Ballottaggi, ora Renzi provi a scendere dal piedistallo

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Matteo Renzi
Matteo Renzi

Che legnata per Matteo Renzi. Inutile girarci intorno e rifugiarsi dietro l’alibi stantio “erano elezioni locali”. Chi per un anno ci ha riempito le orecchie, per tacer del resto, con il ritornello “ho preso il 40%, devo cambiare l’Italia” ora, dopo la botta della Liguria e le sonanti sconfitte di Venezia e Arezzo (ma su sette capoluoghi al ballottaggio il centrosinistra ne ha conquistati solo due…), sarà bene prenda atto che gli italiani sono tanti bravi ad innamorarsi follemente del fenomeno, vero o presunto, del momento, salvo scaricarlo non appena avuto il modo di verificare se ai proclami sa far seguire i fatti. Altro che sparare a salve contro gufi e civette, altro che piagnucolare per i dispetti dell’opposizione interna (masochista di suo ma obbligata in qualche modo a reagire alle frequenti smargiassate del Giovin signore di Firenze).

Le dinamiche locali hanno un peso, negarlo sarebbe ingiusto oltre che disonesto. E tuttavia il chiaro segnale dell’edizione 2015 delle amministrative (antipasto di un menù che di qui ad un anno metterà nel piatto città del calibro di Milano, Torino e Napoli) e’ duplice. Da un lato, indica che il metodo da one man show di Renzi mostra la corda. La sua corsa forsennata da battistrada isolato, auto investito del ruolo di salvatore della Patria, attira sempre meno sostenitori. Pensare di risollevare un Paese mettendosi sistematicamente contro tutto e tutti (ora i partiti, ora i sindacati, ora i giornali) può forse vellicare l’istinto solipsistico di chi, ricordate l’unto del Signore?, ha una visione della società da marchese del Grillo (“io so’ io, voi non siete un c…”), ma non aiuta a mettere in circolo tutte le energie di cui ci sarebbe bisogno. Tanto più in un momento di così gravi difficoltà.

E qui si passa all’altro segnale. Se dal metodo si passa al merito, beh il leader del Pd ha evidenziato parecchi limiti. Sulla gestione dell’ondata immigratoria, che tocca nella carne viva gli italiani e chiama in prima linea proprio i sindaci e i presidenti delle regioni, Renzi ha passato giorni a lanciare messaggi buonisti (mentre francesi e tedeschi, senza parlare degli inglesi, chiudevano le frontiere) senza prendere alcuna iniziativa. Pensava forse che gli elettori lo avrebbero premiato? Che nel centrodestra ci sia chi soffia beceramente sul fuoco e’ innegabile, e purtuttavia alle desolanti scene che arrivano dalle stazioni di Milano e Roma, oltre che dalle spiagge di Ventimiglia, non si può replicare con fervorini da boy scout. Anche l’accoglienza ha dei limiti e, soprattutto, delle regole. Ma Renzi ha di che rimproverarsi anche sul piano delle scelte dei candidati per le Regionali e le Comunali. Lo si è visto chiaramente: non è in grado di controllare il partito in sede locale. Di più: come dimostrano i casi Emiliano in Puglia e Rossi in Toscana, vincenti sono solo le figure provenienti dalle aree che il segretario Pd avversa. Si capisce che tutto votato com’è alla dimensione planetaria faccia fatica ad occuparsi dei cortili, ma non era lui che fino a poco fa si vantava di essere il “sindaco d’Italia”?

E infine, che dire dell’atteggiamento vagamente ondivago sulle tante inchieste che coinvolgono uomini del Pd, da Mafia Capitale in giù, o di altri partiti di governo? A seconda dei casi e delle convenienze Renzi fa il garantista o il giustizialista. Nella singola circostanza magari riesce anche ad arrivare dove vuole (per esempio, far fuori Lupi che pure non ha mai ricevuto un avviso di garanzia), ma alla lunga non riesca a gabbare gli italiani stanchi di vedersi investiti, ogni giorno che passa, da sempre nuove inchieste sul malaffare di chi campa su e attorno alla politica. Ci pensi bene, il premier, la vera sfida per lui inizia forse adesso. Metta da parte le ribalderie, si apra al confronto vero, si scelga collaboratori in grado di dargli un supporto più consistente della mera fedeltà sempre e comunque. Proprio dalle elezioni amministrative rimbalzano tante storie di italiani, spesso giovani, che hanno voglia di impegnarsi per cambiare le loro città e, quindi, il Paese. Le energie ci sono. Se Renzi scende dal piedistallo magari se ne accorge pure lui.

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