Sea-Sacbo, un’ integrazione con troppi punti interrogativi

Sea-Sacbo, un’ integrazione con troppi punti interrogativi

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Orio-al-serio-aeroporto ritSe il frutto dello studio fosse tutto nella “Relazione di sintesi in merito alle condizioni di realizzabilità del processo di integrazione tra le società Sea e Sacbo” diffusa lunedì non si capirebbe assolutamente perché siano stati necessari più di tre mesi, sforando addirittura la data di scadenza prevista, per partorire quindici pagine utili a dimostrare, su dati storici, che l’unione tra Sea e Sacbo, gestori degli scali di Milano (Linate e Malpensa) e di Bergamo (Orio al Serio) è cosa buona e giusta.

Dal punto di vista industriale, non ci voleva molto per capire che l’integrazione era una “prospettiva valida”. Anche perché non poneva alternative. Dato che Sacbo ha tirato troppo a lungo sulla scelta tra alleanza a Est (con Brescia e i veneti) o a Ovest (con Milano), alla fine ha trovato gli altri che hanno scelto per lei. Dopo la rottura con Save, gli aeroporti di Venezia, non è rimasto alla Sacbo che restare da sola, con il rischio di essere stritolata tra due giganti, oppure andare con Milano. Un partner sicuramente non alla pari, dato che Sea nel 2014 (curiosamente nello studio sono stati riportati i dati del 2013 e non quelli dell’ultimo bilancio già ampiamente disponibili) ha realizzato ricavi sei volte superiori, utile dieci volte superiori ed ha trasportato il triplo di passeggeri.

Quello che infatti non si conosce ufficialmente è il lato segreto, che non si può immaginare non sia stato esaminato, nello studio, ovvero come realizzare concretamente questa integrazione. In altre parole, decidere chi comanda, quanto si conta e quanto ci si guadagna. Ufficialmente è un muro di silenzio, dal quale trapelano alcune indiscrezioni, come l’ipotesi di stampa della creazione di una nuova società dalla fusione dei due gestori dove i futuri ex soci Sacbo potrebbero avere il 35% o addirittura fino al 40%. Sono percentuali che effettivamente, se confermate, spiegherebbero le buone ragioni per tenerle segrete, perché piuttosto imbarazzanti per il Comune di Milano, azionista di controllo della Sea con il 54,8%, che dovrebbe spiegare ai suoi cittadini, chiamati a votare in primavera il nuovo sindaco, le ragioni di questa sopravvalutazione dell’aeroporto di Orio.

Ma l’offerta generosa diventa imbarazzante anche per la parte bergamasca proprio perché allettante e difficile da rifiutare. L’unione con un partner più grande di fatto farà inevitabilmente scomparire la peculiarità territoriale di Orio che diventerebbe a tutti gli effetti un aeroporto milanese, come già viene considerato a livello internazionale, tanto bergamasco quanto Malpensa è uno scalo varesino. Questo è inevitabile, dato che non si può pretendere una fusione alla pari, e l’offerta generosa è il compenso della inevitabile rinuncia alla sovranità. Una quota che in ogni caso è destinata con ogni probabilità a cambiare in un futuro prossimo. Concedere ai soci Sacbo anche il 40% del capitale della nuova società che nascerà dalla fusione vuol dire in realtà (dato che Sacbo è partecipata al 30% da Sea) che agli azionisti bergamaschi (considerando come tali anche il veronese Banco Popolare e Ubi che da soli hanno ora quasi un quarto del capitale della Sacbo) resterebbe il 28% della Sea-Sacbo. Ma è anche dichiarata l’intenzione di procedere a una futura quotazione in Borsa, operazione già tentata in passato senza esito dalla Sea in solitaria, per portare nuove risorse. Una ricapitalizzazione di questo genere non si fa vendendo azioni già in circolazione, anche se non si esclude che qualche socio potrebbe approfittare dell’occasione, ma con emissione di nuove azioni e si può facilmente immaginare che gli enti pubblici bergamaschi (Comune, Provincia e Camera di Commercio), che insieme hanno ora circa il 40% della Sacbo, vedranno diluire ulteriormente la loro quota perché hanno problemi di bilancio che non permettono ulteriori sottoscrizioni. E’ facilmente ipotizzabile, tra l’altro, che questo discorso sia già stato inserito nella parte “segreta” dello studio relativo alle modalità di integrazione.

L’operazione, comunque, se la si guarda allontanandosi dal territorio è difficilmente contestabile dal punto di vista industriale: fa nascere la seconda società italiana del settore, a poca distanza dal polo romano in termini di passeggeri, fa diminuire il rischio di impresa, permette sinergie di efficienza e migliora il ventaglio di servizi per i passeggeri. Anche quella che viene considerata una criticità, l’allentata pressione competitiva sul bacino territoriale, è tutta da dimostrare. Può essere anzi un punto di forza, se non se ne abusa, che contrasta l’attuale strapotere delle compagnie aeree nell’imporre le condizioni. Ryanair che in pratica è il vero proprietario di Orio dato che assicura nove voli su dieci e se dovesse lasciare lo scalo gli toglierebbe l’ossigeno vitale, vede male le concentrazioni degli aeroporti proprio perché rafforzano la sua controparte. Questa, in pratica, è la traduzione del pensiero dell’amministratore delegato Michael O’Leary, quando ha dichiarato “è meglio avere aeroporti in concorrenza tra di loro, perché i monopoli non fanno bene ai consumatori e al mercato e aumentano i costi”.

Ma Sea-Sacbo non potrebbe comunque tirare troppo la corda, perché un vicino concorrente ce l’ha, seppure al momento solo potenziale, ed è Montichiari, l’aeroporto bresciano attuale estrema propaggine occidentale del grande polo che si è creato tra gli aeroporti veneto. Attuale perché il suo destino è legato al ricorso presentato proprio da Sea contro la concessione assegnata alla veronese Catullo, ora nell’orbita della Save di Venezia, senza una gara europea. Non è detto che in caso di nuova gara poi Sea risulti vincitrice e riesca a completare con Montichiari il cerchio della gestione di tutti gli aeroporti lombardi. Di certo in ogni caso la logica alla quale si deve guardare non è più quella provinciale alla quale ci è abituati, ma quantomeno quella regionale, se non una ancora più grande.