Quando i “luoghi comuni”
fanno male a chi è senza lavoro

Dottor Bergamaschi
mi sono laureato oltre un anno fa e non ho ancora trovato un’occupazione. All’inizio non c’era giorno che non inviassi qualche domanda di lavoro, poi con il tempo mi sono demoralizzato e ora lo faccio molto di meno. In famiglia non si parla altro che di crisi e la stessa cosa accade quando incontro gli amici. Per tutti, la crisi ha ucciso i sogni, calpestato la dignità ed è impossibile uscirne se non si hanno le conoscenze giuste. Non so più che cosa fare, cosa pensare e sono sempre più scoraggiato.

e-mail, Bergamo

Io ero convinto del contrario, ma mi sono dovuto ricredere: l’italiano subisce il fascino malvagio dei luoghi comuni, quelli che uccidono le aspirazioni, paralizzano la vita e invitano ad una staticità senza precedenti. Qualche anno fa, quando si parlava di luoghi comuni, era più per ridere e andavano per la maggiore stereotipi come “tutti gli italiani bevono caffè”, “Italia uguale mafia “ o “gli italiani sono grandissimi amatori”. Oggi abbiamo dimenticato cosa significhi ridere e li abbiamo sostituiti con “l’Italia è governata da ladri”, “con questa crisi è impossibile trovare un’occupazione”, “non servono le competenze, ma le conoscenze”. E la cosa sorprendente è che tali affermazioni sono sulla bocca di tutti, anche di coloro che un lavoro ce l’hanno e vivono una vita più che dignitosa. Francamente non lo so se questo piccolo compendio di pregiudizi siano veri o meno e il mio intento non è certo quello di recuperare una verità assoluta, che personalmente ritengo non esistere quasi mai; quello che bisogna invece sottolineare, è la preoccupazione per le conseguenze che comporta continuare a pensare in questo modo. Credere costantemente di non avere via di uscita, ci “incatena” alla vita e impedisce di avere un’esistenza professionale appagante; non per nulla, anche chi oggi non ha problemi di lavoro, ha cominciato a pensare in maniera pessimistica e questo dovrebbe far riflettere.
Forse qualcuno l’ha dimenticato, ma se anche qualche aspetto della vita fosse anche “brutto, disarmonico e foriero di arrabbiature” (ce lo ricordano quasi ogni giorno i media, gli amici, i parenti, i colleghi) non cambia il fatto che siamo sempre e comunque chiamati a sbarcare il lunario e a lottare per una vita dignitosa e il più possibile soddisfacente; essere arrabbiati, spaventati o paralizzati è legittimo, ma non aiuta a raggiungere l’obiettivo, anzi rinchiude l’individuo in una gabbia dalla quale diventa poi difficile uscirne.
Quello che fa davvero la differenza è allora l’atteggiamento personale e ricordare che gli stereotipi divenuti patrimonio comune, non esauriscono la realtà e possono rappresentare delle pericolose generalizzazioni che impediscono di esplorare nuove opportunità. Chi è riuscito in passato e oggi è ancora capace di costruirsi lo stile di vita lavorativo che ama ha agito e opera in modo diverso: partendo dalle proprie aspirazioni e da una forte motivazione, si è concentrato fortemente sulle possibili soluzioni e sulle strade da percorrere, anziché sui problemi. Vivere in compagnia dei luoghi comuni, significa camminare a braccetto con una visione del mondo che, nella maggior parte dei casi, è sempre negativa e ostile. Ai figli, agli amici e ai colleghi bisogna trasmettere un’altra visione del mondo, caratterizzata da impegno costante: inutile dire “ho inviato almeno 20 Cv e non mi ha risposto nessuno”; certo che dispiace, ma non è sufficiente, non è abbastanza, bisogna inviarne altri 20 e poi ancora 20 e chiedersi se c’è qualcosa che si possa migliorare nella forma o nelle competenze. Pertanto la parola d’ordine è tentare, sperimentare, personalizzare e operare con costanza, senza fermarsi mai, perché solo cambiando il modo di agire sarà possibile modificare le proprie convinzioni e renderle funzionali al nostro successo. E poi quanto costa continuare a pensare che non è possibile fare progetti a lungo termine, che bisogna lasciare le proprie passioni in fondo ad un cassetto e ripetere che la situazione odierna è peggiore di quella del passato, che la colpa della crisi è della politica, degli imprenditori, della setta dei banchieri che governa il mondo e che se non fosse per loro, le cose andrebbero meglio? Un prezzo troppo alto, perché sono luoghi comuni assolutamente inadeguati a spiegare la realtà e perché non ci fanno prendere coscienza della vera oggettività delle cose e di come affrontarle. Certamente nessuno sta negando che l’Italia viva un momento difficile e al contempo non bisogna essere uno statista per accorgersi di come l’economia abbia subito una pesante battuta d’arresto con inevitabili conseguenze per il mondo del lavoro e per i suoi protagonisti; ciò che però non mi stancherò mai di ripetere (soprattutto alle nuove generazioni) è che è fondamentale fare un salto di qualità “a prescindere” e continuare a coltivare senza sosta sogni, passioni e la gioia di vivere. Se è vero infatti che ciò che si crede sul mondo del lavoro, è in grado di influenzare le scelte personali e professionali, affidarsi agli stereotipi rischia di portare su sentieri decisamente controproducenti, o peggio, di inibire totalmente qualsiasi azione. La vita insegnato una cosa: che le lamentele e i rammarichi non portano mai lontano.