Oscar Fusini: “Da sempre figure insostituibili sia come imprenditrici che come coadiuvanti”
L’impresa nel terziario è da declinarsi sempre più al femminile. Nel terziario orobico sono attive 5.852 imprese femminili, 4.806 ditte individuali e 1.046 società. Rappresentano quindi il 24,6% delle imprese attive di commercio, turismo e servizi. Quanto alla dinamica tra aperture e chiusure, emerge ancora una certa fragilità dell’imprenditorialità femminile: nell’ultimo anno sono nate 295 nuove imprese femminili (dato Ascom Confcommercio Bergamo su elaborazione dati camerali) pari al 24,5%, in linea con la consistenza media delle nuove imprese; hanno però cessato 441 imprese, pari al 26,7%, una percentuale purtroppo molto più alta rispetto media. Il tasso di chiusura è stato del 2,4%, nettamente più elevato di quello rilevato negli altri settori. Le imprese femminili attive a Bergamo sono 17.217 (con un calo dello 0,7% su base annua al IV trimestre 2022) e rappresentano il 20,8% delle imprese attive totali. “Le imprese femminili nel commercio, turismo e servizi sono tradizionalmente molte di più in percentuale rispetto alla media di tutti i settori- commenta Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo-. Pur non essendo un settore di esclusivo appannaggio femminile, la presenza di donne nei servizi, alloggio, ristorazione e in generale nel terziario è superiore in tutti i segmenti delle attività. E questo senza considerare la figura del coadiuvante familiare che nella stragrande parte dei casi vede la moglie collaboratrice del marito nell’impresa familiare”. Nell’ultimo anno l’apertura di nuove imprese femminili è stata in linea con il rallentamento registrato in generale nella creazione di nuove imprese del terziario. Anche se dal 2018 al 2022 i numeri delle imprese femminili sono comunque cresciuti, soprattutto nel 2021 per effetto dei sostegni economici in piena pandemia. “Sono state le chiusure di imprese gestite da donne ad essere nettamente più alte della media- continua Fusini-. Le imprese femminili sono più fragili di quelle gestite da uomini. Questo anche prima della pandemia e della crisi energetica. L’ultimo anno ha enfatizzato molto di più il fenomeno. Non riteniamo che alla base di questa debolezza non ci sia un problema di competenze, anzi per titoli di studio spesso le donne sono mediamente più scolarizzate degli uomini ma di fragilità patrimoniale e spesso anche di difficoltà nel conciliare famiglia e lavoro. Da tempo sosteniamo l’urgenza di un sistema di sostegno e di supporto superiore alle donne imprenditrici e libere professioniste, che ad oggi non esiste. Valga come esempio l’impostazione della scuola, sin dall’infanzia è strutturato sui cinque giorni settimanali feriali mentre il lavoro in proprio si distribuisce quasi sempre su sei giorni e spesso comprende anche i festivi”.