Federica Origo, professore associato di Economia Politica dell’Università di Bergamo, è un’economista del lavoro esperta di sistemi salariali e relazioni industriali, contratti temporanei e benessere dei lavoratori. In uno dei suoi studi ha sfatato il mito del “posto fisso a tutti i costi”, evidenziando come la tipologia contrattuale abbia senza dubbio una certa importanza per il lavoratore, ma non sia da sola determinante per la sua soddisfazione: «In un clima di incertezza anche i lavoratori in posti ritenuti fino a ieri sicuri possono essere insoddisfatti della propria occupazione – spiega la professoressa -. Eppure si continua a parlare sempre e solo di contratti. L’assunzione a tempo indeterminato resta un obiettivo per ogni lavoratore, ma non basta per la realizzazione personale e il suo benessere. Alla fine, più del contratto, conta come il lavoratore vive il proprio ruolo in azienda. E non deve sorprendere vedere lavoratori a tempo motivati ed entusiasti quanto chi ha davanti a sé la prospettiva di uno stipendio assicurato». Tra luci ed ombre, Federica Origo commenta la nuova riforma del lavoro, dando la sua visione del Jobs Act e della Legge di Stabilità che per la prima volta rende il contratto a tempo indeterminato competitivo. Ma lancia anche un dubbio: «Il Jobs Act non è forse in contrasto con il Decreto Poletti che rende più facile instaurare rapporti a tempo determinato fino a tre anni? Non si corre il rischio di un aumento della precarietà del lavoro?».
Crede che il Jobs Act possa rilanciare il mercato del lavoro italiano?
È difficile ora capire gli effetti che la riforma potrà avere. Se assumiamo che l’economia cresca nei prossimi anni, l’aumento della flessibilità in uscita stabilita dal Jobs Act potrebbe avere effetti positivi anche sulla flessibilità in entrata. La sensazione è che l’economia in questa fase, seppur debolmente e con le dovute cautele, stia riprendendo a crescere, ma credo sia difficile aspettarsi un cambiamento a breve nelle assunzioni. La crescita dell’occupazione arriva dopo la ripresa dell’economia. Senza dubbio la riforma mette in un certo senso le aziende con le spalle al muro, perché saltano quelle rigidità che hanno rinviato nuove assunzioni.
Come valuta la nuova politica degli ammortizzatori sociali?
Si dà la possibilità di accedere agli indennizzi anche ai lavoratori fino ad ora esclusi da questa possibilità. L’introduzione di un nuovo sussidio per le famiglie svantaggiate non può che essere positivo, anche se siamo ancora lontani dal modello del reddito di garanzia di cui spesso si parla.
Quali sono gli aspetti positivi e quali le zone d’ombra della riforma del lavoro?
Per la prima volta dalla liberalizzazione dei contratti a tempo della metà degli anni Novanta si sta cercando di superare il dualismo del mercato del lavoro, diviso tra un gruppo di lavoratori protetti e tutelati e una larga schiera- con una prevalenza di giovani- di chi alterna contratti a scadenza con periodi di disoccupazione. Non mancano tuttavia alcune forti perplessità: l’idea del contratto unico sembra in contrasto con il Decreto Poletti, che di fatto ha liberalizzato i contratti a tempo, che possono essere rinnovati fino a un massimo di cinque volte in 36 mesi senza la necessità di fornire una causale. Il rischio è che parte dei lavoratori resti precario per anni: le imprese potrebbero impiegare un lavoratore con un contratto temporaneo per tre anni, per poi passare ad un contratto a tutele crescenti che, nei primi anni, è caratterizzato da bassi costi di licenziamento. Per chi invece ha un lavoro fisso diventa più difficile cambiare azienda, perché questo significherebbe lasciare un contratto a tempo indeterminato per un contratto a tutele crescenti. Insomma, per spostarsi da un posto all’altro servono davvero alternative particolarmente allettanti…
Come cambia il mercato del lavoro con il Jobs Act?
Credo che nel 2015 avremo senz’altro una crescita delle assunzioni a tempo indeterminato, grazie agli incentivi contributivi previsti dalla Legge di Stabilità. Faccio però fatica a pensare che vi siano risorse per rifinanziare la decontribuzione, nonostante gli apprezzabili effetti positivi che essa può portare con sé. I dati più recenti dell’Osservatorio regionale evidenziano a livello provinciale, come riportato dalla stampa locale, che ben sette assunzioni su dieci interessino profili medi-alti. È un dato senza dubbio positivo. In Italia si dice sempre che chi cerca lavoro non sia qualificato, quando sono molti coloro – specialmente giovani – che nonostante titoli e competenze si adattano a fare lavori che non rispondono al loro profilo.
Bisogna rendere le politiche attive più efficienti nel favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro?
I servizi per l’impiego non sono mai stati purtroppo in Italia un canale efficace per fare incontrare domanda e offerta. I centri per l’impiego sono ancora oggi troppo amministrativi e poco attivi. L’idea del Governo Renzi di creare un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione credo possa portare maggior coordinamento e un’ottimizzazione nella gestione delle risorse destinate alle politiche attive, monitorando con più attenzione i risultati ottenuti.
I tassi di disoccupazione giovanile sono preoccupanti. Quali consigli dà ai suoi studenti?
Fortunatamente i nostri laureati riescono a trovare abbastanza in fretta un impiego coerente con il loro percorso di studi presso aziende nella maggior parte dei casi del territorio o comunque nell’ambito regionale. Il primo consiglio è quello di imparare al meglio una lingua straniera, possibilmente l’inglese, e di fare qualche esperienza di lavoro all’estero. Inoltre è sempre apprezzato in curriculum uno stage o tirocinio effettuato durante gli studi.
Grandi aziende come la Dalmine stanno annunciando esuberi che non lasciano intravedere nulla di buono… Cosa ne pensa?
Purtroppo sono molte le grandi aziende a soffrire. Non credo che possano esserci sensibili miglioramenti per le grandi imprese, ma dopo anni di crisi si torna finalmente a parlare della rinascita di alcuni distretti industriali.
Potrebbe esserci un rilancio anche dei distretti commerciali?
Le economie moderne si stanno sempre più terziarizzando e non mancano esempi positivi scaturiti dalla riorganizzazione a livello locale del tessuto imprenditoriale, attraverso reti e collaborazioni. Non conosco da vicino la realtà dei distretti del commercio del nostro territorio, ma non può che essere positiva la condivisione di strategie per il rilancio dei centri storici e delle loro attività commerciali.