Capo o leader? Come perdersi tra mille teorie

Sono trascorsi quasi sette anni da quando ho cominciato a scrivere regolarmente di tematiche legate alle Risorse Umane e il tema del leader, con le sue infinite sfaccettature, è stato uno dei primi affrontati in questo spazio. A distanza di anni, mi stupisce molto vedere che l’argomento continua ad essere oggetto di grande interesse e discussioni e che non abbia smesso di scaldare gli animi umani. La prova inconfutabile di ciò che dico è l’inarrestabile proliferazione sul web di articoli, blog e vademecum sulla leadership e sulle differenze tra l’essere “capo” e “leader” sul luogo di lavoro. Sono ormai evidenti a tutti le differenze tra i due ruoli in questione e in maniera molto stringata vale la pena ricordare quelle che ne caratterizzano i tasselli fondamentali, anche se lo scotto da pagare è che assomiglino ad una sorta di litania già sentita: un capo pensa di conoscere tutto, un leader ha sempre voglia di imparare; un capo prima parla e poi ascolta, un leader prima ascolta e poi parla; un capo critica, un leader incoraggia; un capo individua le debolezze dei suoi dipendenti, un leader ne scopre le qualità; un capo dice “io”, un leader dice “noi” e ancora, un capo pretende risultati, un leader richiede impegno ai propri collaboratori. Per quanto mi riguarda, ho letto più volte queste liste di buone prassi, consultando anche innumerevoli siti web con la speranza di trovare un po’ di illuminazione, ma quello che ho scoperto non mi ha offerto un contributo aggiuntivo, anzi ha confermato sempre di più quello che penso in materia di leadership: il modo migliore di essere un leader è quello di dare l’esempio, anzi il buon esempio.

Tutto il resto, almeno per me, rischia di essere solo un calderone di belle parole e teorie interessanti, difficili da calare nella propria realtà. Tutti, almeno una volta nella vita, hanno incontrato un capo, un leader, un responsabile, qualcuno alla guida di altre persone che ha detto agli altri di fare o non fare una certa cosa e poi, lui stesso si è comportato in modo diametralmente opposto, dando il cattivo esempio. Non c’è davvero nulla di peggio per il morale di un gruppo che essere guidati da individui che praticano la filosofia del “fai quello che dico io, non quello che faccio io“; e quando questo accade, vi è inevitabilmente una perdita di entusiasmo e di motivazione dei membri della squadra. Così, che piaccia o meno, uno dei modi più efficaci per costruire la credibilità con la propria squadra, è quello di dare l’esempio. Come? Considerato che la letteratura si prodiga in interminabili consigli e suggerimenti e considerato che non voglio far torto a nessuno, vi dico cosa ha insegnato a me l’esperienza personale. Innanzitutto, per essere un leader bisogna conoscere non solo il proprio lavoro, ma anche il lavoro dei propri collaboratori; ciò significa che non è necessario essere dei tuttologi o dei tecnici, ma avere voglia di studiare, di chiedere e di confrontarsi anche su terreni che interessano poco o sui quali non si è ferrati. Questo è un ottimo modo per costruire la fiducia e continuare a sviluppare le proprie conoscenze e competenze.

Bisogna poi rispettare e far rispettare agli altri quella che io chiamo la “catena di comando”; uno dei modi più rapidi, per causare un deterioramento strutturale, favorire la confusione e l’offesa personale, è quello di sostituirsi ai propri interlocutori diretti. I membri della squadra devono rispettare la leadership a tutti i livelli, per evitare sovrapposizione di ruolo e confusione a cominciare dallo stesso leader che non può scavalcare nessuno. Anche perché se non lo fa lui, perché dovrebbero farlo gli altri? Al tempo stesso è necessario fermarsi e ascoltare gli altri: un leader vero, anche se è costantemente impegnato a fornire direttive e trovare strategie, non deve mai dimenticare di fermarsi per ascoltare ed ottenere un feedback da chi lavora con lui; e questo fa davvero la differenza. Infine un leader deve saper mettere in campo una corretta supervisione del lavoro, senza cadere nel controllo eccessivo; deve comunicare la “mission”, la visione d’insieme, i valori e gli obiettivi e poi fare un passo indietro e lasciare che la sua squadra si attivi. Essere telecomandati e non poter essere utili in nessun modo, fa del lavoratore un individuo frustrato che non si sentirà mai rispettato fino in fondo. Spesso chi è alla guida di un gruppo di persone non ha capito che le persone non vogliono essere gestite, ma essere guidate; e se proprio ha il desiderio di gestire qualcuno, cominci a gestire se stesso, che è il primo fondamentale step per passare da capo a leader riconosciuto.

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