Rivera: «Vi svelo i due piatti che porto nel cuore»

Gianni Rivera, a capotavola, con mamma Edera, papà Teresio e il fratellino Mauro - foto MarconiProduction
Gianni Rivera, a capotavola, con mamma Edera, papà Teresio e il fratellino Mauro – foto ©MarconiProduction

Quelle paste e minestre dal sapore antico ma soprattutto gli agnolotti della festa, quelli preparati da mamma Edera fin dal sabato sera, che non ha più dimenticato e che sono diventati nel tempo una sorta di ever-green, un “santo graal” gastronomico che lo ha accompagnato ovunque. Il rapporto tra Gianni Rivera e il cibo è sempre stato semplice e schietto: per il sommo protagonista della partita del secolo Italia-Germania 4-3 e capitano del Milan euromondiale, la tavola ha voluto sempre dire cibo genuino e calore conviviale.

È attorno a una tavola imbandita, oltreché sul rettangolo da gioco, che sono nati rapporti formidabili come quello col paròn Nereo Rocco, o dispute feroci, all’insegna di arbitraggi scandalosi e congiure pallonare. Un tour del palato che parte fatalmente dalla sua patria alessandrina, per poi aprirsi alla lunga esperienza milanese e infine approdare nella Capitale, da uomo della politica. Cucine diverse, aromi, gusti e ingredienti spesso agli antipodi, che però il primo Pallone d’Oro italiano ha saputo armonizzare nel tempo.

«Non sono mai stato un gran goloso e giocando al calcio non avrei neppure potuto permetterlo, ma il gusto per la buona tavola l’ho sempre avuto, anche per quella carica di umanità e convivialità che porta con sé».

Per Gianni quest’ultimo anno è stato un’autentica maratona: ha scritto con l’aiuto della moglie Laura la sua autobiografia (530 pagine ricche di ricordi di ieri e di oggi: per info il sito è www.giannirivera.it), presentandola in decine di piazze italiane e raccogliendo ovunque un’accoglienza calorosissima.

Gianni Rivera - foto ©MarconiProduction
Gianni Rivera – foto ©MarconiProduction

Sono passati quasi 40 anni dalla sua ultima partita (che coincise, nel 1979, con la conquista della Stella del decimo scudetto per il Milan) eppure in fatto di popolarità sembra non abbia mai smesso di giocare, al punto che l’ex Golden Boy partirà a breve per una tournée all’estero (prime tappe Canada e Usa) per continuare la presentazione. «La cosa bella è che ai nostri incontri ci trovo anche un sacco di giovani che non mi hanno mai visto giocare. Oggi però, con la tv o sul web, è facile andare a rivedere le partite del passato». Tra gli incontri più calorosi quello in Puglia con Al Bano: «Siamo amici da lunga data – spiega Rivera -, lui sì che è riuscito a conciliare al meglio la canzone con un’agricoltura che non ha mai abbandonato. E oltre a gustare le delizie del Salento, ho degustato i suoi vini: superbi».

Pensare che quella verso il vino per Rivera è una vocazione relativamente tardiva. «Da ragazzo ero completamente astemio, poi cominciai ad assaggiare il vino a Orvieto, durante l’anno di militare. Non l’ho più abbandonato, anche perché dopo pochi anni al Milan incontrai Nereo Rocco come allenatore e con lui non potevi non accompagnare un buon piatto con un vino generoso».

Da buon piemontese Gianni ama i rossi: «Tra i miei tanti incontri ho avuto la fortuna di conoscere il re dei vignaioli piemontesi Giacomo “Braida” Bologna e con lui gli assaggi sono diventati ancor più raffinati grazie alle fantastiche Barbera come la Monella o il Bricco dell’Uccellone della sua cantina. Ma anche il Grignolino non lo dimentico. Anche mister Liedholm, già verso la fine della sua carriera da allenatore, si mise a produrre vino molto buono e proprio sulle mie colline alessandrine, a Cuccaro Monferrato. Negli spogliatoi poi arrivavano spesso champagne e spumante per festeggiare le nostre vittorie sportive». E a proposito di bollicine, altro amico storico di Gianni è quel Maurizio Zanella, patron di Ca’ del Bosco, con cui tante volte si è ritrovato a brindare in Franciacorta.

Da calciatore comunque, fin dai tempi in cui giovanissimo militava nelle file dei grigi dell’Alessandria (esordio in A a 15 anni e 9 mesi contro l’Inter: un segno del destino) per poi passare al Milan neppure maggiorenne, il cibo del prepartita era un po’ diverso da quello preparato da chef e dietologi delle società calcistiche di oggi: «Negli anni Sessanta non si guardava certo la dieta: poche ore prima di un match capitava anche di mangiare piatti pesanti come un risotto alla parmigiana o delle bistecche gigantesche, ma vi garantisco che noi giovani di allora digerivamo anche le pietre».

C’era anche il pesce di rigore a quei tempi: «Sempre di venerdì, anche per un precetto di tradizione religiosa, soprattutto il merluzzo. Poi durante la settimana a casa, riso o pasta e qualche volta la carne, mentre la domenica arrivava appunto il piatto forte, gli agnolotti. Fin dal sabato, mia mamma preparava con cura il ripieno con lo stufato: quando arrivavano in tavola era veramente una festa».

Spostandosi a Milano, Gianni frequenta anche i ristoranti della borghesia meneghina, ma poi finisce spesso all’Assassino di Ottavio Gori, toscano di Fucecchio come Indro Montanelli, il buen ritiro di patron Rocco, dove spesso si ritrova a tirar tardi la notte una comitiva di grande spessore intellettuale in cui spiccano anche Gianni Brera, lo stilista Ottavio Missoni e Gino Veronelli. La vita di atleta non permette al Golden Boy di fare le ore piccole, ma nelle sere di svago spesso ci fa capolino anche lui: «Era affascinante sentir parlare Veronelli di cibo e di vino – ricorda l’ex bandiera del Milan -, penso a cosa direbbe oggi della moda dilagante degli hamburger e patatine fritte: sarebbe inorridito».

Diventato anche politico e anche uomo di governo negli anni scorsi, Gianni è ora tornato alle sue radici calcistiche (è presidente del Settore Tecnico di Coverciano) e ha scelto Roma come sua città di adozione, eppure, parlando di cucina, il piatto che accomuna di più tutta la sua famiglia, la moglie Laura e i suoi due figli, «resta il risotto alla milanese con l’ossobuco: praticamente un piatto unico universale che ho imparato ad apprezzare a Milano, ma che trovo facilmente anche a Roma e che ci cuciniamo anche a casa secondo la ricetta tradizionale. Con gli agnolotti sono i due piatti, dell’infanzia e della maturità, a cui rinuncio più a fatica».

Oggi però l’ex campione è molto attento all’alimentazione: «Il cibo non mi ha mai fatto ingrassare: forse mi ha salvato il fatto che, a differenza della stragrande parte degli italiani, io non sono per niente goloso di dolci. Oggi cerco di mangiare cibi senza glutine, evitando zuccheri in eccesso. Ho anche riscoperto la verdura in tutte le sue sfaccettature, cruda o cotta, non manca mai nella mia dieta quotidiana: forse dai giovani è troppo sottovalutata, eppure, oltre a far bene, può anche essere molto gustosa se cucinata in maniera creativa».

Copyrights 2006-2022 – Iniziative Ascom S.p.A. – P.iva e C.F. 01430360162