Quanto può valere per un brand l’arredamento dei propri negozi? Tanto, se è vero che Kiko, il marchio di make up di Percassi, ha deciso di tutelarsi portando davanti a un giudice chi per lo stesso genere di prodotti ha giocato su forme, linee, colori e concezione degli spazi molto simili. Il risultato? I concorrenti della Wjcon devono pagare un risarcimento di oltre 700mila euro e hanno 60 giorni per modificare gli allestimenti per non vedere la cifra crescere ulteriormente. La sentenza è innovativa perché applica il concetto di diritto d’autore anche all’arredamento d’interni.
Ecco la vicenda ricostruita da Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera del 19 ottobre 2015
Anche un negozio, nella concezione dei suoi interni, può meritare la protezione del diritto d’autore: al punto che la sezione specializzata in materia d’impresa del Tribunale di Milano, in una innovativa pronuncia a scioglimento del braccio di ferro legale tra due colossi dei cosmetici, impone un ultimatum a Wjcon srl e (oltre a un risarcimento di 716.000 euro) ordina a questa catena commerciale di smontare e cambiare entro due mesi gli interni di tutti i propri 120 negozi italiani «copiati» da quelli del concorrente Kiko srl, pena in caso di inadempienza una sanzione di 10.000 euro per ogni negozio che al 60esimo giorno non fosse ancora stato modificato.
Kiko, rappresentata dagli avvocati Giacomo Bonelli, Fabio Ghiretti e Giorgio Mondini, sosteneva che Wjcon dal 2009 avesse vampirizzato nei propri negozi il progetto di design di arredi di interni per monomarca stilato nel 2005 dallo studio Iosa Ghini Associati srl e replicato a partire dal 2006 in 299 negozi in Italia: tutti con le stesse simmetrie ed essenzialità nella combinazione di open space, grandi grafiche retroilluminate, prodotti inseriti in alloggi traforati in plexiglass su isole a bordo curvilineo, schermi tv incassati, colori bianco-nero-rosa-viola e luci a effetto discoteca.
Wjcon, difesa dall’avvocato Roberto Bocchini, opponeva invece i due provvedimenti del Tribunale di Milano nel 2009 e di Roma nel 2012 che le erano stati favorevoli in sede cautelare, e ribatteva che nei negozi non poteva parlarsi di confusione o copiatura, giacché negli allestimenti del settore esistono «elementi necessitati e diffusamente utilizzati». Ma è qui il punto centrale della decisione redatta dall’estensore Claudio Marangoni con la presidente Marina Tavassi e la giudice Letizia Ferrari Da Grado, e cioè che anche la concezione degli interni di un negozio può avere carattere creativo e originale meritevole della tutela del diritto d’autore: questo perché «il necessario (seppur minimo) atto creativo suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore non può essere escluso soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici», e perché «la creatività non è costituita dall’idea in sé ma dalla forma della sua espressione».
Nel caso di specie, il Tribunale valuta appunto che nessun concorrente avesse prima «mai adottato nell’allestimento dei negozi una combinazione di tutti gli elementi in una chiave stilisticamente paragonabile a quella adottata nei negozi Kiko»; e che invece Wjcon si sia «appropriata del complesso di elementi che compongono il concept sviluppato da Kiko, con differenze del tutto irrilevanti rispetto alla ripresa pressoché integrale di tutti gli elementi». Per i giudici non merita invece tutela del diritto d’autore la pure ravvisata imitazione di sito web e campagne promozionali, in quanto non si può affermare con sicurezza che la percezione del consumatore medio li riconduca a un esclusivo marchio. Tuttavia ad avviso del Tribunale «questo comportamento di pedissequa imitazione del complesso delle attività commerciali e promozionali» rileva sotto un altro profilo: quello della «concorrenza sleale parassitaria», cioè dello «sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui in violazione dei principi di correttezza professionale».