InGruppo torna solidale con lo Show-cooking in fiera

ingruppoPer rendere omaggio alla grande mostra di Palma il Vecchio e cogliere tutte le opportunità legate all’Expo, InGruppo torna a promuovere i propri menù a un prezzo speciale. Lo farà dal prossimo 10 marzo fino al 31 ottobre. La formula è immutata, a parte il prezzo che ha subito un leggero rialzo. Sarà pertanto possibile consumare menù completi (antipasto, primo, secondo e dolce) comprensivi di vino, bevande e caffè, al prezzo prestabilito che quest’anno passa da 99 a 110 euro a coppia. Cifra che sale a 220 euro, sempre per due persone, sia Da Vittorio (3 stelle Michelin) sia dal bistellato “Devero” di Cavenago, nuovo “acquisto” di InGruppo.

La promozione è valida a pranzo e cena e in tutti i giorni di apertura dei locali, esclusi San Valentino, Pasqua e lunedì Dell’Angelo. Si può prenotare via telefono o e-mail, ma specificando che si intende prenotare il menù “InGruppo”. Le proposte dei ristoranti verranno aggiornate periodicamente sul sito www.ingruppo.bg.it.

Il via alla nuova stagione sarà concomitante col grande evento solidale che InGruppo ha programmato per il 10 marzo alla Fiera di Bergamo. Nell’enorme corridoio centrale, i 16 ristoratori aderenti al sodalizio allestiranno altrettante postazioni per dar vita ad un suggestivo show-cooking. Ogni chef proporrà un piatto che sarà abbinato ai vini dei produttori bergamaschi del gruppo “Sette terre”.

Un format già sperimentato con successo nel dicembre 2013, quando la fiera fu raggiunta da oltre 500 persone. Ma quest’anno gli organizzatori sperano di poter superare quel traguardo per dare maggiore forza alla raccolta fondi da destinare al progetto promosso dal Rotary Club Bergamo per la realizzazione della “Casa del Bambino” all’interno della “Nuova Casa del Sole” che l’Associazione Paolo Belli sta costruendo nei pressi dell’ospedale di Bergamo. Sempre nell’ambito della serata, InGruppo lancerà una lotteria a sostegno del “Premio Francesco Arrigoni”, assegnato annualmente a una figura meritevole nel campo enogastronomico.

Il costo per l’ingresso all’evento fieristico è di 55 euro a persona.

Questi i ristoranti di InGruppo e i patti che proporranno:

A’ Anteprima (Maccheroncini alla carbonara, verza e tartufo nero), Al Vigneto (Cannolo siciliano 2015), Antica Osteria dei Camelì (Ravioli di polenta e cotechino, spinaci e grana), Colleoni & Dell’Angelo (Insalata di rombo ai semi di senape e limone candito), Collina (Lachburger), Da Vittorio (Spinato di Gandino con baccalà mantecato, meringa al lime e ajo bianco), Devero Ristorante (Patata soffice uovo e uova), Frosio (crocchette di lingue di merluzzo), Il Saraceno (Ricci-ola), La Caprese (Catalana di pesce azzurro), Lio Pellegrini (Lasagne), LoRo (Manzo nel giardino), Osteria della Brughiera (Sacher-torte 2015), Posta (Spuma di zabaione al Marsala, briciole di torta sbrisolona e gelato al marzapane), Roof Garden Restaurant (Bavarese al cioccolato bianco ivoire e cocco, cuore di lamponi, cialda croccante all’arancia), Villa Patrizia Ristorante (Calamaretti su spuma verde e pane nero tostato).

Per prenotazioni www.ingruppo_casadelbambino.it


Settimana della birra artigianale, in Bergamasca quattro indirizzi

settimana birra artigianaleLa Settimana della Birra Artigianale è un evento che vuole promuovere la birra di qualità su tutto il territorio nazionale. La manifestazione si svolge da lunedì 2 a domenica 8 marzo coinvolgendo centinaia di professionisti operanti nel settore, come pub, birrerie, beershop, birrifici, ristoranti e associazioni. Sono quasi 450 i partecipanti su tutto il territorio nazionale, uniti dall’obiettivo comune di offrire tante occasioni per far conoscere meglio il mondo delle birre di qualità.

Durante la Settimana della Birra Artigianale è perciò possibile partecipare a serate di degustazione, presentazioni di nuove birre, concorsi di homebrewing, visite agli impianti di produzione, menù speciali, incontri con i produttori e altro ancora.

Attualmente sono quattro le insegne bergamasche che hanno aderito: i beershop La botte piccola di Cisano Bergamasco, Artigianbeer di Ponte Nossa e Passione Birra di Ranica e la birreria Pozzo Bianco a Bergamo alta.

Sul sito www.settimanadellabirra.it è possibile consultare l’elenco degli aderenti e le iniziative proposte, suddivise per regione.


I ristoratori: «Camerieri improvvisati e poco motivati»

Trovare camerieri giovani e adeguati è diventata un’impresa, se non titanica, di quelle che mettono in seria difficoltà. L’allarme è stato lanciato nei giorni scorsi dallo chef Filippo La Mantia. La mancanza di camerieri giovani e motivati avrebbe addirittura rallentato l’apertura del suo nuovo ristorante a Milano, nei locali di quello che un tempo era il Gold. Il problema non è tanto trovare persone che fanno questo lavoro, ma giovani motivati: “I ragazzi che si presentano – denuncia lo chef romano – sono pochi e svogliati”. La notizia lascia l’amaro in bocca, non solo per il problema   lavoro che investe i giovani,   ormai da allarme sociale, ma anche per il fatto – non marginale – che il mestiere è di norma ben retribuito. Si potrebbe pensare che lo chef stellato sia troppo esigente. Non è così. Alla voce di La Mantia si è unita, quasi all’unisono, quella di Parini Durini, panificio di lusso di Milano.  E anche a Bergamo il problema è sentito. I ristoratori lamentano tutti la difficoltà a trovare giovani desiderosi di lavorare in sala. Colpa forse anche della televisione, che proietta sempre programmi sui cuochi e così il cameriere finisce per sentirsi di una classe inferiore. Sottolinea Daniela Nezosi dell’Accademia del Gusto, che “ogni qualvolta affrontiamo con i ristoratori il tema della sala ci diciamo che un buon servizio può salvare un cattivo piatto, ma un buon piatto non riesce a far dimenticare una cattiva accoglienza”. “Se in un locale – aggiunge Nezosi – non viene gestita l’attenzione al cliente in quel locale non ci si torna più, anche se si è mangiato bene, o persino molto bene. Ė bene allora che anche i camerieri, così come è avvenuto per i cuochi, riscoprano l’orgoglio della loro professione”.


“Bergamo Mille Ricette”, ecco i dieci vincitori

“Bergamo Mille Ricette”, il concorso che la Camera di commercio ha lanciato tra gli appassionati di cucina per valorizzare i prodotti tipici, ha emesso i suoi verdetti. Dopo le votazioni on line che hanno decretato le dieci proposte finaliste tra le 18 pervenute, la giuria (composta da Silvia Tropea, Petronilla Frosio, Umberto Dolci e Andrea Locati) ha stilato la propria classifica, assegnando premi consistenti in menù e prodotti bergamaschi. Come richiesto dal regolamento, le ricette si sono rifatte alla tipicità degli ingredienti, ma non sono mancate quelle che hanno interpretato la tradizione con originalità, anche con spunti moderni.

Ecco, nell’ordine, i vincitori: Alessia Bertocchi – “Involtini alla bergamasca”; Elia Agliardi – “Faccio fagotto ma resto”; Elisa Molteni – “Minestra di latte e riso con pancetta della Bergamasca croccante”; Francesco Pellegrini – “Galletto ripieno su uva e taccole in agrodolce con creste alla salsa di lamponi e lardo croccante”; Bernardo Savoldelli – “Biscotto spino dorato”; Valeria Vigani – “Polenta bergamasca con farina di granoturco integrale e coniglio”; Rosella Pulcini – “Risotto Rosa”; Mariangela Tomasi – “I ravioli della nonna Nina di Fontanella”; Valeria Zanchi – “Nosecc”; Debora Giorgi – “Scarpinocc de Par, la tradizione senza glutine”.


La pizza d’asporto vuole fare il salto di qualità. Casillo: «Ma ai pizzaioli manca l’umiltà»

È una delle preparazioni più conosciute e celebrate e, secondo alcuni dati relativi al 2013 elaborati da Accademia Pizzaioli e Ristorazione Italiana Magazine, coinvolge circa 63.000 esercizi commerciali, di cui circa 42.000 ristoranti-pizzerie e 21.000 pizzerie d’asporto.

Per molti questo alimento è diventato semplicemente un ripiego, ma sono in crescita i consumatori che stanno ponendo sempre più attenzione a ciò con cui si nutrono, grazie anche alla maggiore disponibilità e reperibilità di informazioni. Le persone sono quindi più esigenti e più selettive. E non è da sottovalutare nemmeno il fenomeno, sempre più frequente, dell’“home made”, di chi decide cioè di prepararsi la pizza in casa, creando un’occasione divertente e diversa attraverso cui possono toccare con mano ciò che poi andranno a mangiare, ma non solo: sapranno con certezza quali materie prime sono state impiegate per la preparazione.

Il consumatore, quindi, si sta trasformando e i pizzaioli? Anche! Soprattutto nel mondo delle pizzerie d’asporto. Ne è un esempio Tiziano Casillo, che ora si trova a girare per il mondo per insegnare l’arte della pizza. «Ho iniziato a fare la pizza all’età di 12 anni a Chiuduno, il mio paese d’origine – racconta –, ho proseguito poi gli studi diplomandomi alla scuola alberghiera di Iseo e sono andato a lavorare come pizzaiolo in un ristorante pizzeria di Seriate. Infine ho aperto la mia pizzeria, ad Albegno di Treviolo». La curiosità, la continua formazione e l’interesse a fare sempre meglio hanno portato Casillo a collaborare con una grande azienda, per cui ora lavora come formatore. «Mi occupavo delle dimostrazioni – ricorda Tiziano –, poi l’azienda ha approfondito la collaborazione e mi ha formato tecnicamente. Attraverso l’attività di questa azienda, circa 10 anni fa, abbiamo iniziato a portare nelle pizzerie il lievito naturale e farine diverse da quelle utilizzate da sempre: stiamo cercando di far lavorare i pizzaioli con farine di qualità, certificate di origine italiana e prodotte all’interno di diversi progetti specifici che coinvolgono anche alcune università. Farine che garantiscono una maggiore qualità nel risultato, a patto che siano lavorate con conoscenza e organizzazione». Quindi la formazione prima di tutto, ma anche una migliore organizzazione delle attività e una maggiore conoscenza e capacità di scelta delle materie prime, anche se «purtroppo c’è ancora troppa poca umiltà – afferma ancora Casillo – da parte dei pizzaioli, che non permette loro di mettersi in gioco e migliorarsi. Investire sulla conoscenza e sull’utilizzo di materie prime migliori porterà migliori risultati, anche in termini economici».

Ecco che quindi concetti come scelta delle materie prime, utilizzo di ingredienti freschi e di stagione, diversificazione delle tipologie di pizza, ma anche degli impasti stessi, sono parole d’ordine che stanno arrivando pian piano anche nel mondo della pizza d’asporto, quella che nell’idea comune è consumata velocemente nel cartone, magari davanti alla televisione, senza attenzione alcuna a cosa si stia ingerendo e al lavoro del pizzaiolo. Quale è il sogno nel cassetto di Tiziano Casillo, pizzaiolo e formatore, riguardo la pizza? «Aprire una pizzeria in cui la pizza sia trattata al pari di un piatto da ristorante gourmet», forse questa preparazione così celebrata se lo merita, no?


Veronelli, mostra-tributo alla Triennale di Milano

A dieci anni dalla morte, una mostra-tributo ripercorre l’opera e il pensiero di Luigi Veronelli, uno dei più grandi protagonisti dell’enogastronomia italiana che ha scelto Bergamo come sua casa. “Luigi Veronelli – camminare la terra” è il titolo dell’evento, prodotto dal Comitato Decennale Luigi Veronelli e dalla Triennale di Milano e in programma dal 21 gennaio al 22 febbraio negli spazi stessi della Triennale. È camminando la terra che Veronelli ha incontrato le donne e gli uomini, amato i loro prodotti e scoperto gli strumenti utili per il lavoro e per il consumo ed è lungo questa azione – insieme manifesto, invito e profezia – che si muove la mostra. “Luigi Veronelli – camminare la terra” indaga il metodo di lavoro, la formazione eclettica e le tracce che indicano il percorso verso un futuro auspicabile e necessario, rimettendo al centro di tutto la terra e la cultura materiale. Il lavoro in corso da parte del Comitato sull’immenso archivio, messo a disposizione dalla famiglia e finora mai indagato in modo sistematico, vuole tracciare un profilo più preciso della poliedricità di Veronelli e, al contempo, fa riemergere altre grandi personalità, come ad esempio Luigi Carnacina, che con Veronelli intrattenne una fitta corrispondenza epistolare, Gianni Brera, Silvio Coppola, il suo designer e molti altri ancora.
Il cuore della mostra è simbolicamente rappresentato da una trasposizione della sua grande cantina. Accanto a questa, il racconto di grandi storie emblematiche, già in parte anticipate dalle personalità che hanno animato la serata del 2 febbraio nel Teatro Sociale di Bergamo.
Ma non si tratterà di un percorso enocentrico, piuttosto il vino sarà il punto di avvio per mettere a fuoco la complessa personalità di “Gino”, Veronelli: dal suo rapporto con la cultura del cibo e i prodotti della terra (olio extra vergine in primis) alla sua attenzione per gli strumenti della tavola (nell’archivio, sono stati rinvenuti preziosi disegni inediti).
Si studieranno infine i lasciti in molti ambiti, sulle sue intuizioni “glocal”, sulla forza poetica del suo pensiero che spinge a operare con grande concretezza, sulla sua sensibilità al sociale che per lui non è mai stata una dichiarazione d’intenti, piuttosto una pratica, attraverso cui dare dignità alla terra attraverso i prodotti di eccellente qualità.
L’ingresso è libero. Tra le iniziative collaterali sono previsti degustazioni e incontri. La mostra sarà di prologo a Expo Milano 2015 e al suo tema Nutrire il pianeta, che sarà celebrato dalla Triennale con la mostra semestrale di Germano Celant Art&Food.


Quando Bergamo era terra di ulivi. Anche Petrarca se ne fece inviare uno

Immagine mostra: Roma in tavola nel MedioevoRiferiscono i biografi di Francesco Petrarca che nell’aprile del 1357 il poeta, indossate le inusuali vesti del giardiniere, trapiantò nel verziere della Basilica di Sant’Ambrogio un ulivo che si era fatto inviare dalla finitima Bergamo. Poco sorprende che l’audace tentativo di acclimatazione dell’arboscello alle brume milanesi non fosse coronato da fausto esito. L’umanista ritentò l’esperimento un paio d’anni più tardi, nel glaciale marzo del ’59, ma anche stavolta la pianticella rinsecchì nel volgere di qualche settimana. “Sono fermamente convinto che codesta terra sia ostile a quest’albero”  – concluse scorato il dafneo cantore, irriso dal rigoglioso verdeggiare dell’oleacea sui colli appena al di là dell’Adda.

La Milano dei cimenti botanici petrarcheschi non doveva differire molto da quella magnificata una dozzina di lustri prima nel De magnalibus Mediolani di Bonvesin de la Riva. Ad onor del vero il panegirico del Magister di Porta Ticinese andrebbe sfrondato da qualche iperbole di troppo, frutto della già all’epoca proverbiale inclinazione meneghina alla spacconeria. La megalopoli da duecentomila abitanti di cui scrive Bonvesin in realtà albergava, a prestar fede all’autorevole storico Jacques Le Goff, non più di ottantamila anime. Ed il cronista medievale l’aveva probabilmente sparata grossa anche nel computo di macellerie e forni del pane – enumerati in oltre quattrocento per ambo le categorie – se è vero che oggi ne bastano meno di un terzo per sfamare più di milione e trecentomila bocche. E’ comunque indiscutibile che proprio in quei decenni la roccaforte dei Visconti avesse imboccato una spedita ascesa verso la supremazia sul quadrante nord-occidentale della Penisola. “Terrestrium decus urbium” – l’aveva incoronata non senza calcolo politico il Petrarca, parafrasando fedelmente l’epifrasi bonvesiniana di “più splendida tra tutte le città del mondo”.

Nel corso della quasi decennale permanenza a Milano il poeta ebbe ricorrenti contatti con Bergamo ed il suo contado, freschi di assoggettamento alla serpe del blasone visconteo. Tra il 1357 ed il 1359 sono documentati almeno tre suoi soggiorni presso la rocca di Pagazzano, all’epoca circondata da secolari foreste che gli dovevano ricordare la silva ingens dell’Appennino parmense nei dintorni dell’amata Selvapiana. Durante l’ultima di queste villeggiature il cantore rese visita anche al capoluogo, su invito di un fervente ammiratore che vi risedeva. Le cronache narrano che al suo arrivo alle porte del centro abitato il Petrarca fosse accolto da una grande folla, tra cui spiccavano il governatore della provincia ed i podestà del comune. Per l’occasione fu anche imbandita una tavola degna di un re, ignorando forse che il frugalissimo ospite aborrisse i convivi troppo fastosi e le vivande elaborate.

Nonostante la benevola gaffe del nostri antenati, è comunque assai verosimile che la Bergamo di quei giorni non fosse affatto dispiaciuta al padre dell’umanesimo, antesignano tra gli estimatori del decoro urbano. Da ormai più di vent’anni le autorità municipali avevano infatti bandito dalla cerchia delle mura le torme di porci – al tempo abituali ospiti di ogni agglomerato – di cui il vate mal sopportava “la turpe vista e l’ingrato suono” (l’avanguardista Milano avrebbe adottato un analogo provvedimento solo due secoli più tardi). Con ampio anticipo su ogni altro comune Italiano di pari rango, nella nostra città era altresì elevato divieto di gettare lordure in strada dalle case e dalle logge, tutte le vie erano lastricate e le cloache fluivano ordinatamente nel sottosuolo.
Gli ulivi di cui il poeta aveva trapiantato i virgulti costituivano una nota tutt’altro che occasionale del paesaggio bergamasco dell’epoca. In particolare le alture tra Ponte San Pietro ed il capoluogo, secondo la descrizione che nel XII secolo ne forniva Mosé del Brolo, ne erano coperte  per estesi tratti, assai fitti tra Mozzo e Longuelo. Anche l’antica toponomastica di Città Alta comprendeva almeno un paio di riferimenti a poggi minori indicati come uliveto, segnatamente in Borgo Canale e nei pressi di Rosate. Per quanto a quei tempi tra i grassi alimentari primeggiasse incontrastato il lardo, l’imposizione ecclesiastica di un draconiano regime di magro per circa un terzo dell’anno assegnava un ruolo di rilievo anche agli oli vegetali. Tra questi quello di oliva si distingueva quale articolo di gran lusso, negoziato ad esorbitanti multipli di prezzo (sei volte tanto, secondo quanto rilevava qualche secolo più tardi Donato Calvi nell’Effemeride) dei più diffusi succedanei – l’olio di noci e quello di lino.
La diffusione della nobile pianta nel nostro circondario, consolidatasi nell’alto medioevo, si dimostrò ben altro che effimera. Ancora un secolo e mezzo fa il botanico Lorenzo Rota, nel suo Prospetto della flora della provincia di Bergamo, annotava che l’ulivo“percorre vigorosissimo la sponda bergamasca del Sebino, e s’avanza per ben quindici miglia verso Bergamo sulle colline di Gorlago e di Scanzo abbellendo di sua mansueta verdura la Valle Caleppio, e ricompare sull’amena costiera che sovrasta all’Adda tra Foppenico e Vercurago”. Ma proprio in quei decenni il diplomatico britannico John Bowring riferiva in una relazione sull’economia lombardo-veneta che sui nostri colli gli uliveti erano in via di espianto per essere rimpiazzati da più remunerative piantagioni di gelso, su impulso delle spietate leggi di mercato dettate dall’incipiente rivoluzione industriale. E rimorde davvero che ai nostri giorni solo pochi ettari di terreno restino ormai appannaggio della progenie dell’arboscello che, strappato ai feraci poggi di Bergamo, in spregio alle premure petrarchesche si lasciò morire di struggimento tra le fredde caligini dell’altera Milano.


Raspelli: «Un vino da scoprire? Il Valcalepio»

Edoardo Raspelli Bergamo, la conosce bene. Sa quali sono i suoi punti di forza e di debolezza sul fronte alimentare, immagina che l’Expo possa cambiare qualcosa ma senza farsi troppe illusioni. Il celebre giornalista enogastronomico parla in questa chiacchierata a cuore aperto, a tratti persino cruda e disillusa ma sincera, di cibo, del suo rapporto complicato con il maestro Veronelli, del Valcalepio troppo sottovalutato, di certi giudizi su cucine e ristoranti fai-da-te a suo parere inutili, di un Natale in cui non ha l’abitudine (sorpresa!) di regalare leccornie.

Raspelli, il food italiano è a una svolta: quali vantaggi e quali rischi vede nell’operazione Expo?
“Gli scandali che si sono susseguiti negli ultimi mesi non mi fanno sperare molto: non vorrei che i 25 milioni di visitatori (ma oggi si è scesi già a 20!) fossero solo un’ipotesi. Nel 2013 in Francia sono andati 45 milioni di turisti, da noi 23. Siamo sicuri di non aver sperato troppo (e faccio corna e bicorna)? Sarei felice poi se le attrezzature e i padiglioni continuassero a vivere ben oltre la fine di ottobre 2015”.

C’è qualche prodotto italiano, sottovalutato, che potrebbe invece essere rilanciato proprio grazie a questo grande evento?
“Forse l’ortofrutta, che è misconosciuta anche in casa nostra: vini, oli e formaggi, invece, sono da sempre sugli scudi”.

A Natale il food è sempre di moda: cosa regala di solito Raspelli ai veri amici ?
“Potrà sembrare strano, ma non faccio regali, se non qualche cosa in famiglia: detesto gli obblighi, soprattutto a Natale che, come tutte le feste religiose, non sento più da anni”.

Una bottiglia di vino: ci aiuti a scoprire qualche chicca meno conosciuta?
“Il Valcalepio, la Valcamonica: non hanno certo la fama e la grandezza (e nemmeno la qualità) di Langhe o Toscana, ma danno l’occasione di bere e di scoprire le buone curiose bottiglie della propria terra, del proprio territorio, delle proprie tradizioni”.

Bergamo è la capitale dei formaggi Dop: quale produzione ama di più?
“Mi piacciono le produzioni meno note, a parte naturalmente il Taleggio e tutti i piccoli grandi prodotti delle montagne: ma nella Bassa, inaspettati, ci sono la mozzarella di latte di bufala e caprini assolutamente straordinari”.

Proprio Bergamo, in occasione di Expo, varerà un Fuori Expo riproponendo la grande figura di Veronelli, i suoi vini da collezione e le sue battaglie. I vostri rapporti non sono stati sempre idilliaci: che tipo era il Gino visto da un competitor, ma anche da un uomo che gli è stato vicino come Raspelli?
“Con Veronelli mi legava un rapporto di odio-amore come tra padre e figlio: mi ha insegnato tante cose ma gli sono anche stato utile. Mi fece anche una querela dopo una critica garbata (querela che Gino perse: era a proposito dell’olio denocciolato). E pensare che oggi il giornalismo è morto e quasi tutti quelli che scrivono sono diventati organizzatori di eventi con cuochi, ristoratori e produttori (su cui, ovviamente, guadagnano). Lui era, comunque, un grande: chi, dopo di lui, ha la voglia ed il coraggio di scrivere che quel dato vino non gli piace?!”.

C’è un prodotto, un piatto della memoria, di cui Raspelli non potrebbe fare a meno?
“Bendaggio gastrico a parte, il mio poker ideale va dai gamberi crudi, al bollito misto (con la lingua), fino a  trippa e cassoeula…Peraltro da qualche tempo ho un incubo ricorrente: mi ritrovo ad assaporare carne di un essere vivente ucciso….”.

Ai tempi di Tripadvisor, pensa che certe guide ne escano ridimensionate? Non crede che il pubblico della rete sottovaluti certe “deviazioni” di una valutazione fai-da-te?
“Tripadvisor serve solo come una guida del telefono: per me è totalmente inutile. La critica è critica: nel giudicare una partita di calcio, il canto di un tenore, un balletto, un libro, bisogna essere esperti e disinteressati. La stessa cosa per cibi, ristoranti ed alberghi…”.

Cosa, durante un pranzo o cenone di Natale, non deve mai mancare a tavola?
“Agrumi, frutta secca e panettone: anche se non ci credo più, per il giorno di San Biagio, il 3 febbraio, tengo sempre una fettina di panettone aperto a Natale, da assaggiare”.

Infine, c’è un prodotto o un vino della nostra enogastronomia che è diventato un “cult” e che proprio non sopporta?
“Panna, rucola e aceto balsamico, quest’ultimo, badate bene, non tradizionale: li trovi ormai ovunque”.

 


Lo chef bergamasco che ha conquistato le Cayman

Adriano Usini BigNei pressi di George Town, nell’arcipelago delle Grandi Antille, si snoda una distesa di finissima sabbia bianca corallina lunga sette miglia. Questo luogo incontaminato dove vige l’esenzione fiscale fin dai tempi di re Giorgio III d’Inghilterra rappresenta, grazie alla massiccia presenza di alberghi di lusso, un’ambita meta turistica. E di certo Adriano Usini non poteva scegliere di meglio per consolidare la sua esperienza lavorativa all’estero. Originario di Caravaggio, questo cuoco 44enne oggi è il capo chef del ristorante “Ragazzi” di Grand Cayman, la maggiore delle tre isole che compongono il territorio britannico d’oltremare delle Cayman Islands.

Salone arioso dall’aspetto accogliente e pareti di legno chiaro rallegrate da opere d’arte ispirate al mondo marino, questo locale italiano offre una serie di specialità che vanno ben oltre i cliché culinari a cui i turisti sono stati a lungo abituati. Accanto a grandi classici come lasagne alla bolognese, fettuccine al pesto e gnocchi ai quattro formaggi, nel menù si possono trovare gustosi piatti di pasta fresca, dalle orecchiette con broccoli e gamberetti a originali casoncelli in salsa di funghi e olio di tartufo. Tra i secondi spiccano carpaccio, insalata caprese, scaloppine al limone, pollo al Marsala, fritto misto, il tutto accompagnato da focaccia e grissini fatti in casa. C’è poi una vasta selezione di vini che, oltre alle classiche marche francesi e austriache, propone una vasta gamma di etichette italiane, dal Prosecco al Chianti, al Barolo.

Con 755 recensioni e un certificato di eccellenza conquistato nel 2014, Ragazzi si piazza al terzo posto, su 52 ristoranti presenti a Seven Mile Beach, tra le preferenze degli internauti di Tripadvisor. Ben 506 utenti giudicano questo locale “eccellente”, 188 “molto buono”, 38 “nella media”, 12 “scarso” e 11 “pessimo”.

Com’è iniziata la sua passione per la cucina?
Ho frequentato la scuola alberghiera a Clusone. All’età di 17 anni, mi sono imbarcato su una nave della Princess cruise per una esperienza di sei mesi all’estero, tra Stati Uniti, Canada, Alaska e Caraibi. Poi sono tornato in Italia e ho lavorato per sette anni a Milano al ristorante Orti di Leonardo e poi al Salotto in piazza Duomo. Nel gennaio 1997 mi sono definitivamente trasferito alle isole Cayman.

È vero che gli stranieri hanno una visione stereotipata della cucina italiana?
«I nostri clienti sono in larga parte americani e devo dire che hanno gusti abbastanza particolari. Sono convinti, per esempio, che tra le specialità italiane ci siano spaghetti con le polpette, pollo alla parmigiana e la pasta Alfredo, ovvero un facsimile delle nostra pasta burro e formaggio con la differenza che loro mettono la panna al posto del burro e ci aggiungono pollo o gamberetti. In effetti sono ricette italiane ma con delle variazioni abbastanza pesanti che, secondo il mio punto di vista, rovinano la classicità della cucina italiana basata su cibi leggeri e molto digeribili».

Ci sono dei piatti tipicamente italiani che ancora non è riuscito a far apprezzare agli stranieri?
«Non apprezzano la semplicità di una bella aglio, olio e peperoncino».

Quali sono i piatti forti del suo ristorante?
«Il nostro menù è basato principalmente sulla pasta fresca, in particolare ravioli fatti in casa. Abbiamo qualcosa di simile ai casoncelli ma cucinati con funghi freschi saltati e olio di tartufo. Ci sono poi le orecchiette alla pugliese con broccoli al posto delle cime di rapa, qui impossibili da trovare, e gamberetti. E ancora gnocchi fatti in casa ai quattro formaggi, panna, brandy e pistacchi tostati».

Ha mai dovuto piegarsi alle esigenze dei clienti cambiando in corsa qualche sua ricetta?
«I piatti sono tutti molto apprezzati ma ho dovuto cambiare tutte le ricette originali per andare incontro ai gusti dei nostri clienti».

Cosa ne pensa delle recensioni di Tripadvisor?
«A volte sono utili perché ci sono critiche molto costruttive. Il dramma è quando scrivono commenti quei clienti americani che hanno un’idea distorta della cucina italiana. È la tipologia di clientela più pericolosa per la nostra reputazione perché magari va in giro a dire che le nostre non sono ricette italiane originali soltanto perché sono differenti da quelle che trova abitualmente nei fast food vicino casa».

Ha una famiglia che le sta sempre vicino?
«Sì, qui a Grand Cayman ci sono mia moglie Katiuscia, anche lei di Caravaggio, e i nostri tre splendidi bambini: Alessandro, 13 anni, Mattia (8) e Leonardo (2). Sono tutti e tre nati a Cayman e parlano perfettamente inglese e italiano, Alessandro anche lo spagnolo. I miei genitori, invece, risiedono tuttora a Caravaggio, vado a trovarli ogni anno tra luglio e agosto quando qui è bassa stagione».