Sanità, con Maroni  siamo ormai alla burla

Sanità, con Maroni siamo ormai alla burla

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Roberto Maroni
Roberto Maroni

Dicono che la sanità lombarda è la migliore che ci sia. Chissà come son messi gli altri, vien da dire. Soprattutto ora che dalla Regione Lombardia rimbalza la notizia che due su tre dei 49 direttori generali attualmente in carica sono stati bocciati ai test psicoattitudinali promossi per compilare la lista dei 100 manager tra cui il presidente Roberto Maroni sceglierà i nuovi vertici delle strutture sanitarie. Tradotto con il linguaggio dell’uomo della strada, ciò significa che la sanità lombarda funziona, spesso e volentieri, “malgrado” chi la governa. Ma può essere vero? Evidentemente no, e allora forse sarà il caso di sottrarsi alla suggestione del test fintamente meritocratico per andare al cuore della questione. Quel che Maroni sta cercando di fare è semplicemente il gioco delle tre carte: sostituire in buona parte i direttori generali nominati, con rigorosa logica cencelliana, dal suo predecessore Roberto Formigoni con altri di sua osservanza. Cogliendo al balzo una proposta del Pd si è acconciato ad utilizzare il metodo dei test per dare una parvenza di credibilità alle sue scelte. Ma solo gli illusi possono pensare che il responsabile di un ospedale o di un’azienda sanitaria possa essere valutato attraverso quiz poco più complessi di quelli che si devono superare per la patente. E infatti, basta scorrere l’elenco dei bocciati per scorgere anche nomi di professionisti, certamente con targa politica riconoscibile, stimati e apprezzati per il loro lavoro di questi anni.

Quella che si sta consumando, quindi, è nulla più che una presa in giro. Tant’è che, come è già stato osservato su L’eco di Bergamo da un profondo conoscitore di cose sanitarie come Alberto Ceresoli, al Pirellone stanno comunque procedendo nella valutazione delle candidature con il solito bilancino delle appartenenze a partiti, correnti e conventicole. Per cui, per esempio, sull’ospedale Papa Giovanni XXIII è in corso un violentissimo braccio di ferro tra Forza Italia e Lega per accaparrarsene la guida (con il corollario, a cascata, delle caselle da occupare a Seriate e Treviglio). Tutto cambia ma nulla cambia, insomma, anche la Padania perpetua gli usi e costumi gattopardeschi che tanto dovrebbero inorridire gli highlander leghisti.
Del resto, che tutto sia una burla lo dimostra una piccola notizia che è scivolata via nell’indifferenza generale. Un nutrito drappello di manager bocciati ai test maroniani solo sette giorni prima avevano ricevuto dalla medesima Regione un premio di risultato (!) variabile tra un minimo di 17 mila e 500 euro ad un massimo di 29 mila e 400. Prima premiati e poi bocciati: alzi la mano chi ci capisce qualcosa.

Ma probabilmente il bello deve ancora venire perché l’ineffabile Maroni solo pochi mesi fa ha patrocinato una riforma della sanità lombarda che da più parti è vista con timore perché rischia di buttare all’aria un sistema che, con le sue criticità (dovute soprattutto alle commistioni tra politica e affari), ha dimostrato di funzionare. Il nuovo modello è stato varato a fine agosto. Da allora, pensate un po’, dopo le dimissioni dell’assessore Mario Mantovani (che da questa partita era stato esautorato e che nelle settimane successive è finito in carcere con accuse pesanti), la Lombardia non ha un delegato a seguire in prima persona e in via esclusiva questo delicatissimo settore. “Basto io” ha detto il piccolo Napoleone lombardo Maroni.
Ecco perché quello che sembrava un paradosso (la sanità funziona malgrado chi la governa) è un’amara verità. Senza l’impegno di chi sta in prima linea, di chi dedica tutte le sue forze a chi ha bisogno, di chi profonde tutte le sue energie per dare risposte alle esigenze di cura non avremmo la “migliore sanità che ci sia”. Che forse potrebbe essere ancora più efficiente se i politici, quelli ufficiali e quelli mascherati da manager, venissero messi alla porta. Ma questa è l’unica riforma che non vedrà mai la luce.