Non è la crisi del 2009. Quella, che sembrava essere la più grave crisi mai vista, “ci fece il solletico” in confronto a ciò che sta accadendo ora. La situazione di oggi è molto più grave. Non solo per il coinvolgimento emotivo, anche il mio.
I media sono ancora concentrati sull’emergenza sanitaria e non focalizzano ancora del tutto il trauma economico che stiamo subendo.
Gli imprenditori bergamaschi stanno reagendo con compostezza alle loro reali difficoltà per rispetto dei tanti morti, anche dei loro. I circa 600 questionari recapitati on line alla nostra Associazione in poco più di 30 ore segnalano la percezione di gravità del problema. Le riposte degli imprenditori, lucide e precise, delineano con chiarezza i timori e l’incertezza per il futuro. Siamo di fronte ad un impatto sull’economia reale senza uguali dal dopoguerra ad oggi e non siamo in grado di prevederne l’esito e la ripartenza. Non sappiamo quanto passerà prima di poter parlare di una reale ripresa.
I dati che emergono dal questionario promosso dalla nostra Associazione in collaborazione con Bergamo TV sono allarmanti.
Siamo stati diretti nelle domande perché il momento non si presta a inutili giri di parole. Abbiamo chiesto alle imprese del commercio, turismo e servizi nostri associati cosa intendono fare dopo questa batosta. Le risposte sono state altrettanto sincere ed eloquenti.
Il 12,1% non riaprirà più, l’ha già deciso. Il 31% non è ancora in grado di rispondere.
Per un tessuto come il nostro bergamasco, fondato sul lavoro “in proprio”, il rischio è un’ecatombe di imprese, soprattutto tra i pubblici esercizi, già indeboliti dalla liberalizzazione selvaggia dell’ultimo decennio, e tra i negozi di abbigliamento e calzature, minati dal cambiamento delle abitudini d’acquisto, dal commercio elettronico e soggiogati da vincoli contrattuali con le aziende manifatturiere assolutamente anacronistici visto quanto sta avvenendo.
Il blackout di liquidità che perdura da ormai quasi due mesi sta mettendo in difficoltà gli imprenditori nella sfera aziendale e anche familiare. Il 51% degli imprenditori del terziario dichiara che la sua liquidità è insufficiente mentre solo il 36,1% stima la sua perdita di guadagno nella percentuale di sopportabilità del 30%. Addirittura, uno su quattro, il 26% degli imprenditori intervistati, dichiara perdite di guadagno fino al 100%.
Le ricadute saranno presto evidenti, a partire dalle spese più immediate, come il canone di affitto. Solo il 42,8% del campione è proprietario dei muri del negozio, mentre il 57,2% è in affitto: di questi il 43% ha dichiarato che non pagherà regolarmente il canone; il 33% cercherà di rinegoziarlo mentre il 32% individuerà un’altra modalità per far fronte alle difficoltà del pagamento. Per la diligenza e l’onorabilità dei bergamaschi questa è un’ulteriore “mazzata”.
Gli strascichi avranno però respiro più lungo. Le imprese usciranno da questo momento più deboli e più indebolite. Oggi gli ammortizzatori stanno congelando le posizioni, ma a breve i riflessi si vedranno anche sull’occupazione.
Il 21,7% ha già deciso di rinunciare a parte del personale, mentre il 35,7% lo sta valutando. Se questi incerti si trasformassero in aziende che licenziano, i numeri dei disoccupati andranno presto ad ingrossarsi.
Gli intervistati delineano le loro richieste. Solo il 17,8% sostiene che l’iniezione di liquidità sia condizione per riaprire l’attività. Sanno che i debiti devono essere comunque pagati. La maggior parte, il 45,2%, chiede un contributo a fondo perduto, il 34,7% la detassazione e il 28,9% gli sgravi. Sinceri e concreti.
Chiedersi se in una simile situazione ci siano facili soluzioni penso sia difficile. Io non ne ho, sono sincero. Penso che dobbiamo insieme provare a ricominciare, ascoltandoci, bandendo tutte le divisioni e i pregiudizi e ricostruendo mattone dopo mattone con grande pazienza, umiltà e attenzione.