancora in ribasso, registra un dato inferiore anche a quello del 2014 (2433 contro 2450). A livello regionale, infine, si nota come l’effetto degli sconti contributivi e fiscali per le nuove assunzioni abbia già perso la spinta propulsiva segnata lo scorso anno: le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato scendono del 21%; i passaggi dall’apprendistato al “posto fisso” sono il 62% in meno, il 60, 6% in meno le trasformazioni da “inserimento” a tempo indeterminato. “Si conferma la ripresa produttiva senza crescita occupazionale anche a Bergamo – dice Giacomo Meloni, segretario della CISL provinciale -. E continua a soffrire l’apprendistato sul quale la CISL crede che si debbano invece  incrementare sia le assunzioni che le trasformazioni a tempo indeterminato”.

Da segnalare positivamente gli 87.000 avviamenti di professioni high level, che confermano la necessità di un forte investimento nella formazione e formazione continua per rispondere alle modifiche del mercato del lavoro. Per ultimo, vanno registrati i risultati dei centri per l’impiego di Bergamo ( -11%), Trescore (-12%) e Lovere  (– 10%) come quelli che fanno registrare una minor crescita di avviamenti rispetto allo stesso periodo del 2015”.

 


Infortuni sul lavoro in leggero calo a Bergamo

lavoro-scintill.jpgSono stati 5 gli infortuni mortali nel 2016 a Bergamo. Il totale sale a 9 se si contano i bergamaschi coinvolti in incidenti fuori dai confini provinciali. Un dato, purtroppo, in linea con gli anni precedenti, in spregio alla politica del “non si può abbassare la guardia” contenuta in dichiarazioni e documenti successivi alle tragedie. “Un infortunio o una morte sul lavoro sono una sconfitta per il tessuto sociale del territorio, non sono mai frutto della casualità e per evitarli vanno moltiplicati gli sforzi verso la formazione, la prevenzione, gli investimenti tecnologici e in ergonomia. Il lavoro è ragione di dignità per la persona e non può diventare causa di dolore o morte”.  Giacomo Meloni, segretario della Cisl di Bergamo, commenta così i dati forniti da Inail Lombardia e dalle Ats della Regione sugli infortuni accaduti nel 2016.“Il dato che riguarda Bergamo e che anche quest’anno è il peggiore degli ultimi tre anni –  sostiene Meloni -, impegna tutti a moltiplicare gli sforzi sulla prevenzione e la cultura della sicurezza, innanzitutto nei luoghi di lavoro con efficaci percorsi di formazione e una costante informazione, non occasionale ma strutturata. Impegna altresì le parti sociali ad operare in una forte logica di partecipazione perché la lotta agli infortuni non è e non può essere di parte ma va affrontata con una azione comune”.

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Sul totale dei dati regionali, spetta ancora a Brescia il triste primato del numero di incidenti mortali, 9, seguita da Milano e dall’area di Como e Varese. Gli infortuni complessivamente denunciati a Bergamo nell’anno appena trascorso sono stati 13.956 (di cui il 30% riguarda le donne lavoratrici): un calo continuo rispetto al passato ma troppo lento (nel 2015 la differenza è stata dell’1,4%, l’anno scorso solo dello 0,99):” gli infortuni denunciati restano un’enormità”. Purtroppo il dramma degli infortuni e degli infortuni mortali, malgrado gli sforzi messi in campo a Bergamo tramite gli enti bilaterali, l’azione coordinata con Asl, Inail e degli Rls e Rlst, “ci impone di rafforzare l’azione anche contrattuale sia territoriale che nei luoghi di lavoro. L’azione formativa deve coinvolgere sempre più anche in età scolastica, come la sperimentazione avviata negli istituti scolastici, Mascheroni, Natta e Pesenti a Bergamo a seguito dell’accordo “Scuola Sicura” firmato ad inizio novembre 2015 e che vede il coinvolgimento – oltre che del sindacato Cisl,Cgil,Uil – di Confindustria, Unione Scolastica Territoriale, Inail, Asl, ANMIL”.


«Abolire i voucher? Manca un’alternativa. I sindacati non girino la testa dall’altra parte»

In vista del referendum voluto dalla Cgil per l’abrogazione dei voucher, Enrico Betti, responsabile dell’area Lavoro e Sindacale dell’Ascom di Bergamo e presidente degli enti bilaterali territoriali del Commercio e del Turismo, fa il punto su uno strumento adottato da molte imprese del terziario. I voucher rispondono di fatto ad un’esigenza del mercato del lavoro che non ha trovato strumenti alternativi sul fronte della contrattazione sindacale. La soluzione, secondo Betti, potrebbe passare da una rimodulazione del part-time in risposta alle esigenze aziendali, uno strumento più efficace dei tanto invocati mini-job tedeschi, che hanno portato in realtà ad un’ulteriore segmentazione del mercato. «Sempre che il sindacato non giri, come ha fatto finora, la testa dall’altra parte».

Si avvicina il referendum sui voucher lavoro. Potrebbe venir meno uno strumento  largamente impiegato anche nel terziario e nei servizi. Quali sono le aspettative del settore?

«I voucher sono necessari al mercato del lavoro. Il referendum rappresenta un’inutile inversione ad “u” su uno strumento largamente impiegato. È una questione puramente politica interrogarsi sulla necessità di abolire i voucher, che non risponde certo alle reali esigenze del mercato del lavoro. Tanto che gli stessi sindacati ne han fatto largamente uso. I dati Inps evidenziano come rappresentino fenomeni tutt’altro che isolati: la Cgil ha investito nel 2016 750mila euro in voucher e la Cisl ne ha utilizzati per 1 milione e mezzo di euro lo scorso anno».

Eppure i voucher sono additati dai sindacati come il male del mercato del lavoro…

«Il ricorso ai voucher non è dettato dalla propensione dell’impresa a cercare sotterfugi o escamotage, ma di fatto sopperisce all’assenza di regolamentazioni contrattuali adeguate a gestire picchi di lavoro o a tamponare esigenze organizzative che le imprese del commercio, del turismo e dei servizi si trovano ad affrontare in determinati momenti dell’anno o in certe fasce orarie».

Portano ad un’ulteriore segmentazione di un mercato – già stretto – come quello del lavoro?

«Solo una minima parte di chi lavora a voucher raggiunge il tetto dei 7mila euro, con il risultato che questo sistema a ticket porta ad un’ulteriore parcellizzazione del mercato. I dati illustrati dall’Inps nel settembre scorso nel Working Papers evidenziano come in un anno ogni percettore di voucher riscuota fino a 64 voucher in media. Siamo quindi ben lontani dal tetto massimo di 200 voucher che ogni datore di lavoro può utilizzare. Il risultato di questo meccanismo è una continua turnazione dei lavoratori anche per attività che non sono discontinue, come l’impiego di addetti alla vendita nel commercio».

Quale è invece il campo di applicazione d’elezione dei voucher ?

«I voucher andrebbero ricondotti nell’ambito originario per cui se ne scelse l’adozione, ossia in campo agricolo, per ovviare a grosse lacune a livello contrattuale. È stata invece snaturata l’idea di Marco Biagi, che attraverso i voucher voleva normare la raccolta per la vendemmia o altre attività stagionali su cui pesava l’ombra del caporalato».

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Da un lato c’è stata una distorsione e un abuso dei voucher, dall’altro mancano evidentemente alternative valide. Come si esce da questa situazione?

«Non possiamo esimerci dal prendere atto di una carenza nella capacità di contrattare con i sindacati una formula alternativa che riesca a rispondere alle esigenze del datore di lavoro. Si potrebbe ripartire, ad esempio, da una rivisitazione del part-time. I sindacati non accettano però il confronto su questi argomenti. Non è possibile intavolare discussioni e valutare nuovi strumenti contrattuali se i sindacati girano la testa dall’altra parte e continuano a riproporre modelli contrattuali di stampo fordista che potevano continuare a funzionare solo fino a quarant’anni fa».

Ad oggi, in assenza di una flessibilità su part time, quali sono le formule alternative a voucher?

«Il contratto a chiamata ha rappresentato per anni un modo di ricondurre nella contrattazione aziendale il lavoro precario o a tempo, gestendo in un certo – seppur instabile – equilibrio la necessità di flessibilità d’impresa. Ma questa formula è stata di fatto cannibalizzata negli ultimi anni dai voucher. E l’utilizzo dei voucher per mansioni non discontinue come l’attività di vendita nel commercio non aiuta la crescita professionale degli addetti, pur rispondendo ad un’esigenza contingente aziendale. Il rischio futuro è di disperdere la professionalità di ogni mansione per cui i voucher vengono impiegati».

Quale potrebbe essere il modello di riferimento? Molti invocano il mini-job tedesco. Cosa ne pensa?

«I mini job tedeschi hanno permesso alla Germania di avere buoni dati occupazionali. Ma il modello tedesco che molti suggeriscono che l’Italia debba imitare ha portato sì al miracolo occupazionale del Jobwunder, ma di contro ha creato una forte segmentazione del mercato, con milioni di persone costrette a svolgere uno o più mini-job. Il contratto prevede 15 ore di lavoro settimanali con una retribuzione massima di 450 euro al mese. Il nostro part-time prevede un minimo di 16 ore settimanali e, una sua rivisitazione più flessibile e rispondente alle esigenze aziendali, potrebbe essere un buon punto da cui ripartire, nell’ambito però di una stabilizzazione del mercato e di una crescita professionale degli addetti».


Bergamo, cassa integrazione in netto calo nel 2016

Un 2016 in significativa frenata per la Cassa integrazione in provincia di Bergamo, con un trend assolutamente importante, che parla di un costante e deciso andamento al ribasso delle ore autorizzate, in ciascuna tipologia di ammortizzatore. Siamo comunque ben lontani dai panorami di dieci anni fa. L’Inps ha fornito i dati sull’impiego della Cassa Integrazione e, pur a fronte di un innegabile crollo del numero delle ore utilizzate, anche in provincia di Bergamo, non mancano i chiaroscuri nell’analisi che ne fa la Cisl. Nell’anno del riordino degli ammortizzatori sociali, le aziende hanno richiesto all’Inps quasi 16 milioni di ore di cassa integrazione: il 2016 si è chiuso con un calo di 8 milioni di ore in meno rispetto all’intero 2015, ben 24 in meno rispetto al 2013, “annus horribilis” delle Casse con i suoi 40 milioni di ore autorizzate. Niente a che vedere, però, nemmeno con i 3 milioni e mezzo del 2006. Il segretario territoriale della Cisl, Giacomo Meloni , denuncia “la falsa partenza delle politiche attive, strumento di cui il nostro mercato del lavoro, ancora in difficoltà, avrebbe assoluto bisogno”. “Il dato di fine anno sulla cassa integrazione  conferma il trend di riduzione, ma siamo ancora a livelli che indicano che il nostro sistema produttivo ha tuttora molte difficoltà. Troppi sono ancora i lavoratori a rischio di perdita del lavoro o che lo hanno già perso”.

Cig_Inps“Anche a Bergamo – dice Meloni – il 2016 presenta un conto meno salato che in precedenza per quanto riguarda il ricorso alla Cassa integrazione. Un fatto indubbiamente positivo, che conferma, associato alla ripresa della produzione, che la fase più acuta e drammatica della crisi è alle spalle. Però, se confrontiamo il ricorso alla CIG dello scorso anno con l’ammontare delle ore fruite prima della crisi nel 2008, il dato di oggi ci deve far riflettere. Questi lunghi anni di difficoltà nei diversi settori manifatturieri e del commercio e servizi hanno portato anche alla chiusura di numerose imprese: ciò ovviamente produce una minor richiesta di ammortizzatori sociali e contestualmente l’aumento dei senza lavoro, che rimangono il problema principale del nostro territorio e dell’insieme del paese. Un dramma per tante persone e famiglie che va affrontato rapidamente su due fronti: con la crescita economica e con efficaci politiche attive del lavoro, con un ruolo protagonista dell’agenzia Anpal, dei CPI e delle agenzie per il lavoro che devono operare in forte sinergia”.


Alternanza scuola/lavoro, online il nuovo portale del Registro nazionale

Registro NazionaleIl Registro Nazionale per l’Alternanza Scuola-Lavoro (RASL) è il punto d’incontro virtuale tra studenti e imprese, professionisti, enti pubblici e privati, disponibili a offrire loro un periodo di apprendistato. È stato istituito nel luglio 2016 ed è gestito dalle Camere di Commercio. È elemento fondamentale di un modello didattico che consente agli studenti di alternare ore di formazione in aula a ore svolte in un contesto lavorativo. La legge 107/2015, nota come “La Buona Scuola”, che punta ad avvicinare la scuola al mondo del lavoro, obbliga infatti gli studenti dell’ultimo triennio delle superiori a un percorso di alternanza scuola/lavoro della durata complessiva di almeno 400 ore per gli istituti tecnici e professionali, e di 200 per i licei. Martedì prossimo, la Camera di Commercio presenterà il portale www.scuolalavoro.registroimprese.it, in particolare le due sezioni, le modalità di adesione per imprese, enti, istituti e studenti e alcuni dati dei soggetti attualmente iscritti al RASL. All’incontro con la stampa, saranno presenti, tra gli altri, i vertici di Bergamo Sviluppo, il dirigente dell’Ufficio Scolastico di Bergamo, i rappresentanti delle imprese e degli Ordini professionali.


Enti Bilaterali, Betti (Ascom) presidente. «Per il 2017 stanziamo 500mila euro a favore di lavoratori e imprese»

Cambio al vertice e cariche rinnovate per l’Ente Bilaterale territoriale del Terziario e quello degli Alberghi e dei Pubblici esercizi di Bergamo. L’assemblea riunita ieri nella sede di via Borgo Palazzo 137 in città ha eletto alla presidenza di entrambi gli organismi paritetici, per il quadriennio 2017-2020, Enrico Betti, responsabile dell’area Politiche del Lavoro dell’Ascom. Secondo la prevista alternanza degli incarichi tra rappresentanti del sindacato e dell’impresa, Betti succede a Lorenzo Agazzi (Filcams-Cgil) e sarà affiancato da Maurizio Regazzoni, segretario generale Uiltucs-Uil Bergamo, eletto vicepresidente.

Il nuovo mandato conferma e rafforza la linea degli enti disegnata in questi anni, volta a sostenere i lavoratori e le aziende del commercio, del turismo e dei servizi di fronte a scenari economici e di mercato sempre difficili e in costante evoluzione. I due enti oggi contano complessivamente 5mila aziende aderenti e oltre 20mila lavoratori, un’ampia platea per la quale mettono a disposizione sussidi, agevolazioni, interventi di promozione della formazione, dell’occupazione, facilitazioni per la gestione e lo sviluppo d’impresa.

«Per il 2017 – annuncia Betti – metteremo sul piatto circa 500mila euro per supportare lavoratori e imprese, proseguiremo inoltre nel percorso condiviso con gli enti nazionali per mantenere ed incrementare i sussidi ed i sostegni. Sul piano organizzativo, invece, è stata approvata la scelta di dotarci di un codice etico».

Intanto il vicepresidente Regazzoni ribadisce il valore della bilateralità. «Gli enti proseguiranno nel loro compito di coniugare le esigenze delle parti al di sopra dei ruoli sociali, ricercare sempre nuove opportunità per sviluppare azioni rivolte sia ai lavoratori sia alle imprese». «Con la propria posizione sopra le parti e la loro complessità politica, sociale ed economica – aggiunge il presidente uscente Agazzi – gli enti bilaterali rappresentano un vero e proprio patrimonio per il mondo del lavoro e delle imprese. In questi anni i nostri due organismi provinciali sono stati capaci di crescere e rinnovarsi per interpretare sempre al meglio il proprio ruolo».

Accanto a Betti e Regazzoni, nel Consiglio direttivo dell’Ente bilaterale territoriale del Terziario sono stati eletti Mario Colleoni (Filcams-Cgil), Alberto Citerio (Fisascat-Cisl), Jacopo Descovich (Ascom – Negozi Pellizzari Srl) e Alessandra Bergamo (Ascom – Mediamarket). L’Assemblea è invece composta da Betti, Regazzoni, Colleoni e Citerio.

Il Comitato esecutivo dell’Ente bilaterale degli Alberghi e dei Pubblici esercizi è completato da Giovanni Zambonelli (Faiat), Giorgio Beltrami (Fipe), Alberto Citerio (Fisascat-Cisl) e Mario Colleoni (Filcams-Cgil). Componenti supplenti sono Mauro Rossi, Giovanni Barghi, Francesca Bassi e Maria Teresa Vavassori. L’Assemblea è costituita da Betti, Regazzoni, Bassi, Barghi, Zambonelli, Luisa Mangiarulo, Beltrami, Colleoni, Aronne Mangili, Citerio, Vavassori e Alessandro Dalle Fusine.


Agricoltura di nuova generazione, il racconto di cinque imprenditori

ritorno-alla-terra - agricoltura - giovani“Il ritorno alla terra tra riscoperta e innovazione” è il titolo del seminario con tavola rotonda che Bergamo Sviluppo, su proposta del Comitato Imprenditoria Femminile della Camera di commercio, organizza con la collaborazione con Coldiretti e Confagricoltura giovedì 15 dicembre dalle ore 10, nella Sala Consiglio del Palazzo dei Contratti e delle Manifestazioni, in via Petrarca 10 a Bergamo.

Grazie agli interventi dei relatori e alle testimonianze di cinque imprenditori di “nuova generazione” si cercherà di far comprendere ai partecipanti i motivi della rinascita che si sta registrando nel settore agricolo, che attira oggi sia giovani sia professionalità che per esigenze o scelte diverse decidono di vivere e lavorare a contatto con la natura, scelta che non può non fare i conti con aspetti quali l’impegno personale, l’incidenza del clima, la necessità di migliorare in modo continuo le proprie competenze, una coscienza ambientale sempre più robusta e un’apertura all’innovazione e alla collaborazione molto più forti che in passato.

Programma

ore 10 – Saluti di apertura

Ida Rocca, Presidente Comitato per la Promozione dell’Imprenditorialità Femminile CCIAA Bergamo
Alberto Brivio, Presidente Coldiretti Bergamo
Aldo Marcassoli, Direttore Confagricoltura Bergamo

ore 10.20 – “I produttori e la filiera corta”

Silvia Salvi, ricercatrice osservatorio Cores – Università degli Studi di Bergamo

ore 11 – Tavola rotonda con interventi di alcuni imprenditori

Giulia Serafini e Mirko Roberti – Tropico dei Colli
Marianna Ziliati – BambùBio
Francesco Tassetti – Castel Cerreto società cooperativa agricola
Cornolti Federica – Azienda Agricola Val del Fich
Nicolino Di Giano – Cooperativa Agricola Via del campo

Coordina i lavori il giornalista Maurizio Ferrari.

La partecipazione è gratuita e aperta a imprenditori, aspiranti imprenditori e a tutti gli interessati; iscrizioni online sul sito di Bergamo Sviluppo www.bergamosviluppo.it (sezione news scorrevoli o direttamente dal calendario eventi in homepage).

Info: Bergamo Sviluppo – Azienda Speciale della CCIAA di Bergamo, tel. 035/3888011 – referente iniziativa: Silvia Campana – campana@bg.camcom.it


Agricolo, autonomo o all’estero: la fotografia del Censis sul lavoro che cambia

Eccesso di offerta e lavoro a basso costo caratterizzeranno lo scenario mondiale anche nel 2017. All’interno di questa cornice, il 50esimo Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese presentato oggi ha analizzato, nel capitolo “Lavoro, professionalità, rappresentanze” alcuni aspetti salienti.

Qualità delle risorse umane e attrazione degli investimenti

Una indagine del Censis presso un panel di responsabili di multinazionali, organizzazioni e media esteri presenti nel nostro Paese, realizzata per l’Associazione Italiana Banche Estere, ha indicato nella qualità delle risorse umane uno dei fattori che oggi rendono l’Italia più attrattiva nelle decisioni di investimento nel nostro Paese. Allo stesso tempo, hanno dichiarato che il sistema-Italia appare ancora penalizzato soprattutto dal basso livello di flessibilità del mercato del lavoro.

Nel 2015 il flusso in entrata di investimenti diretti esteri si è attestato su 11,7 miliardi di euro, circa 1,2 miliardi in meno rispetto al 2014 e 2,9 miliardi in meno rispetto alla cifra raggiunta nel 2013. I flussi dall’estero si sono ridotti dal 5,3% al 4,3% del totale degli investimenti fissi lordi nel triennio. I flussi in uscita dell’Italia hanno mostrato una riduzione fino a 12,6 miliardi di euro, passando dal 5,5% al 4,6% degli investimenti fissi lordi totali. Nel 2015 il volume complessivo delle risorse estere investite in Italia si è attestato su 420 miliardi di euro. Nell’ultimo triennio la consistenza degli investimenti esteri è cresciuta anche per la debolezza del Pil italiano ed è pari al 25,6%, un valore che resta molto lontano da quelli relativi ad altri Paesi come la Francia (31,9%) o il Regno Unito (51,1%).

La nuova geografia del lavoro agricolo

Gli occupati nel settore agricolo hanno raggiunto nel 2015 le 910.000 unità, con un incremento in termini assoluti di circa 20.000 occupati rispetto al 2014 e di 18.000 rispetto ai due anni precedenti. Rispetto all’anno precedente, nel 2015 gli occupati aumentano del 2,2%. La crescita delle ore lavorate e delle unità di lavoro tende invece a consolidarsi a partire dal 2014: le prime aumentano nel 2014 del 2,1%, mentre nel 2015 l’aumento supera i 3 punti percentuali. Le seconde crescono del’1,5% nel 2014 e del 2,2% nel 2015. La tendenza positiva innescata nel corso del 2015 verrebbe confermata anche dai dati del primo semestre 2016. A livello nazionale gli occupati aumentano di 45.000 unità rispetto al primo semestre 2015. Da una recente indagine del Censis sulle imprese aderenti alla Confederazione Italiana Agricoltori emerge che tra i fattori che hanno contato di più nella scelta del lavoro agricolo, accanto alla tradizione familiare (52,6%), figura la grande passione (28,9%).

A casa nel mondo: il vissuto lavorativo e professionale degli italiani all’estero

A distanza di tre anni dalla precedente analisi, il Censis ha proposto allo stesso panel di italiani all’estero una serie di domande volte a ricostruire il vissuto lavorativo e professionale, e a tracciare l’immagine dell’Italia attraverso le lenti di chi ha lasciato il Paese negli ultimi anni. Il 62,7% considera stabile la propria presenza all’estero e intende continuare a vivere nel Paese di destinazione, il 6,2% è attivato per restare, il 22% non ha ancora progetti precisi. Rispetto a tre anni fa, l’area della stabilità si è estesa (allora la quota era paria al 55%), dando conferma di una crescente propensione degli individui a consolidare anche lontano dal Paese d’origine la propria esistenza. L’85,7% dichiara di lavorare: il 38,9% ha cambiato lavoro negli ultimi tre anni e una percentuale simile ha sperimentato nel triennio almeno un periodo di inattività. Il livello di integrazione raggiunto risulta soddisfacente per 8 intervistati su 10: la quota restante si distribuisce tra chi dichiara di avere ancora qualche difficoltà a integrarsi nel Paese in cui vive, mentre solo il 3,4% si sente poco o per nulla integrato.

Chi non intende tornare in Italia rappresenta una percentuale del 31,5%, cui si contrappone un’area di persone, pari a poco più del 20%, che vede il ritorno in Italia come un possibile esito futuro anche a breve. La scelta di trasferirsi all’estero è in ogni caso una scelta che ha soddisfatto l’81,7% del totale e solo l’1,1% la considera una scelta sbagliata. Il 52,3% dei rispondenti si riconosce nell’affermazione che indica nell’Italia un Paese pieno di risorse, ma penalizzato dalla sua classe dirigente.

La lenta transizione del lavoro autonomo

Anche nel rallentamento della crescita economica, il lavoro autonomo si presenta come una valida alternativa al lavoro dipendente. Su 100 laureati italiani, circa 20 svolgono la professione in modo autonomo, contro i 13 della Germania, i 9 della Francia e gli 11 della media europea. Ogni 100 lavoratori autonomi con una età compresa tra 15 e 74 anni, in Italia ci sono 16 professionisti, contro i 14 della Germania, i 12 del Regno Unito e i 2 della media europea. Il decennio 1997-2006 è stato caratterizzato da un forte incremento degli iscritti agli Ordini e ai Collegi professionali: soprattutto architetti e ingegneri, ma anche giornalisti, psicologi, commercialisti. Nei successivi dieci anni la situazione inizia a capovolgersi: il numero dei laureati cresce di altri 2 milioni di persone, la coda della lunga rincorsa alla professione regolata continua a mostrare i suoi effetti, ma dal 2010 in poi il numero di professionisti in alcune professioni specialistiche appare stabilizzato, se non in contrazione. Negli ultimi anni il numero di nuove partite Iva in questo segmento professionale varia significativamente da anno ad anno. Il 2014 è stato caratterizzato da un incremento straordinario nell’apertura di partite Iva, dovuto all’introduzione con la legge di stabilità 2015 di un regime fiscale di vantaggio. Nel solo mese di dicembre 2014 il numero di aperture per il settore è stato pari a poco meno di 27.000 unità (contro le 1.936 dello stesso mese dell’anno precedente).


La Fipe: ristorazione in crescita, ma trovare cuochi e camerieri resta difficile

La ristorazione in Italia riparte e fa largo ai giovani ma mancano figure professionali, in particolare cuochi. E’ quanto emerge da un’indagine di Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) presentata nei giorni scorsi nell’ambito dell’evento “Food and Wine in Progress”. Mentre i consumi alimentari delle famiglie per i pasti in casa continuano a scendere (hanno perso oltre 12 punti percentuali dal 2007 al 2015), è stato rilevato che dal 2013 la spesa per il “fuori casa” ha ripreso a salire in maniera via via più marcata. E con essa è cresciuta anche l’occupazione nel settore: +1,5% dal 2008 al 2015, con una variazione positiva di 96mila nuovi addetti che non ha riscontri in nessun altro comparto economico, fatto salvo quello dei servizi. Non solo: con il 72% di dipendenti “under 40”, la ristorazione si dimostra un settore ideale per i giovani. Tra le figure professionali più richieste dalle aziende ci sono cuochi, aiuti cuochi, camerieri, baristi, pasticceri e gelatai artigianali. In alcuni casi, si legge in una nota, si tratta di personale di difficile reperimento, segno forse che le scuole dovrebbero dialogare di più con le imprese per predisporre percorsi formativi adeguati alle esigenze effettive del mercato.