di Raffaella Trigona
Si è tenuta a Bergamo una giornata di “scuola” di brand naming, insegnante d’eccezione Béatrice Ferrari, esperta indiscussa della materia in Italia. Béatrice è un puzzle di origini, nata in Italia ma vissuta in Francia, dotata – come lei stessa dice – di una personalità eclettica e curiosa. Da anni si occupa di “far esistere le cose” perché “se una cosa non ha nome non esiste…”.
D’altra parte dare un nome a qualcosa è un’azione di grande rilevanza in tutti i contesti culturali umani, per quanto differenti. Per fare qualche esempio, nel ceppo linguistico indoeuropeo “nominare” significa creare una cosa e avere potere su di essa. Nella lingua cinese è accordata un’importanza capitale alla denominazione, che vuole dire assegnare un ordine al mondo.
Ma perché oggi è ancora più importante “dare un nome”? E’ possibile trovare un nome “giusto”? In che modo? Quale ruolo svolge la creatività in questo processo?
Per poter rispondere a queste domande occorre fare una breve riflessione sulla contemporaneità. La nostra età globale è, infatti, caratterizzata da un forte incremento di complessità negli ambienti, nelle organizzazioni, nelle conoscenze stesse. E’ difficile dire se sia diventato più complesso il mondo o se sia diventato più complesso il nostro modo di guardarlo. Di fatto, abbiamo bisogno di un circolo virtuoso in cui il nostro sguardo sul mondo sia all’altezza delle sfide poste ogni giorno anche nel campo professionale.
Le pratiche formative, in questo caso particolare l’attività di “naming”, possono essere uno strumento validissimo per dissolvere modi ormai inadeguati di comunicare un “brand” e per costruire nuove strategie di comunicazione di quel brand. Un’azione mirata può consentire la scoperta e la costruzione di intrecci sempre più profondi tra il prodotto e il contesto nel quale è inserito.
Il percorso proposto da Béatrice Ferrari ha messo in primo piano una nozione dinamica di creatività e di innovazione: la novità del nome non è mai predeterminata in un prodotto ma emerge da un complesso processo circolare (il “naming circle”) in cui si intrecciano l’aspetto linguistico, quello del marketing e quello giuridico.
Questo tipo di approccio evidenzia la stretta relazione che può sussistere tra creatività e innovazione. In una visione tradizionale la creatività è descritta come l’accensione di nuove idee individuali e l’innovazione è rappresentata come l’implementazione pratica di quelle idee in un certo contesto collettivo. In una prospettiva complessa emerge con forza, invece, l’idea che la creatività richieda contesti favorevoli e un definito piano strategico.
Strategia, dunque, è la parola chiave che caratterizza questa proposta del “brand naming”, con cui si intende “ogni decisione o iniziativa relativa alla definizione di un nome commerciale (nome di prodotto, di servizio, di società, insegna, nome a dominio, etc…), cioè il nome di proprietà in grado di capitalizzare un investimento”.
In tale prospettiva il “brand name” vincente deve avere una caratteristica fondamentale: deve essere evocativo. Il nome vincente non denomina soltanto, non descrive semplicemente ma è in grado di evocare un intero mondo, ricco di significati, carico di emozioni e di suggestioni. Il nome non spiega ma indica un “senso”, sintetizza un valore. Basti pensare al Mulino Bianco di Barilla: la famiglia, la tavola, l’incontro, le relazioni, la qualità, la bontà, la quotidianità.
Le quattro mosse
per arrivare al risultato ottimale
Quali sensazioni ci evoca il nome “Häagen-dazs”? Quali immagini schiude? Quale suono ci fa sentire? Quale colore ci corrisponde? Nord Europa, viaggi, bianco, azzurro. Ed ecco che nasce una marca di gelato.
E quando pronunciamo “Kodak”? Cosa ci viene in mente? Velocità, brevità, rapidità, scatto. Ed ecco il click della fotografia.
Proprio in questi casi il nome intrinseco non è né conosciuto né riconosciuto dai consumatori… Ma non importa!
Un gioco di ritmi, una combinazione di lettere, vocali aperte o chiuse, suoni dolci o duri, alterazioni, fusioni. L’impatto fonetico è importantissimo ma non basta. Il nome vincente viene trovato ma non a caso. Occorre un processo consapevole di ricerca approfondita composto da almeno quattro tappe: 1) chiarire il bisogno; 2) elaborare i nomi in creatività, 3) scegliere i nomi più adeguati, 4) controllare la validità dei nomi scelti.
Solo al termine di questo percorso – spiega Béatrice Ferrari – possiamo dire di essere arrivati a un “brand name”. E per fare questo c’è una variabile fondamentale: il tempo. Il fattore temporale è infatti un agente produttore di novità ma dobbiamo poterne avere a disposizione a sufficienza. Deve essere ammessa la possibilità dell’errore, del vicolo cieco, del poter seguire delle molteplici linee di sviluppo, per poter giungere a quella vincente.
Il cammino , dunque, è lungo e tortuoso. Non ci resta che augurare “buon naming” a tutti!
Raffaella Trigona