Capel de Monega, un raviolo “brevettato” in omaggio alla Val Brembana

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Andrew Regazzoni e il collega Ludovico Pozzi, ideatore del primo Capel de Monega
Andrew Regazzoni e il collega Ludovico Pozzi, ideatore del primo Capel de Monega

Una valle racchiusa in un raviolo! È la sfida di Andrew Regazzoni, chef 41enne di San Pellegrino, che, convinto dell’importanza della gastronomia per raccontare e promuovere un territorio, ha voluto offrire alla sua Val Brembana un nuovo biglietto da visita goloso. Per farlo non ha lasciato nulla al caso. Ha infatti registrato all’Ufficio brevetti e marchi della Camera di Commercio di Bergamo nome, forma e ingredienti del piatto, lo ha corredato di tabella nutrizionale, curata dal nutrizionista Vito Traversa, e di un’immagine firmata dall’illustratore Stefano Torriani.

Si chiama “Capel de Monega”, tradotto dal dialetto “cappello di monaca”. È una pasta ripiena che, come dice il nome, ricorda nella forma i copricapi dalle larghe falde di alcuni ordini religiosi. All’interno un cuore di magro fatto di patate, barbabietole, formaggio di monte stagionato, mostarda di Cremona (unico sconfinamento fuori provincia per trovare la nota acida necessaria a chiudere il gusto) e burro di malga. «È un omaggio alle produzioni e tradizioni del territorio – spiega Regazzoni -. Le patate, un tempo tipiche delle nostre montagne, di Carona in particolare, sono quelle della cooperativa sociale Ca’ Al del Mans di Serina, le barbabietole, che danno il caratteristico colore rosa al ripieno, vengono dalla Valle di Astino, il formaggio di monte è quello stagionato tre anni della latteria sociale di Valtorta e la pasta è fatta con poche uova, secondo l’uso bergamasco. Il mio consiglio è di servirlo su una fonduta di Taleggio o Branzi, anche aromatizzata con erbe».

Il raviolo brembano Ccapel de Monega
Il raviolo brembano Ccapel de Monega

Il Capel de Monega è già nella carta di alcuni ristoranti e rifugi, ma verrà presentato  ufficialmente venerdì 25 novembre nella serata “Convivium” organizzata da Regazzoni all’albergo Papa di San Pellegrino, dove lavora e dove per l’occasione ha riunito aziende, anche piccolissime, della Valle Brembana con i loro prodotti ed un gruppo di chef del territorio che li elaboreranno sul momento in versione finger food, prima di passare a tavola e gustare il raviolo.

«La ricetta risale ai primi anni Novanta – racconta lo chef -. L’ha messa a punto un amico e collega, Ludovico Pozzi, che oggi lavora al Niniva di Almè.  Quando l’ho assaggiato, circa cinque anni fa, mi è sembrato un buon prodotto ed ho cercato, d’accordo con lui, un modo per valorizzarlo».  «La scelta di tutelarlo con un marchio non è legata a fini commerciali – precisa -, ma alla volontà di fissare in maniera precisa come è fatto e come è nato. Sino ad ora lo abbiamo lasciato volentieri “in eredità” nei locali dove siamo passati e potrà anche darsi che verrà copiato. Non ci importa. Per noi quest’operazione serve ad affermare che in Val Brembana ci sono prodotti di eccellenza ma anche idee, professionalità e determinazione per farli apprezzare. Un modo per dare una mano al territorio con ciò che noi cuochi sappiamo fare».