Referendum, il gioco perverso di chi punta al catastrofismo

Referendum, il gioco perverso di chi punta al catastrofismo

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Matteo Renzi
Matteo Renzi

Ci mancava solo l’ambasciatore americano. “Se vince il No meno investimenti in Italia” la sua infelice uscita che ha provocato un sussulto di sdegno, quirinalmente trattenuto, perfino dell’ingessato presidente Mattarella. Non bastavano i toni eccitati del premier Renzi che ad ogni pie’ sospinto indica nella vittoria del referendum sulla riforma costituzionale la svolta storica che dovrebbe segnare il trionfo delle magnifiche sorti del Belpaese. Né erano sufficienti le discese in campo di associazioni di categoria, ordini professionali e confraternite varie. No, evidentemente la paura (di perdere) fa novanta e allora anche Oltreoceano hanno sentito il bisogno di invitare i tapini italiani a riflettere su quali nefaste conseguenze potrebbero patire se solo osassero non approvare fra scene di giubilo le modifiche della Carta partorite dalla coppia di consumati costituzionalisti Renzi-Boschi.
Le menti più avvertite hanno già compreso come queste entrate a gamba tesa non fanno altro che determinare una reazione uguale e contraria a quella desiderata. Perché c’è troppa enfasi, troppo catastrofismo, troppa smania di liquidare con sarcasmo chi non s’allinea alla vulgata (ipoteticamente) dominante. Razionale o no che sia, scatta il desiderio di mettersi di traverso. Senza per questo sentirsi dei gufi o degli antisistema. Sgombriamo il campo dalla propaganda. Per stessa ammissione dei suoi patrocinatori, la riforma che sarà sottoposta agli elettori non è “la migliore possibile” né risolverà i tanti e complessi problemi del Paese. In alcuni punti segna dei passi avanti, in altri le modifiche sono più di forma che di sostanza, in altri ancora rischiano di provocare ancora più confusione. Quel che è certo è che la sua eventuale bocciatura non determinerà in alcun modo la caduta nel baratro. E tantomeno sarà impossibile, se lo si vorrà, ripartire con altri tentativi di riforma.
E’ stato Renzi per primo a mettere il referendum su un piano sbagliato. Lo ha trasformato in una sorta di ordàlia sul suo destino politico, commettendo un macroscopico errore strategico che ora gli si sta ritorcendo contro. Ma non è l’unico che non ha compreso che evocare scenari da tregenda, prescindendo dal merito, è controproducente. Come per la famigerata Brexit, il rischio alla fine è che le prime vittime della consultazione popolare siano proprio quelli che le hanno volute caricandole di significati impropri. Anche l’ambasciatore americano ha dato la sua spintarella.  Avanti così, non ci sarà nemmeno bisogno dei comitati per il No.