Si torna a parlare del centro città, della sua perdita di appeal commerciale, del progressivo spopolamento. Attraverso una serie di interviste a soggetti istituzionali, L’Eco di Bergamo ha risollevato il tema, tanto vecchio quanto paradossalmente sempre attuale. Ha detto la sua, pur vincendo un’ iniziale resistenza, anche il sindaco Giorgio Gori. “Riporterò i bergamaschi a fare shopping in centro” ha garantito. E poi ha spiegato come si sta muovendo l’Amministrazione comunale. Benissimo, qualche elemento in più per capire ora l’abbiamo. Ma, pur sapendo di andare incontro al pericolo di far inarcare il sopracciglio al primo cittadino, amante più degli elogi che delle osservazioni quand’anche fatte senza alcun spirito di parte, vorremmo sommessamente osservare che proprio su questo fronte, non necessariamente il più rilevante della sua esperienza alla guida della città, non si è ancora avvertito quello scatto in avanti, quella svolta di metodo e di merito promessa agli elettori.
Sono passati quasi due anni, è doveroso ricordarlo, dall’insediamento, un tempo non lunghissimo ma nemmeno così breve per avere chiaro in testa il quadro delle problematiche di cui soffre il centro città (non Valtesse o Boccaleone, con rispetto parlando). Del famoso-famigerato concorso internazionale di idee, salvo errori, non c’è ancora traccia. Al momento, da quel che è dato sapere, visto che Gori ama lavorare sottotraccia, esisterebbe una “visione” largamente condivisa con gli attori del Distretto Urbano del Commercio. Non se ne conoscono i contenuti, ma forse è giusto che fino a che il puzzle non sarà completato rimanga riservato. Purché, tuttavia, l’attesa non si prolunghi all’infinito.
Come per gli interventi sulla viabilità, è tempo di mettere a profitto le idee. Per una ragione molto semplice: le lungaggini della burocrazia, un dazio da cui nessuno può sentirsi esentato, sicuramente imporranno lunghi intervalli fra la decisione e la realizzazione. Due anni sono già volati via, ne restano tre ma non si creda che sia poi tutto questo tempo. Soprattutto se, come qualche volta par di capire, si immaginano anche decisioni che andranno ad impattare sulla sosta e la viabilità. L’esperienza insegna che Bergamo è la città, come ebbe a dire Roberto Bruni, del “toca negot” (non toccare niente) e sempre, anche quando sono stati adottati provvedimenti che a lungo andare si sono rivelati lungimiranti (pedonalizzazione di via XX Settembre), al loro apparire hanno provocato scontri, polemiche, tensioni. E conseguente perdita di tempo.
Ecco perché Gori deve imprimere un’ accelerazione. Su altri fronti, di prospettiva, vedi il recupero della Montelungo e del teatro Donizetti, o di rilancio della politica culturale, il sindaco ha saputo dar segno di discontinuità rispetto ad un recente passato fatto di equilibrismo buonista fine a se stesso (e infatti gli elettori hanno voltato pagina). Al contrario, impiegare due anni per arrivare a definire, non ancora varare, una variante urbanistica che consenta l’apertura di superfici commerciali superiori ai 400 mq, non è proprio una performance da Speedy Gonzales. Così come si sta facendo attendere un po’ troppo lo studio (solo lo studio, eh) del tram bus, uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale.
Sono solo due esempi, altri se ne potrebbero fare. Non abbiamo dubbi che il primo ad essere conscio della necessità-opportunità di stringere i tempi sia lo stesso Gori. Forse lui, da manager di successo, lo declina all’inglese, ma anche per un amministratore pubblico vale il vecchio precetto bergamasco secondo il quale va bene discutere attorno al tavolo, ma a mezzogiorno “la polenta va messa in tavola”.