L’assemblea annuale dell’Aspan, svoltasi ieri 22 maggio presso la sede dell’Associazione Panificatori a Grassobbio, ha rappresentato l’occasione per fare un bilancio dell’attività annuale e per guardare al futuro mettendo in luce novità e problematiche del settore.
Il presidente dell’Aspan Roberto Capello, che ricopre anche la massima carica nella Federazione Italiana Panificatori nazionale e nell’Unione Regionale Panificatori della Lombardia, ha tirato le somme del 2016 e ha approfondito questioni chiave per la categoria come il lavoro, dalla formazione al rinnovo del contratto, l’organizzazione della produzione, soffermandosi in particolare sul valore che ogni giorno il pane veicola con sè, da qualche mese perfino attraverso i sacchetti di carta.
Quali sono state le iniziative più importanti portate avanti nel 2016?
«Anche quest’anno Aspan ha portato avanti iniziative per portare valore al consumatore, o meglio al “consumattore”, sempre più attento e per cui il pane non è certo più un alimento di sostentamento. Dal progetto “Qui Vicino” a favore della sostenibilità e della valorizzazione della filiera locale alla riduzione del sale nel pane. Nell’ultimo anno ogni sacchetto di pane ha portato nelle case dei bergamaschi messaggi importanti, dalla campagna contro la ludopatia “Azzardo bastardo” alla promozione culturale delle mostre ospitate dall’Accademia Carrara. Grazie al progetto “Pane Ri-affemo” – che vede impegnati una cinquantina di panificatori tra città e provincia e la Caritas – i prodotti da forno che restano invenduti sugli scaffali hanno una seconda vita sulle tavole e nelle mense di chi più ne ha bisogno. Oltre alla forte valenza sociale, questa iniziativa contribuisce a migliorare e ottimizzare la panificazione, invitando a ridurre gli sprechi attraverso una gestione più attenta».
Si è giunti ad un accordo per il rinnovo contrattuale, dopo mesi di trattative. Quali sono le principali novità per gli imprenditori del settore?
«Il costo del personale incide per almeno il 40 per cento per ogni attività artigiana. La trattativa è come sempre migliorabile, ma dopo 28 mesi di negoziazione si è raggiunto un accordo per il rinnovo contrattuale, che porta ad un incremento salariale per una figura di riferimento di 52 euro a regime. Le imprese hanno a disposizione due strumenti contrattuali: un’agevolazione per l’inserimento lavorativo di di disoccupati (che per il primo anno di contratto percepiscono il 30 % in meno dello stipendio e per il secondo anno il 20%) e di personale al primo impiego».
La presenza femminile nel comparto si fa sempre più sentire. L’arte della panificazione sta conquistando sempre più donne?
«Sulla base dei dati regionali presentati dai nostri Enti Bilaterali emerge come le donne rappresentino una quota pari al 60% nelle nostre imprese. Se è vero che ci sono più addette alla vendita che panificatori, la presenza femminile è ormai consolidata anche nei laboratori. E’ un lavoro ormai più sostenibile anche per donne e mamme, che non devono più lasciare tutta notte i loro figli da soli. Gli orari ormai si stanno sempre più spostando: una volta si iniziava alle 23 la sera e si finiva la mattina presto, oggi la sveglia si punta quasi sempre dopo le 4 del mattino. Le donne hanno poi una sensibilità più spiccata e riescono spesso ad anticipare le tendenze nei consumi. Non stupisce che siano spesso loro a mettere a punto ricette innovative».
E’ finita l’era delle maxi infornate notturne e del profumo di pane all’alba nelle vie?
«La panificazione è ormai continua per garantire una flessibilità produttiva e un “adeguamento di scena” tempestivo. Ormai la grande varietà di pane proposta porta a gestire più infornate ed impasti più piccoli. Anche per questo il lavoro è sempre più alla portata delle donne, che non si trovano a gestire impasti da mezzo quintale, ma tanti piccoli lotti di produzione. Questa organizzazione del lavoro permette di avere strutture meno importanti, con inevitabili ripercussioni positive per chi lavora in laboratorio e per di più maggiore qualità nella produzione, perché il pane appena sfornato qualitativamente non ha eguali».
Crescono le varietà di pane e si moltiplicano i prodotti sugli scaffali. E’ una moda da assecondare o l’occasione di innalzare la qualità nella produzione?
«Il valore della panificazione italiana sta nella pane-diversità: con 28 mila imprese dal Nord al Sud si portano avanti ricette e tradizioni che costituiscono un patrimonio culturale prima ancora che gastronomico di grande valore. Basti pensare che solo in Lombardia sono attive 4500 imprese nella panificazione, lo stesso numero che conta l’intera Germania, dal territorio più esteso del nostro nazionale. Oggi è ormai scontato impiegare nella panificazione farro, avena, grano Senatore Cappelli, Khorasan e via dicendo. I grani antichi godono di una nicchia di consumatori. Probabilmente è anche una moda del momento, ma la qualità del pane non tramonta mai. Le ricette poi e le combinazioni e miscele tra farine sono davvero moltissime, basta mettere in campo la creatività. Curcuma e semi sono ormai ingredienti quotidiani nei nostri laboratori. Recentemente in Fiera a Gourmarte abbiamo presentato un pane al baobab, una ricetta davvero curiosa».
Si mangia meno pane ma non si rinuncia alla qualità e ci si concede qualche sfizio in più?
«I consumi di pane comune sono ridotti, ma non conoscono crisi tutti i prodotti da forno che rappresentano un’evoluzione dell’impasto base del pane, dalle focacce alle pizze, al pane speciale. Non si acquista più il pane la mattina presto per la colazione come si è sempre fatto un tempo, ma non mancano alternative anti-spreco, a partire dalle classiche pagnotte, o dalla stessa Garibalda che celebra il territorio, che hanno una vita di scaffale più lunga e sono ideali tagliate a fette per accompagnare il risveglio di tutta la famiglia».
Sono sempre altissime le iscrizioni alle scuole di panificazione, ben sei quelle presenti solo nella nostra provincia. E’ qui che nascono nuove leve e si tramanda l’arte della panificazione italiana?
«Moltissimi ragazzi vogliono fare questo mestiere, ma per molti di loro è una scelta dettata dalla convinzione che sia un lavoro sicuro perché tutti continueranno a mangiare pane come si è sempre fatto nei secoli dei secoli. E così si parte già con il piede sbagliato perché senza passione e dedizione non si va da nessuna parte, men che meno in un campo professionale che richiede grande impegno e sacrificio. Purtroppo tra i banchi di scuola mi sembra che manchi senso di disciplina e rispetto del lavoro. E poi molti ragazzi si sentono già bravi e arrivati dopo qualche anno di stage».