Come cambia il commercio nelle città. L’indagine sulla “Demografia d’impresa” di Confcommercio

Come cambia il commercio nelle città. L’indagine sulla “Demografia d’impresa” di Confcommercio

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Negli ultimi otto anni a Bergamo in crescita alberghi, bar e ristoranti. Il presidente Zambonelli: “Il futuro è incerto e prevedere quante imprese chiuderanno è impossibile”

Come cambia il tessuto commerciale nei centri storici e nelle città? È la domanda a cui prova a dare una risposta Confcommercio con “Demografia d’impresa nelle città italiane” (sesta edizione), analisi aggiornata sull’evoluzione commerciale nei centri storici rispetto al resto del tessuto urbano tra il 2012 e il 2020. In particolare, oggetto dell’osservazione sono 120 città medio-grandi, cioè tutti i capoluoghi di provincia come Bergamo (ed ex capoluoghi), più 10 comuni di media dimensione. La disaggregazione riguarda 13 aree di attività economica: 9 del commercio fisso al dettaglio, cui si aggiungono il commercio ambulante, l’area dell’alloggio e quella della ristorazione, cioè bar e ristoranti; per completezza c’è anche la voce «altro commercio» che riguarda sostanzialmente le società che vendono online e porta a porta, i distributori automatici e le vendite per corrispondenza.

Dai dati dell’Ufficio Studi sulla demografia d’impresa delle 120 città oggetto dello studio emerge che dal 2012 ad oggi hanno chiuso 77mila attività e nel 2021 si prevede la chiusura di 1 impresa su 4 in ristorazione e alloggio. La riduzione del commercio tradizionale è collegata alla curva in discesa dei consumi (da 1.085 mld del 2012 si è scesi a 969 del 2020 siglando un -10,7%) e nella curva in aumento del commercio elettronico che nel 2020 ha fatto registrare un aumento del 30,7%, passando a livello nazionale da 17,9 miliardi a 23,4 miliardi. Male, invece, i servizi online che hanno registrato una perdita del 46,9%, passando da 13,5 ml a 7,2 ml.
Tra le merceologie più in difficoltà nel periodo compreso tra il 2012 e il 2020 ci sono le librerie e i giocattoli (-25,3%), mobili e ferramenta (-27,1%) e vestiario e calzature (-17%). A crescere sono solo poche merceologie tra cui le farmacie +19,7%.

I dati di Bergamo: in crescita alberghi, bar e ristoranti ma il futuro è incerto

A Bergamo gli esercizi hanno tenuto sia nel centro storico, con un lieve calo pari a -0,2% negli ultimi due anni (2020-2018), sia fuori dal centro storico (-3,1%). Osservando gli ultimi otto anni la diminuzione è stata contenuta (-8,7% nel centro storico e -8,0% fuori dal centro storico) contro la media di -14% nei 120 comuni italiani analizzati.
Tra il 2012 e il 2020 è stata forte la crescita delle imprese ricettive: +178,6% nel centro storico e +114% fuori. Bene anche se più moderata la crescita di bar e ristoranti (+5,6% in centro e + 14% fuori). La nota dolente riguarda gli ultimi due anni: nel centro storico hanno infatti perso sia le imprese ricettive (-7;0%) sia bar e ristoranti (-3,6%) mentre fuori dal centro storico sono cresciute le imprese ricettive (+22,3%) e sono stabili i bar e ristoranti (+0,7%). In questo scenario il fattore immobiliare ha fatto la sua parte: gli appartamenti del centro destinati alle imprese extra-alberghiere sono cresciuti a dismisura, mentre per i bar e ristoranti manca il punto vendita.
In conclusione, tra il 2012 e il 2020, la crescita di alberghi, bar e ristoranti a Bergamo è stata del 20,4% in centro storico e del 21,5% fuori dal centro ed è di quasi tre volte superiore alla media dei 120 comuni di media dimensione dove nello stesso periodo è stata dell’8,8%.

“Questa indagine ci conferma che già prima della pandemia il tessuto commerciale delle città stava cambiando, sia nel centro storico sia in periferia. L’emergenza Covid ha poi aggravato la situazione colpendo duro soprattutto il centro di Bergamo e Città Alta, così come i centri storici delle città metropolitane e multicentriche come Milano, Roma e Napoli – osserva Giovanni Zambonelli, presidente di Ascom Bergamo -. Sebbene le percentuali vedono vicine le tendenze del centro di Bergamo e Città Alta ben diversa è la dinamica di resistenza che vede tenere le imprese più strutturate situate nei centri storici, con la tenuta dell’ecosistema di prossimità della periferia (panettiere, alimentare, macellaio, fruttivendolo, tabaccaio e giornalaio). Ad ogni modo, in questo momento il numero preponderante delle imprese è ben al di sotto della linea di galleggiamento. Prevedere quante di queste chiuderanno è oggi impossibile. Non sappiamo ancora quando e come ripartirà il turismo e come la gente si riapproprierà degli spazi dei centri storici e come una modalità di consumo affermatasi nella pandemia potrà lasciare spazio alle modalità tradizionali”.

E proprio sugli scenari che riguardano il binomio consumi-terziario Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo, non ha dubbi: “Quello che stiamo registrando è un fenomeno unico che tocca anche il nostro territorio: è quello che la ricerca definisce come possibile “ibernazione” del terziario. Molti stanno tenendo aperto il proprio negozio perché non hanno un reale sbocco alternativo e perché restano in attesa di ristori. Poi chiuderanno e questo avverrà in corso d’anno. Assisteremo, però, alla differenza tra cancellazione e mortalità di impresa. La cancellazione è l’atto formale che nei prossimi mesi potrebbe aumentare ma che non corrisponde alla cessazione di attività perché non appena le condizioni di ripartenza si riproporranno le stesse imprese ripartiranno. Il fenomeno è già chiaramente visibile nelle imprese ricettive extralberghiere che stanno restituendo gli appartamenti ai proprietari ma presto potrebbe toccare anche altri comparti del commercio”.

Le proposte di Confcommercio

Alla luce dei risultati dell’indagine Confcommercio ribadisce che sono necessari modelli di governance urbana che, con il contributo di chi nella città vive e lavora, guardino al medio-lungo termine e siano realmente capaci di dare risposte concrete all’economia reale e alla vita quotidiana dei cittadini e degli imprenditori italiani. In tale mutato contesto, le politiche urbane e territoriali hanno una grande responsabilità nel definire le nuove urbanità e andrà ricercata una nuova capacità di pianificazione, adattiva e meno burocratica, per dare risposte alle nuove esigenze contingenti e arginare la perdita di funzioni nelle città, garantendo la presenza di negozi, servizi, verde e spazi pubblici nei quartieri periferici e favorendo la residenzialità nei centri storici.

Si ritiene utile anche un aggiornamento post-Covid dell’Agenda urbana per rafforzare la resilienza delle città e delle loro economie: a tal proposito, Confcommercio è impegnata affinché parte dell’ingente quantità di risorse mobilitate dall’Unione europea per affrontare la crisi sanitaria, attraverso l’iniziativa Next Generation EU 2021-2024 e il rafforzamento della Politica di Coesione 2021-2027, siano destinate a sostenere progettualità condivise di sviluppo urbano ed economico, definite dagli attori economici e sociali locali con le rispettive Amministrazioni di riferimento.

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