La fotografia scattata da Confcommercio sulle trasformazioni del commercio degli ultimi dieci anni (2008-2018) nei maggiori centri urbani italiani ha mostrato la tenuta complessiva del terziario nella nostra città, con l’exploit di bar, ristoranti e strutture ricettive e il calo del commercio tradizionale. Il problema del commercio di Bergamo non riguarda i numeri, semmai la qualità e le prospettive.
Bergamo risulta in posizione di vantaggio rispetto agli altri comuni analizzati in due aspetti: l’exploit del food è stato molto forte (+16,8% in dieci anni), in linea rispetto alla media nazionale fuori dal centro storico e addirittura doppio nel centro storico (+ 36,2%) e, allo stesso tempo, la riduzione dei negozi è stata nettamente inferiore alla media (-3,0% fuori dal centro storico e –13,9% nel centro dove però le attività commerciali hanno lasciato spazio a ristoranti). Questo anche perchè la nostra città ha già pagato dazio alla pressione della grande distribuzione molto prima, nell’ultimo decennio del vecchio secolo, con l’insediamento dei tre grandi poli commerciali extraurbani di Curno, Seriate e Orio al Serio.
L’aspetto critico è la contrazione delle dimensioni medie degli esercizi di vicinato a cui si accompagna una loro minore capacità di azione e di reazione rispetto alla concorrenza. Una piccola impresa per poter sopravvivere a lungo termine deve isolare le risorse finanziarie per investire. La crisi dei consumi che persegue sta fiaccando la resistenza delle nostre imprese. Il forte turnover di aperture e chiusure è un segnale sinistro dello stato del comparto.
La prospettiva non è solo sulla resistenza, ma sulla qualità della proposta. Il nostro è un territorio dove l’offerta in termini di prodotto e servizio è sempre stata al top nazionale, in linea con l’eccellenza che contraddistingue la nostra regione.
La qualità nel commercio non alimentare è fondamentale perché consente di competere con il commercio on line, che per sua natura è perfetto nell’immagine e nel servizio. Nel comparto alimentare la qualità è ancora più importante perché se viene meno si rischia di far arretrare il senso del buono nel cliente, spingendolo verso proposte standardizzate e omologate e quindi verso i concorrenti stessi del commercio tradizionale.
Cosa serve, quindi? Sul piano delle regole serve una rivisitazione del decreto Bersani, che dopo più di vent’anni appare anacronistico e comunque indebolito dal recepimento maldestro delle direttive europee. Quello che sta avvenendo con la liberalizzazione delle medie strutture di vendite dimostra in modo evidente che il decreto è incapace di salvaguardare lo stesso concetto che l’aveva ispirato, ossia l’equilibrio tra piccoli e grandi.
Inoltre, come ha chiesto il presidente Confcommercio Carlo Sangalli, occorre un reale e concreto riconoscimento del servizio e del sistema di relazioni che i negozi assicurano, fatto di incentivi e di sgravi veri, non a chi ‘parte’, ma a chi sul mercato è rimasto finora con grande fatica e passione. Prima che sia troppo tardi.