I giovani e la loro socialità sono le vittime trascurate della pandemia

Da mesi è al centro del dibattito l’analisi di chi abbia subito le conseguenze economiche della pandemia, mentre è quasi assente la discussione su chi stia subendo l’impatto sociale delle restrizioni. Se nel primo caso sono le imprese del terziario (turismo, commercio servizi) con i loro titolari, collaboratori e dipendenti quelle che più hanno pagato economicamente nell’ultimo anno e mezzo, le persone più colpite dai lockdown sono i giovani. Non è casuale. C’è, infatti, un legame forte tra le attività del commercio e le giovani generazioni come conferma lo studio “Le giovani generazioni in Italia dopo la pandemia” edito dall’ufficio studi di Confcommercio a luglio 2021 e che tra i diversi paragrafi che descrivono il dramma della situazione demografica e lavorativa dei giovani in Italia aggiunge “La socialità negata (per nobili ragioni) durante la pandemia”.

Anche a prescindere dal “disastro” scuola, la già difficile condizione giovanile in Italia è peggiorata sensibilmente dal 2020. I giovani sono stati i più colpiti nella loro vita sociale. In occasione dell’indagine Censis-Confcommercio “Clima di fiducia e aspettative delle famiglie italiane”, realizzata durante la scorsa primavera, sono state rivolte, nella seconda parte di aprile, ai responsabili degli acquisti delle famiglie (1.000) alcune domande su comportamenti e attese delle famiglie durante la pandemia. Esaminando le risposte del totale degli intervistati emergono alcune indicazioni interessanti su cosa è mancato di più durante il periodo della pandemia.

L’indagine Censis-Confcommercio “Clima di fiducia e aspettative delle famiglie italiane”

Le diverse fasi di confinamento domestico o di limitazione agli spostamenti e all’utilizzo di determinati servizi, oltre a determinare impatti di varia natura e intensità sull’economia delle famiglie, hanno comportato rinunce e modifiche comportamentali. Come era facilmente prevedibile, quello di cui si è maggiormente sentita la mancanza è stata la libertà di incontrare amici e parenti (punteggio medio di 8,2 in un range da 1, minimo disagio, a 10, massimo disagio), seguita dalla possibilità di viaggiare (punteggio medio 7,3) e dalle gite fuori-porta nei fine settimana (6,9). Sostanzialmente tutto ciò che è riconducibile alla libertà di impiegare il proprio tempo libero nel modo preferito.

Tra le tipologie di esercizi/servizi la cui chiusura è pesata di più per la popolazione, si segnalano bar e ristoranti (6,3) seguiti da musei e altri luoghi di cultura (6,2) e cinema, teatri, eventi concertistici (6,0). La rinuncia all’attività sportiva è stata “dolorosa” più o meno come l’impossibilità di praticare lo shopping e accedere ai servizi di cura della persona come estetisti, parrucchieri e barbieri (dal 5,3 al 5,6). Voti decisamente più bassi per l’impossibilità di recarsi sul luogo di lavoro (3,2) e di frequentare locali notturni e sale da ballo (2,7).

Un ulteriore elemento di interesse sono le differenze generazionali nella percezione delle difficoltà. Il voto su quanto si è sentita la mancanza di diverse occasioni di socializzazione è stato, infatti, applicato agli intervistati suddivisi in tre classi di età. Dalla ricerca emerge che l’impedimento a poter vivere momenti di socializzazione è stato molto più gravoso per i giovani che per gli anziani con scarti molto significativi. Questo risultato, forse scontato al punto da essere completamente trascurato dal dibattito pubblico, fa apprezzare ancora di più lo sforzo eccezionale che hanno fatto i giovani durante la pandemia a rispettare tutte le misure di contenimento alla diffusione del coronavirus.
Se l’impossibilità di incontrare amici e parenti è stata vissuta dalle fasce di età più giovani in linea con il dato medio, alcune voci mostrano invece scarti significativi. Ad esempio, la mancata frequenza di locali notturni e discoteche, pur essendo all’ultimo posto nella graduatoria, è stata vissuta dai giovani con maggior sacrificio rispetto alle fasce di età più adulte (quasi il doppio 4,2 contro 2,7). Analoga considerazione vale per le passeggiate, le cene e gli aperitivi fuori casa e la partecipazione a eventi sportivi.

La solidarietà genitori-figli

Al di là delle tante rinunce che in diversa misura hanno colpito tutta la popolazione e i giovani in particolare, è interessante quello che emerge dall’indagine riguardo alle opinioni su quali siano state le fasce d’età maggiormente penalizzate dalla pandemia. Secondo gli intervistati la situazione emergenziale che si è venuta a determinare da un anno a questa parte ha visto tra gli “sconfitti” prima di tutto i più giovani, categoria indicata da circa il 46% delle risposte. Esaminando i giudizi espressi sulla base della classe di età emerge una sorta di solidarietà genitori-figli. Per i più giovani, l’attenzione è verso la classe di età nel pieno dell’attività lavorativa, cioè 45-64 (48,1%); per l’età pienamente lavorativa, l’attenzione non è affatto su di sé, anzi, ma è verso i giovani (54,4%); probabilmente madri e padri, figlie e figli, soffrono più delle sofferenze dei congiunti che direttamente delle proprie.

È verosimile che questo dato sia riconducibile al fatto che le famiglie hanno “toccato con mano” le difficoltà e lo spaesamento dei loro figli nel doversi adattare alla didattica a distanza e all’intermittente ritorno in aula, nell’impossibilità di socializzare con i coetanei, nelle limitazioni alla pratica sportiva. Pochi si concentrano sulle difficoltà degli anziani e a ben guardare neppure gli anziani stessi (il 12,8% del campione li ritiene i più penalizzati).
Si tratta di un risultato molto forte, considerando che gli anziani sono stati le principali vittime – in senso proprio – della pandemia e hanno dovuto subire un fortissimo confinamento domestico, avendo tra l’altro più difficoltà nell’organizzarsi una “vita in digitale” là dove era l’unica possibilità in essere. Ma i giovani che con il digitale hanno comunque affrontato le restrizioni, sono coloro che hanno rinunciato più di tutti al loro stile di vita nella lotta alla pandemia.