Banche, quel mercato più severo degli indici europei

Banche, quel mercato più severo degli indici europei

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MontepaschiIn un mercato azionario che definire depresso appare un eufemismo, nei giorni scorsi è avvenuto un fatto insolito. Capita che un titolo si trovi a crollare rapidamente del 10% ed oltre: Renault, ad esempio, è precipitata del 20% pochi minuti dopo che si era sparsa la voce di un suo possibile coinvolgimento in uno scandalo di emissioni truccate. Come nel caso del gruppo francese, quando c’è un crollo c’è però anche una spiegazione, solida o meno che sia. Pochi giorni prima del caso Renault, in poche ore i titoli di due banche italiane, Montepaschi e Carige, sono andati a picco, perdendo alla fine della seduta rispettivamente l’11,2% e il 13,6%. La stranezza non sta tanto nella caduta dei titoli quanto nella spiegazione che ne è stata data: colpa della speculazione.

Dire che i titoli oscillano in Borsa per effetto della speculazione è come dire che le quotazioni scendono perché cala il prezzo. E’ curioso che ci si possa accontentare di questa spiegazione, senza andarsi a chiedere perché proprio su questi due titoli si sia concentrata l’attenzione degli speculatori, dei quali si può dire di tutto sul punto morale, che sono cinici, approfittatori e con il pelo sullo stomaco, ma non che sono degli sprovveduti. Non è andato a fondo sul tema nemmeno chi ha sostenuto che su Montepaschi e Carige possa essere stato fatto un test sulla solidità del sistema creditizio nazionale che ha salvato, ma deve ancora sistemare quattro istituti del centro Italia. Eppure proprio in questo caso sarebbe stato di maggiore interesse spiegare perché questi due istituti sono sentiti come gli anelli deboli, oggetto di prova di resistenza.

La speculazione, questa misteriosa entità che in fondo corrisponde al mercato, crede insomma che Montepaschi e Carige siano i primi candidati al “bail in”, al salvataggio anche con i soldi dei grandi correntisti? Eppure la banca senese è sotto il controllo diretto della Banca centrale europea ed ha superato i suoi test sul capitale. E Carige ha giudicato “ingiustificato” e “anomalo” l’andamento borsistico, sottolineando la sua “solidità patrimoniale e finanziaria nel pieno rispetto degli indicatori di vigilanza” attraverso una serie di valori: Cet1 Ratio (rapporto tra il capitale ordinario e le sue attività ponderate per il rischio) al 12-12,2%, rispetto all’obiettivo dell’11,25% richiesto dalla Bce e Liquidity Coverage Ratio (che calcola la capacità di soddisfare in caso di stress predefinito il fabbisogno di 30 giorni di liquidità attraverso attivi disponibili di alta qualità) del 138% rispetto alla richiesta del 90%.

Ma evidentemente non erano queste le risposte che il mercato (o la speculazione) voleva. Infatti ha colpito Carige e Montepaschi (che presenta un Cet1 più alto di Unicredit) non perché siano ritenute deboli dal punto di vista patrimoniale, dato che entrambe sei mesi fa hanno portato a termine aumenti di capitale che li hanno messi in linea con le richieste europee, ma per la questione, sempre più di emergenza, dei debiti in sofferenza. Dopo anni in cui si è stati attenti a rafforzare il patrimonio, a detrimento della redditività, come misura preventiva in caso di difficoltà, si scopre, a dire la verità non da ora, che il problema è meglio valutarlo sotto un altro punto di vista. Carige e Montepaschi sono a posto con gli indici patrimoniali richiesti dall’Europa, ma sono più esposti su un altro, che sta assumendo maggiore importanza, che valuta il rischio sui prestiti inesigibili. Il cosiddetto Texas Ratio, che misura il rapporto tra patrimonio netto tangibile e accantonamenti su crediti, al Montepaschi è circa del 140%, contro una media italiana del 100% e una europea del 53%.

Così si può essere in regola con l’Europa, ma non con il mercato, che a volte è più esigente, ed è arrivato a valutare Montepaschi appena il 30% del valore di libro tangibile. Teoricamente sarebbe un prezzo da saldo, o da immediata scalata (2,7 miliardi è il valore di Borsa complessivo di uno dei primi istituti nazionali, neanche un miliardo quello di Carige), se non fosse che finché non verrà risolto il problema dei prestiti inesigibili, con quella bad bank che l’Europa si ostina a non volere concedere o con una cessione seppure a caro prezzo ai “rivenditori di sofferenze”, tutto l’utile prodotto, e forse anche qualcosa di più, sarà destinato ad accantonamenti sui crediti, con la prospettiva che di fronte al minimo peggioramento sulle sofferenze, che a livello globale si stima dovrebbero avere quest’anno il picco, si debba ricorrere a un nuovo aumento di capitale.

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