Gori: “Lega e destra tra i primi a mettere in difficoltà il territorio”

Gori: “Lega e destra tra i primi a mettere in difficoltà il territorio”

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Giorgio GoriIl sindaco di Bergamo, Giorgio Gori,

è intervento all’evento “Comuni fra tagli,

riforme e ripresa” promosso dall’Anci a Bergamo.

A seguire il testo integrale

 

“Di questi tempi, ammettiamolo, il governo non è particolarmente popolare tra i sindaci. Che il bonus degli 80 euro sia stato in parte finanziato a spese dei Comuni – 9,6 milioni di euro il calcolo per quelli bergamaschi – non è stato apprezzato, per usare un eufemismo. E l’opposizione – segnatamente la Lega – su questo prova a costruire una vera e propria campagna di “rivolta dei sindaci” contro il Governo Renzi. Personalmente ritengo non ne abbia alcun titolo.

Per quanto riguarda i comuni, i numeri sono infatti inequivocabili.

 

Le manovre dal 2008 in avanti valgono, cumulate, 13,8 miliardi nel 2015. Di questi, la gran parte (8,7 miliardi, pari al 62% del totale) sono ascrivibili alle manovre del governo Berlusconi sostenuto dalla Lega Nord; altri 4,1 miliardi al governo Monti; 275 milioni al governo Letta; 863 milioni al governo Renzi, che però – va detto – ha attribuito ai comuni risorse significative per l’edilizia scolastica (sotto forma di contributi e/o di allentamenti del patto) e ha rifinanziato e stabilizzato molti fondi sociali destinati agli enti locali, a partire dal fondo nazionale politiche sociali.

Non credo quindi che i nostri amici della Lega e della destra possano intestarsi una battaglia per la difesa del territorio, quando sono stati i primi che l’hanno messo in fortissima difficoltà.

E’ vero che il governo Renzi ha ridotto le risorse locali con il DL 66 e con il taglio del fondo di solidarietà della Legge di stabilità 2015, ma ha anche allentato come mai era avvenuto prima il patto di stabilità.

Il problema, semmai, è COME questo allentamento viene declinato.

Attenzione amici dell’Anci!

La riforma del Patto di stabilità sfociata nell’intesa del 19 febbraio scorso in Conferenza Stato-Città e autonomie locali introduce nuovi criteri per il calcolo del patto di stabilità, del tutto sconnessi dagli elementi di virtuosità fino ad oggi sperimentati.

Già nella versione definitiva della legge di stabilità il promesso sollievo del 70% sul patto di stabilità per i comuni è stato abbassato (con l’accordo dell’ANCI) al fine di non penalizzare i comuni che presentavano residui attivi di dubbia o nulla esigibilità in misura notevole (e questo per un comune virtuoso che non ha in bilancio residui attivi “fasulli” ha significato una penalizzazione).

Nella nuova intesa la capacità di riscuotere i crediti e le entrate con puntualità viene ridotta nel peso nella determinazione dell’obiettivo (conta per il 40%), mentre viene introdotta una correzione a favore degli enti che nel periodo 2009-2013 (o 2012, a seconda della disponibilità del dato) hanno ridotto la spesa corrente.

Ora, è chiaro a tutti che livello di spesa è collegato ai servizi a favore dei cittadini e alla capacità di finanziarli. Ridurre la spesa corrente non è dunque un criterio di merito, in assoluto. Accade così che un comune attento a riscuotere le proprie entrate e con buone capacità di fornire servizi si trovi ulteriormente penalizzato.

Per il Comune di Bergamo, questo si traduce in un peggioramento dell’obiettivo di patto da 3,5 a circa 7 milioni di euro: il doppio.

…anche qui, purtroppo, col placet dell’ANCI.

Ma andiamo avanti. Perché oggi, più che dei Comuni, vorrei che si parlasse delle Province.

Come credo tutti sappiate il quadro in questo caso è drammatico.

Le manovre dal 2008 in avanti valgono, cumulate, 5,5 miliardi nel 2015. Di questi, 2,3 miliardi (42% del totale) derivano dal governo Berlusconi; 1,7 miliardi dal governo Monti; 69 milioni dal governo Letta; 1,5 miliardi (che salgono a 2,5 miliardi nel 2016 e 3,5 miliardi nel 2017) al governo Renzi.

A fronte di questi tagli, l’ultimo, quello introdotto dall’ultima legge di Stabilità, le Province sono tutte condannate al dissesto – se non quest’anno certamente nel 2016 o l’anno successivo.

Lo dico senza giri di parole: la manovra sulle province e città metropolitane è senz’ombra di dubbio il punto più critico della Legge di stabilità 2015 e rischia di compromettere l’attuazione della riforma Delrio, con pesantissime conseguenze sui servizi essenziali rivolti ai cittadini.

C’è un problema Lombardia, in particolare.

Se in altri casi si è scelta la strada della restituzione alle Regioni di tutte le precedenti deleghe – al netto delle funzioni fondamentali fissate dalla legge -, per poi contrattare con le Regioni i nuovi affidamenti, in modo che a ciascuna delega corrisponda adeguata copertura finanziaria, in Lombardia scontiamo la melina della Giunta Maroni, che nel suo lasciare tutto “com’era” si sta assumendo la responsabilità di portare dritte al default le province lombarde.

I tagli della legge di stabilità non sono infatti conciliabili con il lasciare “tutto com’era”. E’ una scelta cinica e opportunistica, che saranno i cittadini a pagare.

Io credo che i Comuni lombardi non possano assistere a tutto questo senza farsi sentire.

Intanto perché sono loro gli azionisti dei nuovi organismi di Area Vasta. E poi perché dividere il destino di comuni e province è impossibile. I cittadini che rischiano la vita per colpa delle buche che la provincia non ripara sono i nostri cittadini, sono nostre le famiglie degli studenti disabili e nostri i lavoratori che rischiano di vedersi tagliato il trasporto pubblico per mancanza di fondi. Per fare solo qualche esempio.

Con le province ad un passo dal dissesto chi rischia di pagare un conto altissimo è il territorio, che tra tagli ai comuni e alle province, riforme delle camere di commercio e delle banche locali rischia di vedersi privato di asset e risorse fondamentali.

E’ fuori discussione che le scelte promosse dal Governo, dalla Delrio alle riforme delle istituzioni territoriali, sono figlie delle cattiva amministrazione di molti territori (non questo) e della miopia di classi dirigenti locali che troppo spesso si sono arroccate in difesa rifiutandosi di promuovere e governare a tempo debito processi seri di autoriforma. Vale per le province, così come per le camere di commercio o i piccoli comuni o le banche popolari: tutti nodi su cui stiamo pagando gli eccessi di conservatorismo del passato.

Ma l’idea di un cambiamento che indebolisce i territori non ci convince.

Se leadership nazionale e leadership locali agissero di concerto potrebbero cambiare davvero, in profondità, il nostro Paese. Temo al contrario che l’indebolimento del territorio possa in qualche misura minare il processo di riforma che a livello nazionale abbiamo ambiziosamente intrapreso.

Se tutto questo è vero, il punto è come ciascuno di noi si pone, ognuno per il suo ruolo, di fronte al dissesto quasi inevitabile dei nuovi enti di Area vasta e le relative conseguenze per i cittadini.

Io non ho la risposta, ma credo che una risposta vada rapidamente trovata, se non vogliamo che questa cosa ci caschi addosso come una slavina.

Non è più, per capirci, un problema dell’UPI: è un problema dell’ANCI, anzi, IL PROBLEMA principale che l’ANCI ha davanti a sé.

E non solo dell’ANCI. Tra gli enti locali e governo c’è il Parlamento.

La rappresentanza lombarda alla Camera può contare su quasi 50 deputati e questo potrebbe essere uno dei momenti più opportuni per far valere congiuntamente e trasversalmente il loro peso.

Sanzioni per lo sforamento del patto, personale, risorse: c’è bisogno di misure urgenti che arginino il tracollo dei bilanci delle Province.

C’è bisogno di indirizzi generali, che sottraggano ai governi regionali la discrezionalità che consente loro di applicare la nuova normativa a proprio esclusivo vantaggio.

E’ c’è bisogno di un orizzonte, che per quanto riguarda questo territorio, esattamente come quello di Brescia, non consente di immaginare la scomparsa di un livello di governance intermedio, tra la sterminata frammentazione dei nostri Comuni e gli uffici di Palazzo Lombardia.

Per me, per molti di noi, questo livello – NECESSARIO – si chiama area omogenea, a condizione che si tratti di un livello istituzionale vero, con funzioni, risorse e adeguati meccanismi di governance – con la Provincia in ogni caso investita del compito di coordinamento delle aree omogenee e delle essenziali, inevitabili, funzioni di area vasta.

L’alternativa è il caos.

Queste cose nella Delrio non ci sono, o meglio ci sono per le sole province montane, il che rende l’omissione ancora più inspiegabile e paradossale. Ma si tratta di mancanze che la politica, se vuole, può correggere.

So che non è facile, ma chiedo all’ANCI e alle nostre rappresentanze parlamentari di non dare per persa la partita, di non alzare bandiera bianca. Il fallimento delle province è una minaccia GRAVE per i comuni e per i cittadini, soprattutto per quelli lombardi.

Mi auguro che se ne prenda adeguata consapevolezza e si agisca di conseguenza.”

 

Giorgio Gori, sindaco di Bergamo