Letto per voi / L’Espresso, “Che succede nella Bergamo di Giorgio Gori”
di GIANFRANCESCO TURANO
Dal laminato piano al turismo culturale all inclusive il passo è lungo anche per gente che non si spaventa del lavoro in ogni sua declinazione, come i bergamaschi. In una città dove per decenni la crescita è stata affidata alle acciaierie della Dalmine e all’Italcementi, con effetti psicoeconomici su una popolazione rinomata per la sua chiusura al resto del mondo, tira un’aria di movida in stile Barcellona che fino a qualche anno fa sarebbe stata impensabile. La soluzione è cinque chilometri a sud-est. L’aeroporto di Orio al Serio, terzo in Italia per numero di passeggeri (10,4 milioni nel 2015) continua a crescere in modo sfrenato. Nonostante la fine della kermesse di Expo 2015 nel primo trimestre 2016 sono sbarcati 2,4 milioni di passeggeri (+10,4 per cento).
Solo un quinto di questo traffico annuale (2 milioni) rimane in vacanza a Bergamo e provincia. Ma quando Bloomberg Business Week, la bibbia settimanale del capitalismo Usa, apre la sua rubrica dedicata a viaggi e vacanze per milionari con un servizio sul Lago d’Iseo, è segno che qualcosa si sta muovendo in fretta al di là della passerella piazzata da Christo sulla sponda bresciana del lago.
Che la città sia ben tenuta non è discutibile, né può dirsi una novità. Al non bergamasco, e anche a gran parte dei nativi, può sembrare lunare la querelle eterna sui vantaggi concessi alla Città Alta, dove vivono i patrimoni antichi e recenti. I commercianti della zona bassa e relativamente povera lamentano le troppe attenzioni dedicate dall’amministrazione comunale alla rocca medievale e sostengono di essere in difficoltà per la concorrenza del grande mall di Orio con i suoi satelliti. Ma lungo via San Bernardino, città di sotto, si incontrano locali eleganti e la giusta dinamica dei fluidi di passeggio che sempre più spesso risuonano di lingue dell’Europa, visto che Bergamo è in testa alle classifiche dell’ospitalità per gli studenti in Erasmus.
Continuando a salire per via Sant’Alessandro, il patrono, si entra in un mondo a parte che è città bassa ma quasi alta dove, in un tardo pomeriggio feriale, passa una macchina, poi tre minuti di uccellini, un’altra macchina e altri tre minuti di uccellini. In cima si apre porta San Giacomo, il varco nelle mura dove ancora campeggia il Leone di Venezia. La modernità riaffiora lungo la vasca di via Gombito-via Colleoni dove appaiono i cartelli che segnalano il wi-fi gratuito in tutta la città oltre a un quantitativo inquietante di defibrillatori.
Detto che c’è chi sta peggio, una defibrillazione del tessuto economico si è resa necessaria per trascinare la città fuori dal suo isolamento. L’apertura di Bergamo spetta alla scoperta di una fragilità molto poco bergamasca, in linea di principio. Senza andare troppo indietro al tempo della cessione della Dalmine alla Tenaris dei Rocca e del takeover sul Credito Bergamasco (Creberg) da parte dello scalatore di Garbagnate Ernesto Preatoni, la città si è trovata nel giro di un biennio ad assorbire i problemi dell’impero commerciale Lombardini, la crisi generale del settore edilizio e il trauma della cessione di Italcementi dalla famiglia Pesenti ai tedeschi di Heidelberg Cement con 430 esuberi.
A giugno del 2014, proprio mentre il sindaco Giorgio Gori metteva per la prima volta la fascia tricolore, il Creberg è stato assorbito dal Banco Popolare e, pochi giorni fa, i soci bergamaschi sono rimasti senza rappresentanza nella nuova formazione tra Banco Popolare e Bpm. L’ex Popolare di Bergamo, dominata a lungo da Emilio Zanetti, è finita dentro Ubi. Il nuovo istituto ha conservato la sede dietro viale Roma, in città bassa, e mantiene un bergamasco alla guida del consiglio di sorveglianza, Andrea Moltrasio, ma non è più un affare riservato ai locali che lo scorso febbraio hanno voluto distinguere la loro voce dal coro riunendosi in un “patto dei mille” guidato da Zanetti in persona. Fra gli azionisti, che controllano il 2,3 per cento della banca, c’è il nocciolo duro dell’economia cittadina con l’industriale meccano-tessile Miro Radici, presidente di Sacbo, Alberto Barcella, numero uno della Mobili Barcella, i Pesenti, il patron dell’Atalanta Antonio Percassi, i Bosatelli della Gewiss, Gianfranco Andreoletti (materie plastiche), Matteo Tiraboschi di Brembo e, dulcis in fundo, la potente e ricca diocesi di Bergamo.
Il sindaco democrat, il molto mediatico Gori, non vuole sentire parlare di deindustrializzazione, di debanchizzazione, di demaguttizzazione (magut è l’inarrestabile muratore di Bergamo). Ma in fondo non gli dispiace amministrare da due anni una città che si sta trasformando in qualcosa di completamente diverso dopo un quinquennio di amministrazione di destra con l’ex missino Franco Tentorio. Gori ha una biografia molto da self made Bergamo man. Figlio di un dipendente della Montedison, ha frequentato le scuole medie nella Mestre avvelenata dal petrolchimico, ma ha saputo costruirsi una strada fino a una delle dimore più lussuose della Città Alta, in via Porta Dipinta.
Cattolico praticante ed ex di “Azione e libertà” al liceo classico Paolo Sarpi, un movimento che si riuniva nella sede del partito liberale dove, negli anni Settanta, c’erano solo lui, Andrea Moltrasio e alcune ginnasiali innamorate, Gori è ospite fisso dei rotocalchi grazie al matrimonio con l’anchorwoman Mediaset Cristina Parodi. È un ex manager Mediaset lui stesso e inventore di format tv con Magnolia, che ha fondato nel 2001. Oggi Gori ha 56 anni e nessuna intenzione di essere un po’ meno ambizioso di quanto sia stato per tutta la vita.
È stato fra i primi, su imbeccata dell’amico Luca Sofri, a capire il potenziale di Matteo Renzi, tanto da essere il regista delle 100 proposte alla Leopolda dell’ottobre 2011. Renzi è forse troppo simile al suo ex consulente in comunicazione per amarlo davvero, e inoltre meno bello e meno ricco. Così lo ha sedotto, messo a bagno nell’umiltà delle delibere di consiglio comunale e solo da poco riavvicinato scegliendo Bergamo per avviare la sua campagna per il sì al referendum, con Gori ospite felice e primo fra i pasdaran della riforma costituzionale.
Per adesso gli tocca vantare la cifra record di 9 formaggi con marchio dop presenti nella provincia, parlare di “brand Donizetti” da lanciare in un festival prossimo venturo con l’amichevole collaborazione del finanziere melomane Francesco Micheli, consigliere della Scala. Ma in primo piano resta la fierezza di Bergamo seconda provincia europea per valore aggiunto (9,7 miliardi di euro contro i 10 della prima, la poco amata Brescia). Il sindaco, che non ha perso la narrativa da imprenditore e manager, giura sul modello industriale 4.0 quando molti profani ancora si chiedono che cosa sia il 2.0. Cita le eccellenze di Innovatio (1 miliardo di euro di ricavi in sei anni di vita) e della Brembo di Alberto Bombassei, ex vicepresidente di Confindustria con un passaggio fra i montiani di Scelta Civica prima di diventare riformista di rito goriano.
La boa dell’industria rassicura anche perché la locomotiva economica dell’aeroporto presenta aspetti problematici. Il principale è la dipendenza da Ryanair, che trasporta l’80 per cento dei passeggeri. Bisogna pregare che san Micheal O’ Leary, il pittoresco fondatore della compagnia low-cost, non si faccia tentare da altri scali e che la Brexit non guasti la festa. Il concorrente più pericoloso è Malpensa. È un concorrente interno perché la Sea, che gestisce Malpensa e Linate, è azionista di Sacbo, la società di gestione di Orio, partecipata anche dal Comune bergamasco e dalla Provincia. La fusione Sacbo-Sea, delineata dal business plan dell’influente ex rettore dell’università di Bergamo, Stefano Paleari, è data per fatta ed è slittata soltanto per aspettare l’elezione del nuovo sindaco di Milano. Beppe Sala è già d’accordo con le linee generali del programma (Sea al 60-65 per cento e Sacbo al 35-40 per cento della newco).
Anche la Lega e Forza Italia, o quel poco della Lega e di Forza Italia che rimangono nei dintorni di Pontida, spingono sullo sviluppo di Orio con proposte a volte fantasiose, come quella dell’assessore regionale Alessandro Sorte, bergamasco di Treviglio. Per risolvere il collegamento problematico fra lo scalo e Bergamo, Sorte ha ipotizzato una funivia. Quando gli hanno fatto notare che una funivia con i suoi cavi sospesi in mezzo agli aerei è pittoresca ma poco pratica, Sorte ha rilanciato con una funivia dotata di partenza sotterranea. Si troverà qualcos’altro per preservare la sicurezza dei voli e un flusso turistico maggiore perché Orio vuole crescere ancora, nonostante l’impatto ambientale già molto forte sul quartiere di Colognola. L’idea della Sacbo di prendersi lo scalo bresciano di Montichiari, acquisito dalla veneziana Save e poi svuotato di voli, sembra tramontata ma non si esclude un ritorno di fiamma.
Resta il nodo dei collegamenti via terra verso ovest. Delrio ha stanziato 7 milioni di euro per il progetto esecutivo di una nuova linea ferroviaria tra Milano e Bergamo che migliori i tempi di percorrenza dei 50 chilometri (48 minuti, a una media da convoglio borbonico). Anche qualche treno più presentabile aiuterebbe. Poi bisogna vedere se Bergamo è pronta a diventare un’altra delle città italiane devastate dal turismo e se il sindaco, con i suoi amici della Città Alta, è disposto a consentirlo. Il suo futuro politico è allineato al cronoprogramma renziano. Lo delinea Gori stesso, senza turbamenti per le sconfitte a Roma, Napoli e Torino: «Adesso si vince il referendum. Poi si va a votare alle politiche del 2018». Lì il fondatore di Magnolia può giocarsi una chance di governo, che non esclude, mentre esclude di correre da governatore nel febbraio 2018.
In alternativa al Pirellone e a Roma, c’è sempre un secondo mandato da sindaco e da consigliere-ombra del premier. Il suo protettore ai tempi di Canale 5, Enrico Mentana, gli ha attribuito un ruolo decisivo nelle nomine Rai, riempita di ex partner di Gori come Ilaria Dallatana, sua socia alla fondazione di Magnolia, Antonio Campo Dell’Orto, suo vice a Canale 5, Daria Bignardi, presentatrice di format Magnolia e moglie dell’amico Sofri. Anche se ha una bella moglie, tre figli, una dimora faraonica, Gori non dimentica l’umiltà nella fede e nella politica. Visita la camera ardente del cardinale centenario Loris Capovilla, memoria storica del papa buono, e bergamasco, Giovanni XXIII. Ordina al suo capo di gabinetto Christophe Sanchez, ieri autore dei programmi tv Camera Cafè e Scherzi a parte, di imporre restrizioni orarie alla ludopatia bergamasca (2 mila euro di spesa media pro capite annuale). In modalità laica si prende la briga di inaugurare il Pd Point di Gallarate (Varese) «perché me l’hanno chiesto» a costo di accollarsi i sarcasmi varesotti: «il Pd Point di Gallarate sembra la nuova sede di Prada», scrive sul web un militante-gufo. Gori non se ne cura. L’ex giovane liberale che diventò socialista, berlusconiano, antiberlusconiano, poi renziano, continua a puntare su se stesso. Se lui aiuta Bergamo, Bergamo aiuterà lui.