“Bergamo è rimasta senza padri” dice in una lunga, e non priva di spunti (alcuni condivisibili e altri molto meno), intervista al sito Bergamopost.it l’avvocato Cesare Zonca. In occasione del suo ottantesimo compleanno, il legale d’affari più famoso e influente della città, colui che con l’ex presidente della Banca Popolare di Bergamo (poi Ubi) Emilio Zanetti ha rappresentato lo snodo obbligato di tante vicende, economiche ma anche dai risvolti politici, è chiamato a tracciare un quadro della situazione e ad offrire al lettore un punto di vista sulle condizioni dello scenario bergamasco. E spicca, pur nella ritrosia forse dettata da carità (il vero signore non infierisce mai), la constatazione di una terra rimasta orfana di padri, cioè di figure di riferimento.
E’ un’osservazione da condividere in pieno. La sua, anzi, è la certificazione di quanto da anni andiamo sostenendo a proposito della dilagante mediocrità che ha investito pressoché ogni ambito della vita bergamasca, da quello economico a quello politico non trascurando quello culturale come quello sociale. Certo è paradossale ritrovarsi in questa situazione di sostanziale assenza di leadership dopo aver sentito per anni auspicare da più parti la fine, fisiologica, della lunga stagione dei cosiddetti “grandi vecchi”.
Zonca, bontà sua, individua nel sindaco Giorgio Gori una “figura promettente”. In nuce, alcune caratteristiche ci sono: la visione di lungo periodo, la capacità di coltivare rapporti con i mondi che contano, le doti comunicative. Indubbie qualità che tuttavia forse non bastano per farne un vero leader se non addirittura un “padre”. La leadership è qualcosa di più e di più complesso che al momento, ma è ancora ai primi passi della sua esperienza politico-amministrativa, Gori lascia soltanto intravedere. Ma anche ammettendo che il sindaco abbia tutto per diventare una guida riconosciuta, o quantomeno stimata, anche da chi politicamente la pensa in modo diverso, resta che la realtà bergamasca ha bisogno come il pane di tante, e diverse per cultura e estrazione sociale, figure di riferimento.
Proviamo a volgere per un attimo lo sguardo all’indietro, così forse il discorso risulta più comprensibile. Fino a poco più di vent’anni fa la scena orobica era calcata da personaggi che oggi, al di là di come la si pensi, appaiono come autentici giganti: accanto a Zonca e Zanetti, ciascuno nel proprio ambito, c’erano Filippo Maria Pandolfi e Mirko Tremaglia, don Andrea Spada, Roberto Sestini e le famiglie Radici, Pesenti e Mazzoleni. Oggi che per le più disparate ragioni (chi si è ritirato, chi ha solo lasciato la prima linea, chi ha fatto scelte diverse, chi non c’è più) queste figure sono venute a mancare, è chiaro a tutti quanto Bergamo sia più povera.
Non si tratta di coltivare inguaribili nostalgie né di immaginare che possano esistere uomini per tutte le stagioni. Resta l’osservazione di Zonca: non ci sono più padri. E a partire dai padri, che per primi avrebbero potuto agevolare (ma forse ci hanno provato, non riuscendoci) la nascita di “figli” all’altezza, tutti sono chiamati ad una seria riflessione. Quel vuoto va riempito, quel quid in più va trovato. Assodato che i leader non nascono in provetta e tantomeno lo diventano per cooptazione, prima si creano le condizioni per la nascita e la crescita di una classe dirigente adeguata alle sfide meglio sarà per tutti. A partire dagli ignari nipotini.