Da poco meno di un anno c’è un bando comunale che sostiene l’apertura di nuovi negozi nelle aree più carenti di servizi di vicinato, ma in via Quarenghi le vetrine vuote, le serrande abbassate ed i cartelli “affittasi” o “vendesi attività” aumentano anziché diminuire. Nella zona dei supermarket cinesi, dei phone centre, dei kebab e dei ritrovi etnici, non solo faticano a trovare spazio le attività tradizionali, ma sembra si sia rallentato anche il subentro dei servizi prevalentemente rivolti agli immigrati. Una ragione in più per pensare a come dare un nuovo volto alla zona che, benché vicinissima al centro, viene percepita dalla maggior parte dei bergamaschi come off limits, e la cui riqualificazione è da tempo oggetto di attenzione delle Amministrazioni comunali.
Per cogliere criticità, potenzialità e proposte decidiamo semplicemente di percorrerla da cima a fondo, partendo dalla parte bassa, la meno invitante, in compagnia di Giulia Martinelli, presidente dal Comitato quartiere Quarenghi. «Il commercio può dare un grandissimo aiuto alla rinascita della via – afferma –, ma deve essere attrattivo. Più che per il timore di fare incontri spiacevoli, che obiettivamente non è fondato almeno di giorno e soprattutto dopo il massiccio intervento delle forze dell’ordine contro gli spacciatori, la gente non arriva qui perché non c’è niente da vedere o da comprare. Chi possono attirare vetrine in cui sono ammassati abiti, scarpe e accessori di bassa qualità? O locali che in bella mostra hanno solo cartoni di birra? Che senso hanno cinque phone centre in 300 metri?».
Ma nemmeno un bar caffetteria gestito da italiani, come il “Secondo Tempo” al numero 36, ha avuto grandi chance ed ha chiuso dopo neanche sei mesi. «È indubbio che per resistere in via Quarenghi – rileva Giulia Martinelli – bisogna offrire qualcosa in più, qualcosa che non si trova altrove, altrimenti il confronto è perso in partenza con le altre zone della città. Non è un caso che due attività che qui funzionano siano il negozio “La Giacca”, specializzato in abiti da lavoro, e il ristorante macrobiotico, esercizi con una proposta unica e per questo capace di attrarre clientela da un ampio bacino». Non bastano, quindi, nuove insegne a cambiare il volto alla via, servono, secondo la presidente, «innanzitutto idee e capacità imprenditoriali in chi li gestisce, ma anche un confronto e una programmazione di più ampio respiro sui destini commerciali della via». «Il bando del Comune – afferma – poteva essere un’occasione per dare degli indirizzi più precisi. Anche il Distretto del commercio può essere il luogo ideale per mettere a fuoco questi temi, ad esempio per un’analisi precisa dei bisogni dei circa mille residenti, per coinvolgere i proprietari degli immobili, per individuare la vocazione della zona e stilare un progetto complessivo di rilancio del commercio. Il Comune ha anche tutti gli strumenti legislativi per farlo».
Se i problemi maggiori li ha la parte bassa della via, anche dopo l’incrocio con le vie Spaventa e Palazzolo non mancano vetrine vuote o annunci di una prossima chiusura. Qui ad incidere sono soprattutto la crisi e il caro affitti, come in altre zone della città, ma qualche accorgimento potrebbe dare una mano, incanalando anche da queste parti chi passeggia in centro. «In pratica siano sul retro di via XX settembre – fa notare la presidente del Comitato -. Basterebbe che i negozi avessero l’entrata anche su via Zambonate, che l’accesso alla Galleria Mazzoleni e al vicolo Macellerie fosse più invitante e la piazzetta destinata a qualcosa di più gradevole di un parcheggio di motociclette per creare un collegamento interessante con la via dello shopping più frequentata della città».
Se il Comitato, creato nel 2002 e poi rinvigorito nel 2006, si occupa di «incanalare il malcontento in azioni positive, di rafforzare il rapporto tra i residenti e segnalare alle istituzioni ciò che non va», l’Associazione, nata nel 2008, è la realtà che promuove iniziative. Consapevole che siano proprio le vetrine una chiave per valorizzare la via e restituirle vivibilità, sta ora lavorando per rimettere in gioco, almeno nel periodo natalizio, quelle dei negozi sfitti, ospitando artisti o onlus con i propri lavori. «Abbiamo pensato ad un evento temporaneo – spiega Giulia Martinelli – che crei curiosità e porti visitatori. Al momento stiamo ancora valutando le modalità, ma quella degli artisti e delle associazioni senza scopo di lucro pare la più percorribile anche sul versante dei costi».