Call center, a Bergamo oltre 2mila addetti in 50 aziende

Call center, a Bergamo oltre 2mila addetti in 50 aziende

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call-centerSta crescendo anche a Bergamo il “pianeta Call Center”. La stima della Fistel Cisl provinciale è che il settore dia lavoro a oltre 2.000 persone, assunte nelle forme più svariate in una cinquantina di aziende. “Fino a poco tempo fa era un sistema inesistente, o quasi. Oggi, anche a seguito della crisi che ha “liberato” molta manodopera disponibile, anche in provincia abbiamo assistito a un massiccio incremento delle società che operano in questo campo. Ovviamente anche qui, come a altre latitudini, c’è chi rispetta le regole e chi no. C’è chi applica correttamente il Ccnl Telecomunicazioni, chi (meno correttamente) contratti diversi e meno onerosi, ma che nulla hanno a che fare con l’attività di call center, e chi fa ricorso a voucher e partite iva fasulle, al grigio e al nero; c’è chi opera in appositi spazi,  chi ha occupato decine di scantinati…”. Luca Legramanti, segretario generale di FISTEL CISL Bergamo riassume così il quadro del “sistema call center”, uno dei punti caldi dell’attività sindacale di questi tempi, in tutta Italia. “Le parole del Papa colgono nel segno. La situazione precaria dei lavoratori dei call center, o almeno di parte di questi, è al centro delle attenzioni del nostro sindacato. Le proposte e i progetti sindacali per un nuovo modello di lavoro per questa attività lo testimoniano”.

L’immagine del lavoro e del lavoratore dei call center è condizionata da una serie di fattori: il fastidio della chiamata nei momenti meno opportuni; la consapevolezza di molte situazioni “degradanti” sotto il profilo della dignità del lavoratore; il sempre più frequente ricorso a delocalizzazioni verso l’estero e l’est Europa in particolare…. “. Sono situazioni che occupano il sindacato, che da tempo chiede la convocazione di tavoli appositi e che nella discussione del rinnovo del Ccnl pretende l’introduzione di regole severe e precise sulla questione degli appalti, oltre che di norme che tutelino i lavoratori. Ma la prima mossa da fare – sostiene Legramanti – è quella di costringere almeno le aziende statali a non appaltare all’estero i servizi, uscendo così dai controlli e dalle garanzie”. Ma è opportuno, secondo il sindacalista, fare anche alcune necessarie precisazioni: “il mondo del call center è fatto anche di situazioni virtuose, di personale preparato, di regole rispettate. È vero, rimangono molti “buchi neri”, nei quali il sindacato nemmeno riesce a entrare. Ma lavorano molte aziende che invece preferiscono mettersi dalla parte giusta del mercato, e su quelle noi insistiamo, per migliorare l’intero sistema”.

Terry Gattoni, componente della segreteria Fistel provinciale, lavora da 28 anni nel call center di Telecom a Bergamo. “Un lavoro che negli anni è incredibilmente cambiato: aldilà della tecnologia. Prima il rapporto con l’utenza era esclusivamente territoriale, e più che fornire numeri e piccole informazioni non si faceva. Oggi devi saper rispondere su tutto, adsl, banda larga, piattaforme e contenuti multimediali, tariffe e promozioni. E le chiamate arrivano da tutta Italia. Anche il servizio viene visto in maniera diversa: è aumentata la produttività, la concorrenza, la professionalità richiesta, abbiamo la necessità di essere ogni giorno aggiornati . dobbiamo risolvere problemi su vari fronti”. Comunque, nonostante questo cambiamento non c’è stato un adeguato riconoscimento della professionalità, perché il principio con cui viene regolamentato il servizio è quello delle gare d’appalto, al massimo ribasso. “Il costo del personale rappresenta il 70% dei costi – dice ancora Legramanti. Se abbatti questo costo sei competitivo. Questo comporta, anche nei call center di Bergamo, condizioni di lavoro disastrose, contratti di qualsiasi tipo, anche “malsani”…

Da noi sono pochi, ma ci sono call center “genuini”, con contratti e normativa giusti. Il problema grosso, anche qui, rimangono gli appalti”. Nella discussione per il rinnovo del Ccnl, le Organizzazioni Sindacali hanno richiesto che alla questione si diano risposte concrete, a partire dall’introduzione dell’articolo 24, che impone all’erogatore del servizio di chiedere se si vuole parlare con operatori in Italia o all’estero, così da disincentivare le delocalizzazioni. “Purtroppo, non lo fa nessuno”. “Oggi il call center è ancora visto come uno dei lavori più brutti, senza dignità – dice ancora Terry. Invece, il call center è un mondo vario. Molti miei colleghi sono laureati, c’è chi parla 3 lingue, ci sono professionalità elevate, anche se non sempre riconosciute. Non è né monotono né triste, anche se comporta un alto valore di stress. Le aziende, almeno quelle grosse dovrebbero capire che se non si premia la qualità del lavoro, appena se ne ha la possibilità si andrà altrove, e loro perderanno professionalità e competenze. La sfida sindacale del futuro è questa. Anche a Bergamo, che sta diventando una provincia importante per il settore, rispetto a solo 5 anni fa. Sono tanti i giovani, alla prima esperienza, a fianco di gente esperta e professionale. E, tra l’altro, il settore può essere anche la utile valvola di sfogo per gli esuberi di altri settori”.

Per il sindacato la sfida è importante, per migliorare la condizione di tutti i lavoratori. L’alternativa e una devastante rincorsa a chi costa meno. Il mese di marzo è stato funestato dalle procedure di licenziamento che hanno riguardato migliaia di lavoratori in tutto il territorio nazionale a cui ne seguiranno altre nei prossimi mesi. “Bergamo fa i conti con call center “fantasma”, che aprono e chiudono senza lasciar traccia, a volte anche nei confronti di chi fino al giorno prima ci ha lavorato. Lavoratrici e lavoratori del settore devono aver chiaro che la discussione attorno al rinnovo del contratto rappresenta l’ultima opportunità per individuare soluzioni in grado di scongiurare veri e propri drammi sociali, perciò, almeno nelle situazioni inaccettabili, dovrebbero uscire allo scoperto e farsi aiutare”.