Perché serve fantasia 
per mettere a reddito la cultura 

Perché serve fantasia per mettere a reddito la cultura 

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Nel maggio del 2009, un ministro della Repubblica ebbe occasione di affermare che “con la cultura non si mangia”. e che, però, a ben pensarci, svelava un suo deficit relativo alla capacità di immaginare scenari economici alternativi a quelli tradizionali. La cultura, infatti, può essere, eccome, fonte di sostentamento per le persone e, nonostante la crisi economica che ha caratterizzato questi ultimi quattro anni, è in grado di produrre valore e creare posti di lavoro.
Non a caso, secondo le previsioni di Unioncamere e del Ministero del Lavoro, nel 2012, sono state circa 32.500 le assunzioni, delle quali il 70% non stagionali e il 30% stagionali, da parte di imprese italiane che competono grazie alla qualità e alla cultura, pari al 5,6% del totale delle assunzioni realizzate dalle imprese di industria e servizi. Nonostante la crisi, le imprese legate alla cultura hanno dimostrato una specifica tenuta occupazionale, visto che il numero di occupati del settore, dal 2007 al 2011, è cresciuto a un ritmo medio annuo dello 0,8% (complessivamente circa 55mila posti di lavoro in più), a fronte di una flessione media dello 0,4% all’anno che, nello stesso periodo, ha caratterizzato l’intera economia nazionale. Un dato di tenuta che si è manifestato anche nel 2012: pur arretrando sotto i colpi della congiuntura (-0,7% il saldo occupazionale rispetto al 2011), le aziende della cultura hanno evidenziato una maggiore resistenza rispetto al complesso delle altre imprese.
Valorizzare la cultura, in termini economici, nello specifico, può significare, anche, la scelta, da parte di un’azienda, di sviluppare attività di sponsorizzazione di eventi o beni culturali. Sponsorizzazione è il termine che descrive una relazione tra uno sponsor e un evento, un’istituzione o un bene: lo sponsor interviene finanziariamente o fornendo beni/servizi, in cambio della possibilità di sfruttare il potenziale commerciale associato all’evento, all’istituzione o al bene. Nel nostro Paese, sponsorizzare eventi o beni culturali implica il rapportarsi, da parte delle aziende, al sistema degli Enti locali. Ciò determina che il bisogno di un’azienda di migliorare i propri fatturati, grazie alla sponsorizzazione di eventi e beni culturali, mediante l’associazione del proprio nome o logo con gli stessi, s’incroci con l’esigenza, da parte degli Enti locali, in tempi di patto di stabilità, di realizzare fund raising, ovvero un reperimento di risorse finanziarie, necessarie allo sviluppo delle attività tipiche della loro mission. 
E’ vero, d’altronde, che, nel mondo angloamericano, sia diffusa l’attività di cause related marketing (marketing delle cause di interesse sociale) con la quale s’intende, invece, uno sforzo promozionale, che sia stato pianificato strategicamente, volto a produrre un aumento delle vendite di un’azienda o a migliorare la sua posizione di mercato, tramite azioni che vanno, anche, a beneficio di un’organizzazione non-profit. Quanto affermato significa che, quando un consumatore acquista il prodotto o il servizio dell’azienda, generalmente, l’azienda effettua una donazione all’ente non-profit. Forse, il primo esempio di cause related marketing è stato il restauro della Statua della Libertà, nel 1983, grazie all’elaborazione di una strategia promozionale da parte di American Express e di Fondazione Ellis Island, un’istituzione pubblica di rilievo: ogni qualvolta un detentore della carta realizzava una nuova operazione, una percentuale del costo della stessa andava a finanziare il recupero di quel monumento. C’è da chiedersi se una storia di successo, come quella rammentata, non possa ispirare le scelte di coloro che hanno la responsabilità di mettere a reddito uno straordinario patrimonio di bellezza, come quello italiano e, nel suo piccolo, ma mica tanto, come quello bergamasco. Valorizzare la cultura, infatti, necessita di fantasia.