Ci si è creati un falso problema. Innalzare il tetto all’uso del contante va nella direzione dell’abbandono della lotta all’evasione oppure in quella di uno stimolo ai consumi? Forse verso entrambi, ma questo non deve dare scandalo, perché un po’ di “nero” è fisiologico e può essere da stimolo anche ad un’economia sana. Il problema insorge semmai quando un’economia si basa sul “nero” come fattore concorrenziale, ma su questo l’innalzamento del limite al contante da mille a tremila euro non incide più di tanto. La lotta al contante che sta dietro lo sviluppo della tracciabilità si fa forza del fatto che nei Paesi basati su economie sommerse è maggiore l’utilizzo di soldi liquidi, che, come si dice, non hanno odore. Ma se anche ci fosse la tracciabilità totale, con memoria anche dell’acquisto più insignificante, e quindi con la scomparsa totale del contante, al di là dei problemi tecnici dell’operazione, il “nero” troverebbe comunque il modo per ritornare. Ad esempio, con una valuta straniera, i bitcoin o qualche altra forma di economia parallela.
Se la tracciabilità parziale degli acquisti ha comunque effetti parziali nella lotta all’evasione, almeno fino a quando sono numerosi gli acquisti esclusi dal controllo, di certo ha un effetto deprimente negli acquisti sia da parte di chi ha contanti a vario titolo “irregolari”, sia da parte di chi per diffidenza preferisce tenersi sotto il materasso soldi regolari come provenienza e nel rapporto con il fisco, sia da parte di chi è infastidito dal sentirsi sotto controllo “perché non si sa mai”.
In ogni caso, come i negozianti possono testimoniare, da quando c’è il redditometro, che si abbina alla tracciabilità degli acquisti, c’è stato un calo in particolare negli acquisti “impegnativi”. E se si tiene per buono il report sulla fedeltà fiscale che calcola il “nero” in Europa come il 15% sul Pil – e in Italia al 17%, come media tra il 13% del Nord (la Germania è al 12%), il 16% del Centro e il 27% del Sud -, si può pensare che la flessione negli acquisti, con la riemersione anche ai fini tributari, attraverso l’Iva, del denaro circolato in “nero”, faccia sì che il gioco non valga la candela.
La sindrome da Grande fratello per la quale in Italia l’uso della carta di credito (anche perché poco stimolata dal fatto che è un costo più che un vantaggio) è poco utilizzata va oltre la diffusione del “nero”. Complici le frodi e i furti d’identità, in Italia c’è più diffidenza per una carta di credito che per una banconota in contante (che una volta, quando c’era la lira aveva anche scritto esplicitamente “pagabile a vista al portatore”) mentre negli Stati Uniti avviene il contrario e chi paga cash, anche un pacchetto di chewing gum, è visto come un probabile riciclatore.
Da questo punto di vista, alzare il tetto della tracciabilità a un livello che non viene considerato opprimente, quello dove in ogni caso non si utilizzano i contanti, ma gli assegni, elimina un disincentivo agli acquisti da parte di chi ha l’idiosincrasia del controllo. Può sembrare irrazionale la scelta di rinunciare ad un acquisto solo per non farsi notare, anche se non c’è niente di irregolare, ma è solo uno dei tanti aspetti poco razionali nei comportamenti dei consumatori. E la politica fa bene a tenerne conto.