Politica l’è morta. A Milano, Italia. Beppe Sala, Stefano Parisi e Corrado Passera: tre manager candidati sindaco. Uno per il centrosinistra, uno per il centrodestra e l’altro per il centro e basta. Ma, che abbia un po’ di sale o che sia insaporita con le spezie, la minestra sembra più o meno la stessa. Vince la cosiddetta società civile, seppur in una declinazione tecnocratica, esce pesantemente sconfitta la politica. Le ragioni e i modi in cui si è arrivati alla scelta degli aspiranti successori di Giuliano Pisapia possono essere diversi, ma resta il dato di fondo sconsolante che accomuna gli schieramenti: i partiti non sono stati in grado, o non hanno saputo (per incapacità o viltà conta poco), individuare al loro interno una figura in grado di partecipare alla corsa alla poltrona più importante di Palazzo Marino. E se Milano, come dice qualcuno, anticipa quel che poi si vedrà su ampia scala in futuro, beh, non c’è di chi esserne troppo contenti.
Certo, gli anticasta e i populisti in servizio permanente effettivo saranno lieti. Via i politici, finalmente, mettiamo alla guida delle nostre città chi ha saputo farsi valere nel settore privato (seppur Sala e Parisi vantino una non trascurabile esperienza anche nel pubblico, come ex city manager del Comune di Milano, ma non solo). Se non fosse che l’amministrazione della cosa pubblica è tutt’altro rispetto alla logica dei bilanci aziendali. Occuparsi di strade, di servizi sociali, di infanzia, di istruzione è ben diverso che studiare business plan o varare investimenti pluriennali. Così come rispondere agli azionisti o ad un consiglio di amministrazione è altra cosa rispetto a dover rendere conto, anche quotidianamente per strada, ai cittadini o al consiglio comunale.
Anche se a taluno parrà un’iperbole, il mestieraccio del sindaco, specie di una grande città, è terribilmente più complicato di quello di un amministratore delegato. Non è questione di dimensioni economiche né di rischi da assumere. C’è un tema di sensibilità, di valori, di interessi da contemperare nell’ambito di una società che esprime necessità ed esigenze non sempre conciliabili. E che, proprio per questo, richiedono un’attenzione e un equilibrio che il pur bravo manager non sempre possiede.
Sarà interessante capire, nell’ormai prossima campagna elettorale, come Sala e Parisi sapranno proporre un profilo programmatico in linea con la sensibilità dei rispettivi elettorati di riferimento. Impresa non facile se, dicono i pubblicitari, “sono due candidati di fatto intercambiabili e omologhi a livello di immagine. Nello specifico caratterizzati da una similare `awareness´, ovvero la percezione del pubblico sul piano quantitativo e valoriale”.
In attesa di conoscere il verdetto degli elettori, chi ne esce peggio è il Partito democratico. Beppe Sala, voluto cinicamente da Renzi, ha vinto ma, come hanno sottolineato in molti, non ha affatto convinto. Il sostegno di tanti poteri forti e dei giornaloni gli è valso meno della metà (42 per cento) dei voti delle primarie. Non proprio un successone. Per altro verso, la sinistra dem, vittima dell’antico vizio della divisione intestina, pur forte di una maggioranza potenziale di quasi il 60 per cento, è riuscita a non trovare la quadra tra la vicesindaco uscente Francesca Balzani e l’assessore Pierfrancesco Majorino. Bastava poco perché da Milano, in caso di sconfitta di Sala, partisse un violento ceffone a Renzi e al suo spericolato progetto politico neocentrista. Ma ancora una volta, paradossalmente ma non troppo, è stata la sinistra del suo partito a offrirgli il successo su un vassoio d’oro zecchino.
Per il centrodestra il discorso è in parte diverso. Parisi è un sottoprodotto della tradizione dei Gabriele Albertini e delle Letizia Moratti (imprenditori, non manager, e non è una sottigliezza). E tuttavia, continuare a pescare nel laghetto della società civile rischia di diventare la certificazione della difficoltà a far crescere una propria classe dirigente. Quasi che i consiglieri comunali, quelli regionali, i parlamentari, i sindaci di area moderata non siano all’altezza. Pare impossibile. Forse è mancanza di coraggio. Una sola domanda: era così fuori luogo per Matteo Salvini tentare la sfida milanese per trovare sul campo una vera e propria consacrazione?
Infine, di Corrado Passera non occorre aggiungere molto perché la sua impresa è a dir poco temeraria. Coraggiosa, ma al limite del patetico. Resta il Movimento 5 Stelle. Ma di fronte alla grande occasione di sfruttare la partita fotocopia di centrosinistra e centrodestra i grillini finora non stati capaci che di scegliere una candidata, Patrizia Bedori, che non convince nemmeno i fondatori. Forse è proprio vero, politica l’è morta.