«Abbiamo gettato dei semi senza avere coscienza di quanto sarebbe cresciuto il nostro progetto»: l’idea di una valorizzazione complessiva delle Mura di Bergamo, germoglio della candidatura che oggi diventa patrimonio dell’Umanità, risale al 1988. La ebbe l’architetto Gianni Carullo, che allora era alla Commissione urbanistica del Comune di Bergamo guidato dal sindaco Zaccarelli.
L’occasione fu il progetto del neonato Ministero dei beni Culturali, “Memorabilia”, un investimento di diverse centinaia di miliardi di lire per la riqualificazione e il restauro di documenti, monumenti, paesaggi di valore storico che andavano deperendo e che si trovavano al di fuori delle previsioni di intervento di Ministero e Soprintendenze.
Carullo ebbe l’idea di non presentare un monumento in particolare (il professor Passerini Tosi e l’architetto G. De Carlo puntarono sul complesso di Sant’Agostino perché potesse divenire un giorno Osservatorio sulla città) e propose lo scenario di Bergamo Alta e delle fortificazioni veneziane.
«Ho passato 4-5 mesi recandomi 2-3 volte a settimane a Trastevere a seguire questo progetto – sottolinea Carullo -, abbiamo fatto una grande mostra nell’ex orfanotrofio di Roma e poi presentammo i progetti, sia Sant’Agostino che il Colle di Bergamo, alla Commissione di valutazione. Avevo pensato a un paesaggio, a un ambito urbano più ampio cogliendo le elaborazioni dell’Ancsa, l’Associazione Nazionale Centri Storici e Artistici, di cui faccio ancora parte. La commissione apprezzò il progetto e portò al primo posto tra le proposte lombarde Bergamo e il Suo Colle. Sfortunatamente la Giunta Galizzi lasciò decadere tutto. Italia Nostra e i Verdi si scagliarono contro il piano Memorabilia, perché era fuori dalle intenzioni di intervento diretto del ministero e delle soprintendenze. E mentre Bergamo stava ferma e lasciava decadere il progetto, Brescia ottenne fondi per riqualificare Santa Giulia, Lucca ristrutturò interamente le Mura e Ferrara non solo ristrutturò le Mura, ma anche il quartiere ebraico».
«Continuammo a parlarne in qualche modo. Al di fuori delle sfere istituzionali. Era più volontariato culturale, mandammo a Roma anche alcuni documenti, io e Orazio Bravi, che era direttore della biblioteca Mai e si interessò alla questione. La cosa prese slancio istituzionale vero con il sindaco Bruni e l’allora assessore Francesco Macario. Entrambi credettero alla candidatura e andammo a Roma tutti e tre per avviare il percorso con il ministero. Incontrammo il ministro al terzo piano del collegio romano: fu colto immediatamente lo stimolo internazionale e seriale del progetto e la candidatura convinse proprio per il suo valore simbolico, a pochi anni dalla conclusione della guerra nella ex Yugoslavia. Ci presentò subito due funzionari del ministero, perché ci seguissero nel percorso di candidatura: uno dei due era l’architetto Adele Cesi, che ha accompagnato il lavoro fino a oggi».