Franchising, il commercio che tiene. 
Crescono giro d’affari, occupati e aziende 

Franchising, il commercio che tiene. Crescono giro d’affari, occupati e aziende 

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Il franchising in Italia ha tenuto le posizioni nel quinquennio di crisi 2009-2013. È quanto emerge dal rapporto Assofranchising Italia 2013, presentato nel corso della prima Assemblea pubblica di Assofranchising nella sede nazionale di Confcommercio. La vitalità del settore, seppure nelle difficoltà del periodo considerato, è dimostrata da una serie di segni positivi: +5,5% il giro d'affari, +4,6% gli addetti occupati nei punti vendita, +14,2% il numero dei franchisor, mentre il numero dei punti vendita è rimasto sostanzialmente invariato. Anche l’export dei format in franchising italiani registra spunti positivi sia per numero di punti vendita (+120) sia per numero di insegne franchisor che si internazionalizzano (+14).
La fotografia del 2013 dice di oltre 51.000 i punti vendita in franchising in Italia che danno lavoro a 187.000 addetti per un giro di affari di oltre 23 miliardi di euro, in aumento dell’1% sul 2012. La rete attrae soprattutto giovani imprenditori e donne. Nel 2013, infatti, circa l’80% degli imprenditori del settore aveva un’età compresa tra i 25 e i 45 anni, mentre le donne si sono attestate al 38%. Tra i  settori analizzati per giro d'affari, al primo posto si colloca “Gdo food – alimentari” con un fatturato di 7,32 miliardi di euro e un'incidenza sul totale del 31,15%, in lieve incremento d'incidenza rispetto al 2012 dell'1,09%. A seguire i ”prodotti e servizi specialistici” che nel 2013 ha pesato nella misura del 9,48%, con un fatturato di 2,23 miliardi. Le prime sei posizioni sono occupate dagli stessi settori che già si erano distinti nel 2012 con una sola differenza relativa al settore “viaggi e turismo” che dalla quinta posizione è scivolato in sesta a vantaggio del settore “intimo”.
«Chi ancora continua a prefiggersi la modalità del lavoro dipendente e garantito – ha commentato il presidente di Assofranchising Graziano Fiorelli, alla guida anche della rete Mail Boxes Etc. – deve cambiare modo di pensare. Si fanno più strada concetti e formule che hanno a che vedere con l'autoimprenditorialità». «La globalizzazione – ha osservato – va affrontata senza subire, ma con schemi e idee nuove, in primo luogo riconoscendo culturalmente il ruolo dell'iniziativa privata e della responsabilità personale». Secondo Fiorelli, quindi, «in un clima di riforme come quello che speriamo si appresti a vivere il nostro Paese il franchising diventa davvero un motore di imprenditorialità e di avviamento all'impresa per donne e giovani, uno strumento distributivo trasversale perché quando in Italia si parla di commercio moderno si pensa solo alla Gdo ma quest'approccio è riduttivo. Il commercio moderno è fatto di altre cose: vendite a distanza, e-commerce, vendite dirette, un sistema distributivo che offre alle piccole e medie aziende la possibilità di svilupparsi anche in mercati fortemente competitivi».
«È un comparto vitale e trainante della nostra economia che esporta il modello italiano – ha aggiunto Francesco Rivolta, segretario generale di Confcommercio alla quale Assofranchising aderisce dallo scorso anno -. Sostenere e promuovere il franchising significa contribuire alla diffusione di un’idea manageriale e favorire la competitività delle imprese. Mettere i piccoli sistemi in rete significa poter competere in un mercato globale». 

MADE IN BERGAMO

Wash Dog
Ogni anno 30 nuove aperture, «merito anche del modello di affiliazione» 

Chi ha un amico a quattro zampe conosce l’impresa titanica di convincerlo – in genere di peso – ad affrontare shampoo, spazzole e phon. Ecco che Emanuele Guerreschi nel 2000, con tre pastori tedeschi da gestire, ha iniziato a pensare ad una soluzione sulla scorta dell’esperienza degli autolavaggio che danno l’opportunità a chi non ha lo spazio di far tornare carrozzeria e cristalli lindi. Il business plan è ambizioso ma le idee messe nero su bianco da Guerreschi, ambulante di generi alimentari, sono chiare: «Volevo una card che rendesse indipendente il cliente da vincoli di orario e prezzo e che la gestione fosse davvero semplice – spiega il fondatore di Wash Dog -. Quando ho inaugurato il primo spazio a Gessate nel 2001 ho capito che l’idea poteva andare ben oltre: il format piaceva e in un anno 2.200 persone avevano la nostra tessera in tasca. Ho deciso di brevettare marchio e idea e nel giro di quattro anni sono stati aperti i primi punti vendita in franchising, a Milano, Torino, Genova, Roma».
Oggi la rete di affiliati, che conta 130 negozi, cresce a ritmi di 30 nuovi Wash Dog l’anno: «Potremmo crescere di più, ma la nostra struttura non ci consente di seguire più start up di queste. L’obiettivo di allargarci c’è e finora siamo passati da un ufficio di 40 metri quadri ad uno di 300, sempre a Treviglio – continua Guerreschi -. Anche all’estero c’è interesse per l’attività e per il marchio, specialmente negli Stati Uniti e nel Regno Unito, oltre che nella vicina Francia e in Spagna». Il modello vincente risiede secondo il fondatore in un sistema di affiliazione per molti versi anomalo rispetto a quello di grandi gruppi: «Esistono ovviamente regole precise da rispettare, ma il contratto non prevede penali e garantisce al franchisee molta autonomia – evidenzia -. Non esistono percentuali sul fatturato ma delle royalties mensili contenute per l’utilizzo del marchio e del software che abbiamo studiato per gestire 24 ore al giorno ogni Wash Dog. Garantiamo inoltre un’esclusiva di zona ampia e una serie di servizi, dalla promozione alla gestione del sito internet, oltre ad un supporto costante all’attività. Ogni franchisee si può rivolgere direttamente ai fornitori, spuntando così sconti maggiori».
L’attività, premiata nel 2012 da Unicredit per l’innovazione imprenditoriale, offre diversi plus: «Non serve avere un magazzino né un punto vendita grande: 70 metri quadri sono più che sufficienti per l’attività – sottolinea -. Non serve personale: il gestore può presidiare il punto vendita nelle ore di apertura e poi continuare a lavorare con il sistema di accesso 24 ore. Non esiste rischio di liquidità: il sistema della card garantisce incassi anticipati ancora prima di erogare il servizio». E, naturalmente, è un servizio in linea con i bisogni di oggi. «Tutte le famiglie in questo momento cercano risparmio e fai da te e la spesa di toelettatura del cane è una necessità crescente per chi condivide lo stesso tetto con gli animali di compagnia», fa notare Guerreschi. L’attività inoltre negli anni si è ampliata ed ormai i Wash Dog sono dei veri e propri centri benessere per gli animali domestici: «Al servizio tradizionale si è affiancato il trattamento all’ossigeno attivo che elimina polveri sottili oltre a garantire la salute e il benessere degli animali. Da cinque anni a questa parte è stata introdotta la riabilitazione, dietro prescrizione del veterinario, con tappeti rotanti per i cani che hanno subito infortuni e una sorta di vero e proprio “fitness” per animali. Nei Wash Dog è attivo anche un servizio di lavanderia per rinfrescare coperte ed altri tessuti utilizzati per gli animali, che evita di impiegare la lavatrice di casa, e distributori di mangime per fornirsi di quanto necessario in qualsiasi momento. Non mancano i servizi di dog parking e dog sitter. Abbiamo inoltre in serbo una novità per tutti quegli animali che non sopportano il flusso d’aria diretto in fase di asciugatura: l’aria calda viene diffusa dalle pareti ed i cani più capricciosi escono dai nostri negozi puliti e asciutti».

Scorpion Bay
L’abbigliamento per surfisti alla conquista di nuove frontiere

Nel momento in cui pezzi di storie imprenditoriali orgoglio del Made in Italy passano in mano straniera, c’è chi va controcorrente sfidando l’onda lunga della crisi. Dietro Scorpion Bay, grintoso marchio per surfer a caccia dell’onda “mas fina” come recita il claim, c’è la storia di un laboratorio sartoriale nato ad Albino nel secondo Dopoguerra, diventato presto piccola impresa per poi abbandonare la produzione nel 1992 e diventare realtà commerciale distribuendo per il mercato europeo il marchio con lo scorpione. Dal 2003 l’azienda, la Gipsy Spa, portata avanti dal 1977 dai fratelli Lucio ed Emanuela Mistri, figli dei fondatori Serafino e Caterina, acquisisce il marchio a livello europeo e nel 2007, in occasione dei 20 anni di Scorpion Bay e dei 30 di Gipsy, sigla l’accordo di acquisto a livello mondiale. Gipsy e Scorpion Bay diventano una cosa sola nel 2012, anno in cui l’azienda detentrice del marchio cambia insegna e sceglie di presentarsi al mondo con il nome e il logo che parlano di un luogo mitico come Baja California dove la costa messicana disegna baie magnifiche dalla natura selvaggia e incontaminata.
L’impresa nasce da una forte identità con il marchio: «Ad aprile del 1992, quando ancora producevamo capi per i principali marchi di surf in Italia, sono rimasto impressionato dalla ricerca di prodotto e dalla qualità di felpe e t-shirt Scorpion Bay – racconta Lucio Mistri, presidente dell’omonima Spa -. Mi sono innamorato del prodotto, poi del marchio, della storia e dei valori che porta con sé, di una terra di confine dove si parla “spanglish” e le onde danno emozioni senza eguali. Così, a suon di sacrifici e rate, ho acquisito l’esclusiva europea e di lì a qualche anno ho comprato un pezzo di America». È iniziata una rivoluzione interna, da realtà produttiva a commerciale: «All’inizio degli anni Novanta in Val Seriana si cominciava già a sentire la concorrenza della Turchia. Anche se non era ancora arrivata quella cinese, ho iniziato a non vedere futuro per la produzione e ho scelto, con un po’ di incoscienza, di dare una svolta». I primi cinque anni sono stati dedicati a investimenti e riconversione aziendale: «Abbiamo creato una domanda che non c’era – ricorda – acquistando tutte le quarte di copertina delle riviste di surf e wind-surf, abbiamo vestito la nostra Nazionale e abbiamo promosso il marchio in tutta Europa con importanti risultati in Spagna e Portogallo. Nel 1999 abbiamo aperto il primo punto vendita alle Porte Franche e abbiamo dato l’opportunità di aprire un negozio in franchising a chi ha deciso che fosse il momento giusto per buttarsi in acqua e sfidare l’oceano».
L’esperienza del franchising ha mostrato però più di un limite: «L’opera d’arte non è fare un bel negozio, ma di tirare su la serranda ogni mattina – afferma Mistri -. Non tutti i franchisee hanno solidità e competenze e di contro il nostro marchio soffre della concorrenza con brand molto più pubblicizzati. Oggi solo 4 dei 30 punti vendita sono in mano a franchisee. Negli ultimi quattro anni abbiamo optato per la gestione diretta con ottimi risultati: da gennaio ad oggi abbiamo aperto 4 negozi e 2 outlet park e abbiamo altre inaugurazioni in vista. Prima avevo delle brave commesse, ora ho dei bravi gestori, anche perché il problema di molte attività è che sono poche le ragazze che pensano che quello della commessa sia un “vero” lavoro e non un ripiego in attesa di impieghi migliori». Ora l’obiettivo è di ampliare la rete di negozi, consolidare il marchio in Italia e andare alla conquista di nuove frontiere all’estero.