Cristian, il pizzaiolo che sfida l’allergia

Cristian, il pizzaiolo che sfida l’allergia

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Se l’è persino tatuata sul bicipite la sua passione: una pizza napoletana verace, con tutti i particolari che gli stanno a cuore, il forno rovente, la pala di legno, persino la “puntinatura” del cornicione, indice di buona maturazione della pasta e corretta cottura. In un’era in cui i giovani faticano a trovare la propria strada, Cristian Osio, 25 anni di Brembate, non ha dubbi e sa di voler fare il pizzaiolo. Si è buttato nella mischia e non ha badato ai sacrifici pur di “rubare” il mestiere, ogni giorno però deve fare i conti anche con il proprio organismo che, per via di un’allergia al frumento e agli acari della farina che può insorgere con l’attività, mette a dura prova il suo sogno professionale.
Lui la racconta come una vera avventura, un romanzo di formazione dove il protagonista affronta e supera diverse prove (pure in terra straniera!), ma sa anche che il confronto più serrato è quello con se stesso. «Alla pizza ci sono arrivato per caso – ricorda -. Nel 2010, dopo il diploma di tecnico dei servizi sociali, mi sono trasferito a Londra per imparare l’inglese e girare il mondo. Ho fatto il lavapiatti, ovviamente, poi per una serie di fortunate coincidenze, ma forse anche il fatto che le persone che ho incontrato avevano visto qualcosa in me, sono approdato da Franco Manca, una pizzeria nel quartiere di Brixton aperta da Giuseppe Mascoli dove si utilizza il lievito madre e si fa la vera pizza napoletana. Forno a legna a 480 gradi, pala di legno, per me è stata una folgorazione. Al sabato si sfornavano anche mille pizze, si lavorava sempre in tre: tremavo all’idea di mettermi alla prova e a ricordarlo mi vengono ancora i brividi». Il locale non è un mito solo per Cristian, è stato infatti definito “la pizzeria che ha scatenato una rivoluzione del cibo nel sud di Londra” e “una delle migliori pizze della città”, tanto che la formula è stata presto replicata in altri quartieri. Lui invece è stato trasferito dalla proprietà al Rocca di Papa 2 a Dulwich Village. «È qui che ha cominciato a manifestarsi per la prima volta l’allergia – rivela -, con una dermatite. Avevo comunque deciso di rientrare in Italia perché era il posto migliore per apprendere i segreti della pizza napoletana e così avrei anche potuto curarmi meglio».
A Bergamo sceglie di lavorare con dei maestri campani e ricomincia da capo: «La differenza – nota Osio – era che a Londra facevo, mentre qui “gavettavo”. Con la scusa che dovevo imparare non mi sono mai potuto avvicinare al forno ed è inutile fare una pizza perfetta se poi la bruci! Lavoravo anche gratis per capire qualcosa in più e mi alzavo alle sei la domenica per vedere come si prepara l’impasto». L’occasione di gestire da solo tutto il processo arriva con la stagione estiva al campeggio di Valbondione, nel frattempo il nostro non si fa mancare l’esperienza in altri locali, compreso uno a Barcellona da cui torna con il solo “bottino” di un’impastatrice professionale, e nemmeno la formazione specifica, con il corso dell’Accademia del Gusto Ascom.
«La crisi vera l’ho avuta tornato a Londra – la voce si inceppa -. Sono stato assunto subito da Franco Manca e per me era una bella conferma, ma preparare così tante pizze significava vivere in mezzo alla farina e l’allergia è esplosa. Avevo macchie sulla pelle, il naso chiuso e gli occhi che mi lacrimavano e così mi hanno detto che non potevo più lavorare lì. Non volevo mollare, ho fatto una prova il giorno stesso dai Fratelli La Bufala, a Piccadilly, ed è andata bene, ma anche in quel caso la mia allergia non era compatibile con le politiche dell’azienda». Di fronte all’evidenza ci prova a cambiare settore, passa in cucina, nel locale flagship di Jamie Oliver a Piccadilly e anche tornato a Bergamo. «Ho resisto tre mesi – confessa Cristian -, non faceva per me. Per lavorare ci vuole passione ed io, se penso a ciò che mi piace fare, non posso che vedermi come pizzaiolo. Per me fare la pizza è una magia: toccare la pasta, capirla, è un prodotto vivo, che cambia ogni giorno e il risultato non è mai scontato».
Ma la sua pizza perfetta è anche quella che riesce a tenere insieme salute e aspirazioni professionali. Ora ha iniziato una terapia con un vaccino – da assumere tutti giorni per cinque anni – e da due mesi si occupa della pizzeria di Joe Koala, nuova gestione del centro sportivo di Osio Sopra, con tre giovani (di 26, 27 e 31 anni) alla guida. «Sto abbastanza bene – dice -, il respiro non è proprio libero ma ora è l’unico disagio. I numeri e l’impostazione del locale mi permettono di gestire il lavoro senza esagerare con l’esposizione alla farina. So che la difficoltà sarà sempre quella di trovare la giusta dimensione. Per molti datori di lavoro un bravo pizzaiolo è quello che sforna a ritmi serrati, per me lavorare in stile catena di montaggio significa rinunciare alla passione e stare male». Naturalmente ha anche la sua idea di pizza, che non è disposto a tradire in nome dei gusti e delle abitudini imperanti («ed è un’altra cosa che mi penalizza»). Non parlategli di sfoglie sottilissime, bordi croccanti e di liste infinite di varianti che il cliente, accidenti a lui, chiede quasi sempre di personalizzare ulteriormente. «La pizza che voglio fare è quelle della tradizione napoletana – evidenzia -, morbida e consistente anche perché doveva riempire stomaci affamati. E mi piace farla il più semplice possibile, che si senta il pane. Nell’impasto non metto olio, il colore lo dà il forno, e per farcirla non c’è niente di meglio che pomodoro San Marzano, fiordilatte e basilico, utile anche per tenere d’occhio la cottura, o mozzarella di bufala o qualche altro classico». La sua ricerca è continua, tra le attenzioni alla maturazione lenta della pasta, la sfida a padroneggiare le potenzialità del forno a legna e la fissa in sottofondo per il lievito madre. «Non mi sento mai arrivato. Qualcuno mi ha detto che l’allergia è legata a questa mia insicurezza e anche io sono convinto che con la passione riuscirò a superare il problema di salute. Resta il fatto che è un gran paradosso: sono allergico al mio amore!», conclude con una delle frasi ad effetto con cui –  come un buon personaggio letterario – ama punteggiare i suoi discorsi.