Tra spese da limare e magazzini da gestire, i negozi di moda mettono in campo strategie e idee per stimolare i consumi e resistere alla crisi. «Finora gli affari sembrano andare meno peggio degli anni scorsi nonostante l’avvio della stagione autunno-inverno non sia stato d’aiuto con un ottobre caldissimo – commenta Giovanni Salvi, responsabile ufficio acquisti di "Petronio", storica boutique dal 1954 in via Locatelli -. L’abbigliamento femminile e gli accessori in particolare continuano a resistere, a differenza dei capi maschili, acquistati sempre più per la reale necessità di rinnovare il guardaroba». I clienti sono sempre più attenti e preparati: «Prima si acquistava soprattutto la griffe, ora prevale la qualità dei capi, dalle finiture alla composizione, alla manifattura italiana». Un vero e proprio ritorno alle origini: «Il classico non tramonta mai, ma grazie ad una linea più contemporanea – dalle giacche destrutturate alle cravatte rivisitate, agli abiti ridisegnati – stiamo intercettando una clientela più giovane, dai 30 ai 40 anni. È importante scrollarci di dosso il pregiudizio di molti bergamaschi che nel nostro negozio la spesa sia elevata. Abbiamo frazionato il budget di acquisto tra diversi capi per intercettare più clienti, selezionando con cura marchi italiani di qualità e stile, ma dal giusto rapporto qualità-prezzo». Ha invece chiuso ad aprile 2014 l’outlet del negozio in via Quarenghi, aperto alla fine del 2012: «È stata un’esperienza positiva che ha senz’altro contribuito a gestire in modo ottimale le rimanenze – spiega Salvi -. La speranza è di non trovarci mai più con tanti capi in magazzino». Il calendario dei saldi non aiuta: «Dopo un ottobre primaverile per non dire estivo, abbiamo poco più di un mese di stagione prima che partano i saldi. È inevitabile che in molti scelgano di posticipare gli acquisti importanti».
«L’abbigliamento maschile continua a soffrire in un contesto in cui il lavoro è sempre più precario e le famiglie si trovano costrette a tagliare ogni spesa superflua – rileva Paolo Rigoli, titolare di "Abitex", negozio specializzato nella moda maschile, dal 1941 in di via Borgo Palazzo -. Si vende meno e a calare è anche il numero di chi esce a passeggio per vetrine». In questo momento la gente è molto sensibile agli sconti, ma tra vendite promozionali e saldi il 5 gennaio, il periodo di vendita è ridotto all’osso. «Quest’anno come non mai sarebbe importante posticipare la data saldi: il calendario rende davvero difficile la loro organizzazione – continua Rigoli -. Ci troveremo a gestire inventario, cambio regali di Natale e partenza dei saldi in concomitanza. Un vero disastro dal punto di vista organizzativo e anche nei confronti dei clienti che si trovano a sostituire capi acquistati a prezzo pieno nella giornata clou di avvio dei saldi, sempre più lontani dall’essere delle vendite di fine stagione». E poi c’è lo spettro dell’aumento dell’Iva: «Gli ultimi due ritocchi ce li siamo sorbiti senza intervenire sui prezzi di cartellino; il terzo aumento, sommato al maggior esborso richiesto per altre imposte, sarebbe inaccettabile».
«Quest’anno la stagione non è ancora decollata e finora l’avvio sembra peggiore di quello, tutt’altro che roseo, del 2013 – racconta Maria Grazia Volpi di "Carom", negozio inaugurato da papà Carlo e dallo zio Romolo in via XX Settembre nel 1961, affiancata nella gestione dalla sorella Monica -. Anche la clientela privilegiata, che non soffre la crisi, sembra aver ritoccato al ribasso il budget destinato allo shopping. I capispalla e gli abiti quest’anno soffrono molto, all’inizio per l’autunno torrido e ora per il conto alla rovescia con le vendite di fine stagione. I saldi cadono troppo in anticipo ed è tempo di fare un po’ di ordine in materia. È bene far capire che per fare tornare i conti il taglio al prezzo di cartellino deve essere dal 20 al 30% al massimo. È impossibile vendere un capo, selezionato con cura e con il giusto ricarico, a metà prezzo. I veri saldi non possono superare una certa percentuale di sconto». La crisi si sente anche nella via dello shopping bergamasca per antonomasia: «Negozi storici e prestigiosi hanno chiuso o cambiato gestione e la loro mancanza, con quei locali vuoti e sfitti, si fa sentire. Alle 19 il centro è già deserto – rileva ancora -. Si avverte come non mai l’urgenza di affrontare la questione, unitamente alla politica degli affitti».
Da Harrison, boutique specializzata in abbigliamento maschile, dal 1983 in via Paglia, Oscar Marelli sta sperimentando con successo la possibilità di riassortimenti o cambi merce con i fornitori: «Settembre e ottobre sono mesi importanti per capire quali sono i capi che funzionano, che incontrano i gusti e le aspettative dei clienti. A novembre è tempo di rivedere le scelte fatte e di rimodularle, anche se ciò significa acquistare da contratto circa il 20% in più della merce. Bisogna tener vivo l’interesse dei clienti, rinnovando l’esposizione almeno ogni due settimane. I nuovi arrivi e le anteprime delle collezioni ravvivano l’atmosfera del negozio e stimolano i consumi, come gli eventi che organizziamo per presentare marchi e collezioni». Nonostante le difficoltà non manchino, il bilancio in quest'ultimo scampolo di 2014 è sostanzialmente in linea con il 2013: «Stiamo riuscendo a mantenere il fatturato dello scorso anno – dice Marelli -. La rincorsa alle vendite promozionali non aiuta e nemmeno il calendario dei saldi. Quest’anno, complici le bizze del meteo, l’acquisto di giacche e giacconi sembra destinato ad essere rinviato. Del resto, il 70% dei capispalla si acquista in occasione dei saldi». Si avverte come non mai la necessità di una politica di rilancio del centro: «Purtroppo le grandi catene hanno avuto la meglio sui negozi di qualità, quelli in grado di attrarre con la loro peculiarità turisti e visitatori. La città si sta ingrigendo e sembra essere entrata in un loop. Serve una vera svolta: il primo passo è quello di rivedere gli affitti, sempre più insostenibili con il calo delle vendite che ogni attività registra. Si potrebbe incominciare da luci e addobbi: sarebbe bello creare un’atmosfera unica per Natale. Una luce ogni cento metri non basta per richiamare gente in centro».
IL DATO
In Bergamasca i negozi di abbigliamento e calzature resistono alla crisi, dopo aver registrato un calo importante nel 2010 e nel 2011 (dal 2009 al 2010 si è passati dalle 1.943 attività a 1.854, per risalire di poco a 1.872 nel 2011 e ritornare nel 2012 a contare 1.929 imprese). L’aggiornamento al 30 settembre di quest’anno (elaborazione Ascom su dati Cciaa) parla di 1.904 le imprese del comparto tra città e provincia, di cui 257 specializzate nelle calzature, nel complesso lo 0,52% in meno del 2013 (-0,30% per l’abbigliamento, -1,91% per negozi di scarpe e accessori).