Per l’assemblea di sabato 2 aprile di Ubi Banca i giochi sono ormai fatti, dato che si presentano solo due liste e una di queste, con appena tre candidati, dichiaratamente di minoranza e che quindi non concorre per la presidenza e la vicepresidenza. Però ci sarà un elemento di particolare interesse ed è il comportamento in assemblea dei fondi. Fino a pochi giorni fa l’unica incertezza riguardava il numero dei voti per vedere se la lista dei fondi otterrà uno, due o tre consiglieri di sorveglianza, togliendoli al listone bresciano-orobico-cuneese. Per la stampa locale questo è determinante per vedere se i fondi, ottenendo il terzo consigliere, superando il 30% dei voti in assemblea, ridurranno da quattro a tre la presenza dei bergamaschi, aprendo così uno psicodramma orobico sulla perdita di rappresentanza. Ma la questione negli ultimi giorni è diventata un’altra ben più rilevante, che rischia di fare veramente diventare ancora più sterile la diatriba sulle poltrone divise in modo non paritario tra Bergamo e Brescia. E passa appunto per un evento imprevedibile nello scenario del credito nazionale.
Finora la Banca d’Italia ha sempre tenuto lontano i fondi dal controllo di un istituto italiano, ammettendoli solo come portatori di risorse finanziarie. Ma adesso che la vigilanza è passata alla Banca centrale europea il clima sta cambiando. E lo conferma il fatto che la newyorchese Apollo Management, che ha in gestione 250 miliardi di dollari, si sia fatta avanti per rilevare la maggioranza di Carige, con il beneplacito della Bce che ha “esortato” il Cda a tenerne conto, vedendo in questa proposta la possibilità di sistemare una delle non poche criticità del sistema nazionale. Apollo si è anche candidata per rilevare le quattro “good bank” nate dal commissariamento di Banca Etruria, Carife, Carichieti e Banca Marche e se tutta l’operazione dovesse andare in porto ci si troverebbe ad avere un fondo alla guida di un gruppo di grande rilevanza nella fascia sotto il Po.
La mossa di Apollo scardina un fatto che sembrava ormai acquisito. Attualmente, come si vede anche in Ubi, dove la loro candidatura è un evento inedito, i fondi non hanno mai mostrato interesse per la gestione diretta. Solo negli ultimi anni si registra una presenza sempre più puntuale di candidature nei rinnovi dei Consigli bancari per esprimere suoi rappresentanti. Eppure i fondi avrebbero teoricamente la possibilità di controllare il Consiglio, così come controllano il capitale. Già adesso in Ubi, se si mettessero insieme, i fondi avrebbero quasi il 50%, secondo le ultime stime, e soprattutto rappresenterebbero più del doppio del capitale faticosamente messo insieme dal listone. Quindi, se solo volessero, potrebbero presentarsi alla prossima assemblea con una lista di maggioranza e vincere in scioltezza. Del resto due soli azionisti insieme, Blackrock e Silchester, da soli valgono più del 10% del capitale. Ovvero più di metà listone
Per ora non vogliono, ma in futuro? C’è, è vero, il problema che i fondi non sono un’entità compatta, che vota in modo coeso e motivato. E ci sono anche fondi con visioni strategiche diverse: ci sono i fondi sovrani, i fondi pensione, i fondi d’ investimento, i fondi di private equity, gli hedge fund… Ciò non toglie che la vicenda Apollo-Carige mette il loro attivismo sotto una luce diversa. Non sia mai che dopo tanta silenziosa crescita negli anni, non decidano a un certo punto di passare all’incasso. Da questo punto di vista la conta in assemblea non sarà indifferente. Servirà, per le minuzie locali, per valutare se l’azionariato bergamasco frammentato non poteva essere meglio rappresentato che attraverso un patto di sindacato con soglie molto elevate. Ma servirà soprattutto per vedere se i fondi andranno molto al di là del 30% dei voti in assemblea che valgono i tre consiglieri. E magari facciano le prove per una futura maggioranza. E in questo caso, sia chiaro, non ce ne sarebbe più per nessuno, bresciani o bergamaschi che siano.