Panificatori, «ora una legge 
tutela il nostro lavoro»

Panificatori, «ora una legge tutela il nostro lavoro»

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“Pane fresco” e “panificio”, due termini di uso quotidiano che non sembrava avessero bisogno di grandi spiegazioni. Le nuove tecniche di produzione e modalità di vendita hanno invece reso necessaria una definizione “legale”, richiesta da diversi anni dai panificatori lombardi, inceppatasi tra i cambi di deleghe e legislature e finalmente divenuta concreta con l’approdo in Consiglio regionale (l’approvazione è in programma mentre andiamo in stampa) del progetto di legge “in materia di promozione e tutela dell’attività di panificazione”. «Dal 2006, anno delle “lenzuolate” di Bersani – ricorda il presidente dell’Aspan Roberto Capello, che è anche presidente dell’Unione Regionale dei Panificatori Lombardi – il panettiere è nudo. Chiunque poteva diventare panificatore e veniva estesa la definizione di pane ad altri prodotti oltre al fresco, come il precotto surgelato o il crudo gelato. La nostra azione non ha però mai avuto – tiene a precisare – intenti puramente protezionistici della categoria. In gioco c’è un patrimonio di valori tutto italiano e unico al mondo, la panificazione artigianale, rappresentata nel nostro paese da 23mila imprese, 4.500 in Lombardia, ognuna delle quali propone almeno una specialità che la contraddistingue. È questa “panediversità” che crediamo vada tutelata, la capacità di dare una risposta sartoriale e territoriale al consumatore. Insieme, naturalmente, si tutelano i consumatori – sottolinea -, che potranno distinguere chiaramente il tipo di produzione. Non vuol certo dire che pani precotti, surgelati o a lunga conservazione siano dannosi, si forniscono solo strumenti più immediati per scegliere».
Per la nuova legge può chiamarsi panificio solo quell’attività in cui si svolge l’intero ciclo della preparazione del pane, dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale, e pane fresco quello preparato secondo un processo continuo, nel quale non intercorra cioè un intervallo di tempo superiore alle 72 ore. «In questo modo si torna alla definizione etimologica: il panificio è il luogo in cui si fa il pane, altra cosa fa chi lo prende e lo commercializza – rileva Capello -. La distinzione è importante perché meno passaggi intercorrono e più valore, anche dal punto di vista dell’impatto ambientale, ha il prodotto e poi perché in questo modo chi fa il pane ci mette la faccia, il consumatore saprà perciò chi è il “responsabile” di ciò che acquista».
Il fatto che sia trascorso del tempo tra la presentazione delle prime istanze dei panificatori e la formulazione della legge ha permesso di sottolineare alcuni aspetti in linea con l’evoluzione del settore, sollecitati sempre dalla categoria. «Con l’introduzione della figura del responsabile dell’attività produttiva, con obbligo di un aggiornamento periodico, viene valorizzata l’esperienza scolastica della Lombardia, che con più di trenta corsi di panificazione è un’eccellenza nel panorama nazionale – nota il presidente -. In un mondo così dinamico, occorre saper cogliere le variazioni, che si tratti di nuovi orientamenti dei clienti o di nuove modalità organizzative, ad esempio l’orario di lavoro e l’attenzione ai costi ambientali. La formazione permette di aprirsi a questi temi moderni e di mettere in atto un miglioramento continuo». «Il secondo aspetto innovativo – prosegue – riguarda la volontà della Regione di valorizzare il pane di filiera lombarda. Un passo che nasce proprio dall’esperienza bergamasca di coltivazione di grano per la panificazione sul territorio, da utilizzare nei nostri forni. Non si tratta di un’operazione di carattere sentimentale, di un ritorno alla natura legato ad una moda, è una questione di intelligenza economica, che paga e che dà valore al territorio. E che, tra l’altro, è in perfetto accordo con i paradigmi dell’Expo, ormai alle porte».   

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