Da un provvedimento serio e responsabile si è scivolati nella solita farsa. Se non si vuole scadere nella demagogia da bar e nella banale demonizzazione delle banche – dimenticando che se crolla il sistema creditizio crolla anche l’economia e quindi la società – va riconosciuto che il governo Renzi ha emanato un decreto che, nella situazione che si era creata, e della quale, fino a prova contraria, non si può ritenere responsabile, era quanto di meglio si poteva fare. Ha evitato la chiusura degli istituti, che avrebbe creato un’onda dagli effetti imprevedibili, ha salvato posti di lavoro, ha permesso di mantenere le linee di credito alle imprese ed è riuscito a contenere il numero di risparmiatori coinvolti.
E’ stata finalmente rovesciata l’applicazione del consueto principio della privatizzazione degli utili e della nazionalizzazione delle perdite. Adesso che il “bail in” dice proprio questo, cioè che il salvataggio di una banca non avverrà più con i soldi dello Stato e quindi dei contribuenti (“bail out”), ma di azionisti, obbligazionisti e correntisti oltre i 100 mila euro, si cerca di fare marcia indietro. Perché uno fa due conti e inizia a temere di essere coinvolto direttamente, mentre la politica cavalca strumentalmente tutta la vicenda.
Gli obbligazionisti con titoli equivalenti al capitale di Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti hanno il non piacevole privilegio di essere i pionieri tra quanti in Italia hanno perso tutto per una banca andata a gambe all’aria (per gli azionisti è già successo). Ma il clamore deriva dal fatto che quella che avrebbe dovuto essere da tempo una regola del libero mercato lo è diventato in concreto solo adesso. Anche per questo il governo Renzi aveva iniziato la gestione del salvataggio delle quattro banche commissariate in modo rigoroso e inappuntabile. Poi si è fatto prendere dai dubbi e forse, se si può essere maliziosi, dai timori di perdere consensi in territori che considerava finora elettoralmente protetti. E si è inventato l’intervento umanitario, creando un’odiosa discriminazione in figli e figliastri, attraverso quella che di fatto si può considerare una “legge eccezionale”.
Se ci sono state truffe si poteva e si può procedere nelle modalità previste dalla legge. Ma non si capisce perché deve essere creato un fondo per rimborsare seppure parzialmente l’obbligazionista subordinato di questa banche, che ha perso il suo investimento in titoli che promettevano interessi superiori a quelli di mercato, dimenticando la regola aurea che a maggior rendimento corrisponde maggior rischio, mentre, ad esempio, un’azienda costretta a chiudere perché non viene pagata da una società che finisce in fallimento non è da considerare un caso almeno altrettanto socialmente rilevante. In fondo, in entrambi i casi si ha a che fare con un debitore ritenuto affidabile che non paga.
Come spesso accade si scivola dalla tragedia alla farsa. Dopo le iniziali sparate sull’enormità di risparmiatori coinvolti, che si confondeva quasi con il numero di tutte le famiglie di Ancona, Arezzo, Ferrara e Chieti, il numero dei risparmiatori che potrebbero rientrare nei criteri del “ristoro umanitario” per un rimborso parziale, sta scendendo sotto il migliaio. E’ la premessa che il fondo da 100 milioni si rivelerà sostanzialmente un buon espediente promozionale per il governo e anche un minore onere per le banche sane, che si può immaginare quanto siano contente a correre in giro per l’Italia a pagare i guasti altrui, ma sono costrette a questo pedaggio nella giusta convinzione che lasciare malati in giro sia la premessa per lo scoppio di un’epidemia.