«Più gioco di squadra 
per rilanciare i mercati»

«Più gioco di squadra per rilanciare i mercati»

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La mattina tra i banchi del mercato, buona parte del tempo che resta ad occuparsi dei problemi degli ambulanti. L’impegno sindacale è parte integrante della giornata di Mauro Dolci, presidente provinciale della Fiva-Ascom, ora vicepresidente vicario nazionale, nominato nella riunione dello scorso 27 gennaio, a conclusione del rinnovo delle cariche federali per il quinquennio 2012-2017.
Cinquantasette anni, di Zogno, Dolci è ambulante da oltre 40 anni, ha infatti cominciato a frequentare le “piazze” di città e provincia dopo la scuola dell’obbligo, lavorando nell’attività alimentare di famiglia. In Associazione è cresciuto al fianco di una figura carismatica come Mario Vanoncini e ne ha raccolto il testimone dopo la prematura scomparsa. Dal 2008 è presidente provinciale, dal 2003 fa parte della Giunta della Fiva nazionale, dove negli ultimi cinque anni ha ricoperto il ruolo di vicepresidente.
Gli operatori sembrano concordi nell’affermare che i mercati stanno perdendo il loro richiamo a causa di un generale appiattimento dell’offerta. È dello stesso parere?
«Credo innanzitutto che alla nostra categoria manchi un po’ di autostima, della capacità di leggere e comunicare gli aspetti positivi piuttosto che soffermarsi solo su ciò che non va. Detto questo, ritengo che se nei mercati sono arrivati prodotti di primo prezzo è perché la richiesta va in questa direzione, la società sta cambiando e le scelte dei clienti, non solo immigrati, si stanno modificando. È il mercato che fa il mercato ed è inutile metterci un banco di cristalli pregiati se poi non si vendono».
Ad “abbassare il livello” concorrono soprattutto gli ambulanti extracomunitari?    
«Il commercio ambulante continua ad attirare gli stranieri perché permette di crearsi un’opportunità di lavoro con investimenti contenuti ed offre, svolgendosi ogni giorno su una piazza diversa, un bacino di clientela più ampio rispetto ad un negozio. Capita così che ci si lanci nell’attività senza una struttura adeguata ed in questo caso non si resiste a lungo. Abbiamo però anche operatori extracomunitari che ormai sono presenti da vent’anni nei mercati e sono riusciti a fidelizzare i clienti».
Come ha influito la crisi sulla spesa al mercato?
«Ha migliorato l’“educazione” agli acquisti e questo è un fatto positivo».
Positivo? Ci spieghi…
«È finito il tempo del consumismo esasperato, c’è più attenzione a come e quanto si spende ed è in quest’ottica che i mercati possono far valere la loro principale prerogativa che è la ricerca del miglior rapporto tra qualità e prezzo. L’offerta non manca e fortunatamente nemmeno la gente che frequenta le bancarelle. Certo è calato il potere d’acquisto, ma è un dato generale».     
Non è comunque di poco conto…
«Il pessimismo di tanti colleghi è dovuto al fatto che si continua a paragonare la situazione attuale con quella di cinque anni fa, occorre invece rendersi conto che quei tempi non torneranno più. Naturalmente si spera in un recupero dell’occupazione che restituisca capacità di spesa, ma bisogna fare i conti con quello che c’è ora, che vuol dire strutturarsi per stare in piedi».
Su quali aspetti occorre agire?
«Una riorganizzazione dell’immagine, perché le merci esposte bene si apprezzano di più, e un minimo di specializzazione sono fondamentali. Se vogliamo essere sinceri non è solo l’aumento dei banchi degli extracomunitari ad aver cambiato il volto dei mercati ma anche una certa “stanchezza” da parte degli italiani. Raramente l’attività passa ai figli – forse più per pregiudizio, perché in fondo non è un settore più duro di altri – e chi rimane pensa più a raggiungere il momento della pensione che a sviluppare l’attività».    
Nel commercio ambulante non conta solo le qualità della singola azienda ma l’attrattività del mercato. Qual è un appuntamento che funziona bene?
«Quello del sabato mattina allo stadio di Bergamo è un bell’esempio. C’è possibilità di parcheggio, è ordinato, tra i 52 banchi c’è una buona rappresentanza di merceologie ed, essendo di sabato, può essere frequentato anche da chi in settimana lavora».
Da tempo lei sostiene però la necessità di passare a nuove modalità di gestione dei mercati, che li possano promuovere e rinnovare. C’è qualche novità?
«I mercati già avviati proseguono lungo le strade consuete e nemmeno sui mercati di nuova costituzione c’è stata qualche svolta. Pensiamo al mercato della Celadina, era interessante l’idea di realizzare un mercato anche al pomeriggio, invece non c’è stato grande riscontro. Il problema di fondo sono i criteri di assegnazione dei posteggi, che premiano l’anzianità di iscrizione al Registro delle imprese ma non servono realmente a selezionare chi su quell’appuntamento vuole investire. Da tempo chiediamo di poter gestire attraverso la Comap, la cooperativa costituita dalle due associazioni provinciali del settore, qualche nuova iniziativa, riscrivendo alcune regole per dare più forza agli appuntamenti».
Come nasce, quindi, il suo mercato ideale?
«Con quasi tutte le merceologie e con la richiesta agli operatori di un impegno economico per il funzionamento e la gestione. Serve a selezionare chi ci crede veramente e intende mettersi in gioco per far crescere l’appuntamento. Ciò darebbe la possibilità anche di fare pubblicità, realizzare iniziative. Il senso è lavorare in gruppo per fare in modo che la gente arrivi, per poi giocarsi lealmente il confronto con la clientela».  
Dai comuni, intanto, arriva qualche supporto alla modernizzazione delle aree?
«Tra problemi di bilancio e patto di stabilità siamo al punto che non possono spendere nemmeno se lo vogliono. Non sono però insensibili sul tema e si riescono anche ad imbastire progetti. Ad esempio, in alcuni paesi, con la Comap, ci siamo assunti la gestione della fornitura elettrica, mentre a Scanzorosciate sempre la cooperativa si è accollata la spesa per la realizzazione di una sessantina di parcheggi su un’area nei pressi del mercato».
I distretti del commercio sono lo strumento che la Regione ha individuato per sostenere i negozi di vicinato. C’è qualcosa di simile per il vostro settore?
«In teoria anche il commercio ambulante rientrerebbe nei distretti, anche se sino ad ora non siamo riusciti ad inserirci nei progetti. Per la verità non sono gli incentivi che cerchiamo, ma la possibilità di lavorare dignitosamente, senza inghippi. Le nostre richieste sono semplici: considerazione e collaborazione. Mentre a Bergamo si ragiona su come salvaguardare il piccolo commercio e il Comune stanzia finanziamenti per le zone a rischio desertificazione, al mercato settimanale in Città alta è rimasto solo qualche banco perché, con il calo del lavoro, i costi dell’occupazione del suolo pubblico non sono più sostenibili…»
La nomina a vicepresidente vicario nazionale è un riconoscimento al suo impegno sindacale…
«È una responsabilità che mi gratifica. Non si tratta però di un risultato personale ma di un traguardo raggiunto grazie alla collaborazione del Direttivo, della segreteria e dell’ufficio della Fiva provinciale».
Quali sono i progetti?
«La “battaglia” sulla Bolkestein è ormai in dirittura d’arrivo. È un successo importante. Siamo riusciti a mantenere le concessioni, ma non si tratta di una pura difesa degli interessi della categoria, quanto piuttosto del riconoscimento positivo della nostra presenza, della professionalità, degli investimenti e della possibilità di dare continuità ad un servizio alla clientela. Tra le novità, stiamo invece mettendo a punto una “certificazione” dei banchi. Come avviene per altre certificazioni di qualità, l’Associazione assegnerà un riconoscimento agli operatori che raggiungono certi requisiti e ne garantirà il controllo. È un segnale per i consumatori e uno stimolo per gli ambulanti».