Marketing territoriale, perché quello di Gori rischia di non decollare

Giorgio GoriProprio mentre il sindaco di Bergamo Giorgio Gori era in tour per la Lombardia a presentare il suo pacchetto di offerte “ruba imprese”, un articolo sul “Sole 24 Ore” titolava: “Carinzia, il flop delle delocalizzazioni”. Negli ultimi anni c’è stata un’intesa campagna da parte di amministrazioni svizzere e austriache per cercare di strappare aziende al Nord Italia facendole trasferire oltre le Alpi, attirate da apposite agenzie con il richiamo allettante di meno tasse, meno burocrazie, servizi efficienti e perfino qualche bonus.

L’impressione è che di questi trasferimenti si sia parlato più di quanto si sia concretamente fatto, ventilandoli in maniera strumentale come una minaccia per chiedere attenzione.

Allo stesso modo diventa in ogni caso un simbolo l’evento, non smentito e non confermato, di un’azienda padovana che avrebbe rinunciato allo spostamento al di là del confine annunciato dopo che le è stato ripetutamente bloccato un ampliamento nel Triveneto. L’agenzia austriaca Aba Invest che si occupa della ricerca di nuovi imprenditori esteri a fronte di questa possibile defezione ribatte che l’anno scorso ha realizzato 31 progetti di insediamento aziendale (su 484 coordinati) e di questi 25 arrivano dall’Italia per un totale di 155 posti di lavoro. Nel totale, considerate le dimensioni, non ci sono solo industrie, ma anche attività di ristorazione, con il sospetto, considerate le dimensioni, che ci siano anche diverse operazioni legate a filiali commerciali e di distribuzione che sarebbero state realizzate comunque. E da Unioncamere veneto arriva anche l’indicazione che a prendere la strada dell’estero siano prima di tutto le sedi legali per cogliere le agevolazioni, continuando a parlare italiano.

Lo scenario austriaco dimostra che il marketing territoriale non è necessariamente di successo, nemmeno quando si offrono condizioni effettivamente allettanti, come contributi a fondo perduto o imposte al 25% tutto compreso. Nel pendolo dell’economia, dalla delocalizzazione prima verso l’Est Europa e poi verso l’Estremo oriente adesso si è piuttosto al ritorno delle industrie. E’ il fenomeno del reshoring, perno della politica industriale degli Stati Uniti, che però inizia a vedere qualche caso anche in Europa, di fronte a bassi costi di produzione non più così bassi, valute non più così convenienti e anche la scoperta che all’estero non si incontrano certi problemi, ma se ne trovano di altri, a volte anche più gravi. Il risultato è che nell’annuale Fdi Confidence Index di A.T.Kearney, l’indice che misura quanto un Paese è nelle priorità dichiarate dagli investitori internazionali nel corso dell’anno, l’Italia, che, tra il 2007 e il 2013, era fuori dalla classifica dei primi 25, è rientrata al 20° posto nel 2014 ed è salita al 12° quest’anno, davanti, tra l’altro, anche a Svizzera e Austria.

Il piano di Bergamo comunque non ha obiettivamente ambizioni internazionali. La portata è modesta. Gli interventi del Comune si tradurranno essenzialmente in un’Imu agevolata allo 0,76% anziché all’1,06%, uno sconto fino al 50% degli oneri di urbanizzazione per la riqualificazione di vecchi stabilimenti inutilizzati, piani attuati per stralci, semplificazione amministrativa e digitalizzazione delle pratiche. Meglio che niente si può dire, anche se alla fine per un’azienda dove il peso della proprietà immobiliare è marginale l’interesse è ridotto, se non nullo. Si può escludere che una multinazionale possa decidere di insediarsi a Bergamo solo per cogliere queste offerte. Ma probabilmente sarà difficile che qualcuno si sposti anche solo da fuori provincia. Perché l’idea pur essendo valida – ma forse sarebbe bene pensare non solo a chi arriva, ma anche a chi c’è già – sconta il limitato raggio d’azione che un’amministrazione comunale, seppure di buona volontà, può avere nel fare marketing territoriale sul piano economico. Lo sconto sulle tasse da una parte viene compensato dall’aumento di altri costi, non fosse altro che quello del trasporto. Ma poi c’è anche la concorrenza di altre amministrazioni. Basti vedere, ad esempio, il ginepraio delle addizionali regionali, solo un caso tra i tanti. In Veneto è prevista un’aliquota unica all’1,23%, in Lombardia arriva a un massimo dell’1,74% sull’aliquota superiore, in Emilia sale fino al 2,33% e in Piemonte arriva al 3,33%. Un divario di oltre due punti che può vanificare, quando un’azienda fa i conti generali, le offerte promozionali di un Comune di buona volontà.