Salvini & Meloni, quei giochini surreali e sterili per far fuori Berlusconi
La Prima Repubblica (salvo eccezioni) è stata spazzata via da mani Pulite. Umberto Bossi ha subìto l’onta delle ramazze. Massimo D’Alema, per quanto cerchi ancora d’agitarsi, è stato rottamato. E pure Antonio Di Pietro se n’è dovuto uscire di scena suo malgrado tra le pernacchie nonostante ad un certo punto fosse assurto al ruolo di salvatore della Patria. Inutile girarci intorno, per un uomo politico l’uscita di scena spontanea è più rara di una vittoria dell’Atalanta di questi tempi grami. Così serve sempre un elemento esterno per arrivare laddove forse, con un po’ di ragionevolezza e soprattutto senso della misura, si potrebbe giungere senza traumi.
Sta succedendo anche nel caso di Silvio Berlusconi, come si può vedere dallo spettacolo che rimbalza dalla Capitale. Tutte le beghe sul candidato più adatto a conquistare il Campidoglio sono mangime per i piccioni. Intanto perché così com’è ridotto, il centrodestra non ha la benché minima chance di arrivare sulle macerie lasciate da Ignazio Marino e dai suoi illustri predecessori (a partire da Terminator Alemanno). E in secondo luogo, perché a Matteo Salvini anzitutto, e a Giorgia Meloni di conserva, sta a cuore ben altra partita. Una sfida rivolta al futuro, a conquistare la leadership per cominciare a ricostruire il disastrato terreno dei moderati e conservatori.
Dopo vent’anni, la stella di Berlusconi è ampiamente tramontata. Non ne vuole prendere atto lui, per via dei fortissimi interessi economici che pure sono sempre stati la stella polare del suo agire politico e per la sua congenita incapacità a vestire panni che non siano quelli della primadonna assoluta e incontrastata. E non lo vogliono fare nemmeno i superstiti cortigiani che, non potendo vivere di propria virtù, cercano affannosamente di tener su il catafalco nella speranza di sopravvivere il più a lungo possibile.
Ma qui non è il caso di infierire. Il tacchino non si è mai accomodato in padella da solo e, quanto al resto, l’umanità è piena di servi mediocri che s’attaccano come cozze alle barche in disarmo…
Piuttosto, fa riflettere il modo in cui la coppia Salvini & Meloni combatte la sua battaglia. Non si capisce perché non vadano dritti al punto. Che significa, senza troppi giri di parole, invitare Berlusconi ad accomodarsi. In modo chiaro, trasparente, diretto. La leadership si misura sulla capacità di condurre una battaglia, certo scomoda e per certi versi pure ingenerosa (ma come diceva quel tale? La politica è lacrime, sangue e m…), a viso aperto. Assumendosi la responsabilità di una scelta netta. E, naturalmente, correndo il relativo rischio di fare pluff. Ma l’alternativa è questo surreale giochino del tutti contro tutti a base di veti incrociati, insinuazioni, indagini genealogiche sulla purezza della razza.
Il “muoia Sansone con tutti i filistei” è risultato alla portata di mano. Inoculare la sindrome della sconfitta, l’ennesima, in Berlusconi probabilmente aiuterà Salvini & Meloni a sentirsi più forti. Difficile, tuttavia, che senza una netta e radicale revisione del corredo programmatico-ideologico e la formazione di una autorevole e preparata classe dirigente (cosa che oggi non si intravede) possano anche solo lontanamente pensare di avvicinarsi ai consensi conquistati nell’arco di un ventennio dall’Unto del Signore.