A questo punto nulla osta a che sabato come da convocazione e da previsioni iniziali, Ubi Banca celebri a Brescia la sua assemblea e si trasformi in società per azioni, se così vorranno i soci. La terza sezione del Tar del Lazio ha respinto la richiesta di sospensiva cautelare della circolare della Banca d’Italia avanzata da alcuni soci, convocando l’udienza per la discussione al 10 febbraio, quando si terrà la riunione relativa anche ad altri ricorsi che la richiesta di sospensiva non l’hanno presentata. Quindi quest’oggi, giovedì 8 ottobre, quando si riuniranno i consigli di Ubi, convocati prudenzialmente in precedenza proprio per valutare le decisioni del Tar, non resterà che prendere atto che la situazione legislativa è esattamente quella di quando è stata indetta l’assemblea e che non ci sono ragioni per cambiare il programma.
Quella del Tribunale infatti non è stata una “non decisione”, ma ha stabilito quale è la normativa in vigore e quindi con quali regole si può tenere l’assemblea di sabato. A dire una qualsiasi Popolare un’assemblea per la trasformazione in società per azioni avrebbe potuto tenerla anche se non ci fosse stato l’obbligo di lasciare lo status di cooperativa entro la fine del 2016. E Ubi avrebbe potuto tenerla anche in caso di sospensiva dell’intera riforma delle Popolari. Il chiarimento necessario, arrivato in conseguenza della non sospensiva del Tar, è che sabato sarà possibile la limitazione del diritto di recesso deliberata in 350 milioni, pari al 5% del capitale e concessa dalle disposizioni attuative della Banca d’Italia. Se la norma fosse stata sospesa, il gruppo si sarebbe esposto al rischio di dover comprare a circa 7,2 euro l’una tutte le azioni presentate dai soci non favorevoli all’operazione. Considerato che ieri, mercoledì 7 ottobre, la quotazione in Borsa di Ubi era di 6,64 euro, il “premio” garantito di una sessantina di centesimi rispetto a quanto un’azionista potrebbe ottenere sul mercato, avrebbe potuto alimentare qualche speculazione ed esporre la banca a un improvvido depauperamento patrimoniale. Forse il rischio non sarebbe stato così alto – ma lo si saprà solo quando il diritto verrà effettivamente esercitato – e l’assemblea si sarebbe potuta tenere anche con diritto di recesso illimitato. In ogni caso l’udienza dal Tar ha tolto anche questa preoccupazione.
Quello che il Tribunale amministrativo regionale non ha potuto cancellare, e che inevitabilmente sarà il tema dell’assemblea, sono i dubbi sulla tempistica scelta da Ubi, oltre ovviamente alle perplessità, di fatto accademiche, sulla bontà di una legge, che però la banca non ha scelto, ma si trova a dover rispettare. Senza entrare nelle sterili elucubrazioni sul fatto che questa imposizione possa essere tutto sommato gradita a parte dell’azionariato, rompendo gli indugi e i tabù della intoccabile cooperativa, o sia una prevaricazione, la concreta discussione riguarderà la decisione di Ubi di trasformarsi subito in Spa e non aspettare, come sono orientate le altre Popolari, la primavera o addirittura l’autunno 2016.
La prima obiezione è che, in caso di accoglimento dei ricorsi o di qualsiasi modifica della legge, c’è la possibilità che Ubi si trovi ad essere una società per azioni, anche se avrebbe potuto evitarlo. Non si vedono i motivi di possibile impugnazione di una libera delibera dell’assemblea straordinaria secondo la normativa in vigore e quindi Ubi si sarebbe in quel caso effettivamente condannata a una natura che ufficialmente non desiderava.
Ma nel caso, non improbabile, che in futuro la normativa non cambi, il risultato di rinviare la trasformazione sarebbe stato per la banca quello di trovarsi in una situazione di precarietà e di debolezza di fronte, ad esempio, alle possibili aggregazioni. Risolvere la questione “cooperativa o spa” vuol dire trovare almeno un punto fermo in un mondo bancario dove anche le regole apparentemente stabili sono in continuo movimento. Ma Ubi ha una ragione in più, rispetto alle altre popolari, per una trasformazione precoce ed è quella del rinnovo cariche in programma in primavera. Appare un controsenso rinnovare con le logiche della cooperativa un consiglio che dopo pochi mesi si troverebbe a guidare una società per azioni. Più lineare sarebbe affidare una spa a un consiglio nato con le regole della spa. Su questo però non è d’accordo chi ritiene che in una cooperativa con il voto capitario, dove ogni socio vale un voto, possa sperare anche di conquistare il vertice, nella consapevolezza che in una spa, dove si contano le azioni, non avrà più alcun peso. Che questo vada nella direzione dell’interesse della banca è tutto da dimostrare: per sapere se questo scenario è veramente possibile, non c’è che da aspettare l’esito del voto.