Che coincidenze, la vita. Zaira Cagnoni, al culmine di un percorso lungo quasi novant’anni, ci lascia nelle settimane in cui infuria la polemica sull’accoglienza ai migranti che a migliaia sbarcano sulle coste italiane. Chissà cosa avrebbe detto, lei che si ritrovò nei primi anni Novanta ad affrontare la prima emergenza extracomunitari attrezzando l’ex caserma Galgario ed altre strutture reperite ad hoc, della sbracata e talvolta volgare propaganda di tanti amministratori locali che anziché assumersi le proprie responsabilità (compresa quella di assecondare il rispetto delle convenzioni internazionali che impegnano lo Stato) preferiscono soffiare su pur comprensibili paure emotive nella speranza di lucrare qualche consenso.
Lei che era cresciuta a latte e Democrazia cristiana, imbevuta fino al midollo di fede cattolica, non si era posta alcun problema e, semplicemente, si era data da fare per trovare una soluzione. Donna del fare, impegnata fin dalla gioventù sui fronti del sociale e dell’assistenza, traduceva la politica in opere concrete. Non aveva una famiglia sua, ma tante famiglie. La più importante, quella che l’ha vista in trincea per quarant’anni come direttrice, è stata la Casa della lavoratrice di via Autostrada. Quante donne in cerca di un letto o di una sistemazione dimessa ma dignitosa hanno trovato in lei una risposta pronta ed accogliente. E che dire dei quindici anni passati nella trincea dell’assessorato ai Servizi sociali del Comune di Bergamo? Se ancora oggi è vanto e fiore all’occhiello della città lo si deve in buona parte a questa signora dalla messa in piega maestosa, il rossetto vistoso, il piglio autoritario.
A prima vista, dava l’idea di quelle vecchie (non s’offenda, Zaira, si fa per dire) zie che incutono timore e soggezione ma che sanno sempre dare una risposta, un consiglio, una parola buona. In realtà, era fatta d’una pasta d’altri tempi. Quella di chi concepiva la politica come servizio, anzitutto per gli altri. Quella di chi raccoglieva il consenso non con la propaganda ma con la presenza nei luoghi della fatica e della sofferenza. Non che non ci tenesse ad avere un ruolo di visibilità. Le si farebbe un torto se la si dipingesse come una mammoletta. No, Zaira Cagnoni amava “comandare”, come ben sa chi ha avuto la ventura di interagire con lei, e rivestire un ruolo era la conditio sine qua non per esercitare il potere di guida. Se c’era da tirar fuori gli artigli, non si risparmiava, sempre con modi vellutati, naturalmente, secondo gli usi della Real casa democristiana.
Ha assistito alla fine della Dc, cui ha dato tanto ricevendo in cambio moltissimo, con composta rassegnazione. Ricordiamo l’amarezza di quei giorni, il dolore nel vedere travolto dagli scandali tanto impegno profuso per i più deboli. Per parte sua, dando sostegno all’allora sindaco Gian Pietro Galizzi, si spese fino in fondo per tenere in piedi l’ultima Giunta della Prima repubblica (un pentapartito). Anche allora, tra inchieste che lambivano (ma non colpivano) gli amministratori e emergenze varie, prevalse in lei il senso del dovere, la necessità di garantire a Bergamo un governo stabile in una situazione politica in preda all’impazzimento.
Oggi simili ragionamenti suscitano scandalo, ad ogni stormir di fronda si invocano elezioni e referendum come se non fosse dovere di chi è stato eletto assumersi la responsabilità di governare. Certo anche Zaira Cagnoni ha commesso i suoi errori, di sicuro ha condiviso scelte discutibili o sbagliate. Ma dopo una vita di incarichi e impegni pubblici si è congedata in silenzio e nella semplicità che sono stati i tratti distintivi della sua vita. Di sicuro in tanti decenni di politica non è mai stata sfiorata da scandali ne’ si è mai arricchita. Basta ad indicarla ad esempio di fronte agli spregiudicati arruffapopoli di cui abbiamo pieni gli occhi e le orecchie?