Banche e Nord Est, quei campioni del capitalismo figli di un Paese malato

Banche e Nord Est, quei campioni del capitalismo figli di un Paese malato

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Eh sì, ammettiamolo. A furia di dare addosso alla classe politica (e non che non ce ne vengano fornite ragioni ogni giorno) ci siamo dimenticati di guardare anche altrove. Per esempio, in casa di quella classe imprenditoriale, e dirigente in generale, del mitico Nord Est che per decenni ci è stato dipinto come modello insuperabile di virtù. Quanta retorica e quante parole al vento. Perché basta leggere le cronache economico-finanziarie di questi ultimi mesi per rendersi conto, amaramente, di quante vittime abbia fatto quella sorta di ubriacatura generale che ha impedito di vedere ciò che forse chiunque, a parte chi lo doveva fare per compito istituzionale, poteva cogliere.

Avete presente i tracolli della Banca Popolare di Vicenza prima e di Veneto Banca poi? Tra l’una e l’altra se ne sono andati in fumo oltre 11 miliardi. L’equivalente di una (o due) Finanziaria. Soldi di capitani d’industria, di società, di enti religiosi (compresa l’Opera diocesana San Narno della Curia di Bergamo), ma anche di migliaia di piccoli e grandi risparmiatori. Una montagna di quattrini, è bene sottolinearlo, che stavolta non è stata dilapidata dal governo ladro o dal solito politico lestofante che si è arricchito alle nostre spalle. No, no, il cratere è stato scavato, con una voracità invero pazzesca, con le benne che portano impresso il marchio della meglio imprenditoria del Nord Est. Un nome su tutti, tanto per capire di che parliamo. Alla testa della Popolare di Vicenza c’è stato per quasi vent’anni un certo Gianni Zonin. Uno che con le aziende di famiglia ha fatto faville, costruendo un vero e proprio impero preso ad esempio in Italia e nel mondo. Peccato che da presidente della Banca non abbia visto, o si è distratto, o è stato complice (lo stabilirà l’autorità giudiziaria), i magheggi e le manovre spericolate che hanno portato all’azzeramento del valore del titolo e al conseguente falò di tanta ricchezza accumulata nei decenni. E come lui, i tanti industriali e signorotti dell’economia veneta che facevano a gara per sedere nel board dell’istituto.

Davvero una bella nemesi, non c’è che dire. Chi doveva essere il modello di gestione (e come tale si poneva rispetto alla politica, soffiando nelle vele di chi propugnava palingenesi radicali), ha dimostrato, nei fatti e non con le parole, di essere assolutamente inadeguato (volendo essere buoni e tralasciando per il momento eventuali responsabilità penali) sia in termini di trasparenza che di efficienza. Altro che Roma ladrona e altri simili slogan risuonati negli ultimi vent’anni tra i colli e le valli venete. I campioni del capitalismo del Nord Est, se possibile, si sono rivelati peggiori di chi un giorno sì e l’altro pure volevano bruciare sulla pubblica piazza.
Sarà bene prenderne atto. Non per rivalutare la politica, ché sarebbe esercizio vano, quanto per riportarci tutti alla nuda e cruda realtà. Non c’è, non c’è mai stata, una società civile migliore o superiore alla classe politica. Purtroppo, bisogna aggiungere. Ma se non si riparte da lì, se non acquisiamo la consapevolezza che il Paese nel suo complesso è malato nel profondo, sarà ben difficile uscire dal pantano in cui siamo immersi fino al collo.