Lavoro, in causa sempre
più manager e dirigenti 

“Le controversie non risparmiano alcun settore e in questo ultimo periodo sono in crescita le cause che riguardano dirigenti e manager, con retribuzioni di un certo peso” rileva Ermanno Baldassarre, giuslavorista e presidente dell’Ordine degli avvocati di Bergamo.
Il ricorso alla cassa moltiplica però i problemi: “La cassa integrazione è ormai uno strumento essenziale per garantire la sopravvivenza delle pmi ed ormai anche gli studi professionali – legali inclusi – ricorrono alla cassa in deroga. Crescono però oltre alle cause per licenziamento e qualifica anche quelle per differenze retributive e applicazione non corretta degli ammortizzatori sociali”. Ma a generare caos negli uffici giudiziari è il rito Fornero.
Una riforma che ha avuto un “impatto devastante” sul sistema giudiziario italiano, come sottolineato da Fabio Rusconi, presidente dell’Agi, Associazione degli avvocati giuslavoristi italiani?
“Diciamo che è una pessima legge perché decuplica i problemi, anziché semplificarli. Inoltre non fa che replicare procedure già esistenti, come la procedura d’urgenza già presente nel Codice, per quanto concerne la prima fase del rito che riguarda il merito. E’ bene che sia posta una maggior attenzione alle cause di licenziamento, è giusto pensare che una causa non possa durare dieci anni, ma non si può istituire, paradossalmente, un quarto grado di giudizio”.
Una legge di cui nessuno sentiva il bisogno?
“Il rito del lavoro è una splendida quarantenne (“nata” nel 1973, ndr) sfregiata da pessimi interventi di chirurgia estetica, tra cui quello ad opera della Fornero. Il problema non riguarda tanto i tempi di giudizio, ma le complicazioni create dall’interpretazione delle norme”.
Quali soluzioni intravede per ridurre il contenzioso?
“La prima strada, impercorribile, sarebbe quella di rendere il rito del lavoro effettivo, con tutte le necessarie risorse come dovrebbe essere. I termini per i giudici – è una provocazione-  dovrebbero essere perentori. L’arbitrato, con una funzione sussidiaria dell’avvocatura da ripensare per il futuro, potrebbe giocare un ruolo importante per snellire il contenzioso”.
La mediazione si è rivelata inefficace?
“Il tentativo obbligatorio di conciliazione si è rivelato un flop perché raramente si sono trovate soluzioni davanti alla  allora Direzione Provinciale del Lavoro (ora denominata Territoriale). Quanto alla mediazione non è uno strumento utile per risolvere i problemi legati al lavoro”.
E’ cambiato il ruolo delle organizzazioni sindacali nel contenzioso?
“Il sindacato continua a svolgere la sua funzione, in mezzo al guado tra lavoratore e impresa. Prima di entrare in causa il lavoratore si consulta con il sindacato o l’associazione di categoria, che possono svolgere un ruolo importante per definire a livello extragiudiziale le controversie”.
In tribunale i lavoratori hanno sempre la meglio, come vuole il senso comune?
“L’applicazione del  principio del favor lavoratoris è insito in un rapporto dispari, in modo che non prevalga la condizione del contraente più forte a scapito della parte più debole. Ma ciò non vuol dire che venga denegata la giustizia. Come nel campionato di calcio, sulla distanza, vince la squadra migliore anche le cause di lavoro, analizzando le risultanze nel tempo, vanno nella direzione in cui ci si aspettava che andassero”.
Non capitano mai cause pretestuose?
“Raramente vengono radicate cause palesemente pretestuose, pur essendovi un certo contenzioso che non ha particolare rilevanza economica, come per le piccole differenze retributive”.
Quale impatto ha una causa di lavoro su un’impresa?
“C’è chi sostiene che ormai i costi delle aziende siano implementati da quelli degli avvocati. La realtà è che i servizi legali vanno correttamente pagati perché tutelano interessi e diritti di vitale importanza, soprattutto in fase preventiva”.


Trescore, «finalmente i commercianti credono nel rilancio»

Per il rilancio dei negozi e la rivitalizzazione del paese, Trescore Balneario ha intrapreso un percorso originale, quello del Centro commerciale naturale, un sistema di esercizi coordinato in un’area urbana, già attivo e affermato in diverse regioni, come Toscana e Veneto, che non è ancora entrato nelle politiche di sostegno e sviluppo della Lombardia – dove si è puntato sinora sulla formula del Distretto –, ma che potrebbe farlo in futuro. La nuova Act, Associazione Commercianti di Trescore, nata per dare concretezza al concetto riempiendolo di idee e iniziative, ha infatti ricevuto l’investitura di “progetto pilota” dall’assessore regionale al commercio Alberto Cavalli, intervenuto lo scorso 12 ottobre al taglio del nastro dell’iniziativa e dichiaratosi interessato seguire anche a questo tipo di esperienza.
Il “la” all’operazione è stato dato dal Comune, che nel Pgt ha previsto il Town center management come strumento di pianificazione, riqualificazione e potenziamento del centro storico ed ha sollecitato i commerciati a darsi un coordinamento per confrontarsi e collaborare in questa direzione. L’input ha colto nel segno e nel giro di pochi mesi la partecipazione è decollata, bruciando letteralmente le tappe. A giugno è nata ufficialmente l’associazione, che oggi conta 65 associati su circa 120 attività presenti nel centro storico. Ha già collaborato allo Shopping sotto le stelle estivo e alla Festa dell’uva ed ha realizzato StreeTfood, manifestazione dedicata alla cucina e all’assaggio in cui sono state coinvolte in prima persona le attività associate, con postazioni e intrattenimento in strada fino a tarda sera. Una prima uscita di successo, che dà la carica al nuovo gruppo.   

I COMMERCIANTI
«Il paese ha molto da offrire, non possiamo permettere che si spenga»

Qualche serranda abbassata c’è anche qui. Così come i cartelli “affittasi” o “cedesi attività”. A dominare è però ancora la varietà commerciale, che in altre realtà della Bergamasca è invece già diventata un ricordo. Lungo il percorso da piazza Cavour a piazza Dante, passando per via Locatelli e nelle più moderne corti – ossia l’area individuata come Centro commerciale naturale – si trovano macellerie, panifici, fruttivendoli, bar, negozi di abbigliamento, calzature e tutto quanto può rispondere alle esigenze del consumatore. In alcuni casi si tratta anche di attività storiche, depositarie di esperienza e tradizione, sempre più rare da trovare dietro al bancone. La passeggiata è piacevole. I primi 15 minuti di sosta sono gratuiti, il che favorisce la commissione veloce, poi il costo è di un euro all’ora, nei diversi spazi presenti in centro. Poco fuori, l’ampio piazzale Pertini è libero, ideale per chi vuole concedersi un giro in tutta tranquillità.
In piazza Cavour, la Ferramenta Gualini è una vera e propria istituzione. Per la verità, lo è per tutta la Bergamasca. Si tratta infatti della più antica attività commerciale familiare (il primo documento ritrovato risale al 1806), premiata dalla Camera di Commercio e inserita nel registro nazionale delle imprese storiche istituito da Unioncamere. «La nascita dell’associazione è un fatto positivo – esordisce Andrea Gualini, 37 anni, settima generazione in forza al negozio -. Una scossa va data e se ci sono accordo e concertazione si possono di certo realizzare iniziative di maggior richiamo rispetto a quanto si può fare da soli. Direi che non servono stravolgimenti (e mi rivolgo anche alle possibili scelte del Comune), ma cercare di tenere e valorizzare quanto c’è di buono. Ogni attività deve poi darsi da fare, noi ormai ci siamo specializzati in tutto e cerchiamo di inventare sempre qualcosa di nuovo per migliorare il servizio».
Anche all’albergo ristorante Della Torre, in piazza, sono pronti a mettersi in gioco. «La volontà è dare visibilità e valorizzare tutte le attività presenti in paese, anche quelle un po’ più distanti – dice lo chef Diego Pavesi, quinta generazione alla guida dell’esercizio che si sviluppa all’interno di una torre trecentesca –. StreeTfood è stata una prima prova ed è andata bene. Ha richiamato persone da fuori ed i commercianti hanno potuto presentare i propri prodotti e farsi conoscere. Personalmente sono sempre disponibile all’aggregazione, mi fa piacere che si sia formato un bel gruppo perché ci si può supportare a vicenda: di certo è un bene per tutti!».
«Sapere che siamo in tanti a partecipare è uno stimolo in più», evidenzia Maurizio Campana, del bar Bollicine, aperto nel 2007 in via Locatelli. «Trescore è sempre stato il centro di riferimento anche per gli altri paesi della Val Cavallina, sappiamo che quando si organizza qualcosa qui la gente risponde ed è un bel vantaggio. Proporsi come alternativa ai centri commerciali però non è facile – riflette -, in una giornata piovosa è quasi scontato che si vada a fare shopping all’Oriocenter».
La possibilità di inserirsi in un tessuto commerciale ancora vivace è ciò che ha fatto decidere a Luciano Cisana di rilevare la macelleria in via Locatelli, trasferendosi tre anni fa da Curno (dove l’influsso dei centri commerciali è ben più evidente). «Qui va meglio – afferma -, ben vengano le iniziative per rivitalizzare il centro, anche se il mercato, non dobbiamo nascondercelo, oggi è quello che è».
Attività storica è anche la boutique Parimbelli, dal 2004 trasferita in via della Resistenza, ben 22 vetrine su tre piani e un bacino di clientela ampio e consolidato. Marco Parimbelli è uno dei due vicepresidente dell’Act. «Pur essendoci ancora molti negozi – rileva -, ci siamo resi conto che il centro si stava pian piano spegnendo, la sera, ad esempio, è vuoto. C’è però stata una reazione, credo che per la prima volta ci sia uno spirito vero di collaborazione». «L’idea del Centro commerciale naturale ha già avuto riscontri positivi a livello istituzionale – nota -, il paese ha una spiccata vocazione commerciale e sarebbe stato un peccato non mettere in campo strumenti per tutelarla e valorizzarla. Certo non sarà facile, ma c’è la voglia di dialogare in modo costruttivo con il Comune e collaborare con le associazioni del territorio per risvegliare anche culturalmente e socialmente il paese».
«Riportare l’attenzione sul centro storico è l’unica azione che può salvare i paesi», dice chiaramente Juri Signorelli, giovane titolare del negozio di grafica e stampa Ink, in via Locatelli. «La nuova associazione è giovane ed è motivata – dichiara -, magari non sarà facile mettere d’accordo tante persone diverse, ma è comunque meglio confrontarsi su molte idee che su nessuna. E poi, al di là del richiamo verso l’esterno, c’è la possibilità di conoscerci e stringere sinergie tra di noi, in fondo anche questo un modo per sviluppare le nostre attività».   
Sara Suardi, socia della pasticceria 2G in piazza Dante e componente del direttivo dell’Associazione commercianti, non solo lavora ma abita anche a Trescore e pensa prima di tutto al paese. «L’impegno è rivolto soprattutto a far vivere di nuovo Trescore, a riscoprire il valore della comunità – afferma -. Dovevamo muoverci per non rischiare di lasciarlo morire e la nostra prima manifestazione è stata un successo. Ora dobbiamo proseguire con l’impegno e la volontà di tutti». A supportare la visione positiva è il socio Giovanni Martinelli: «Con quasi 130 attività di tutti i generi e tanti pubblici esercizi, Trescore è una corazzata dal punto di vista commerciale. Qui si può trovare tutto senza spostarsi a Bergamo o nei centri commerciali, è giusto dare valore a tutto questo».
Residente e componente del direttivo dell’Act è anche Elisabetta Algisi, titolare della Fioreria Clorifilla, in via Roma, che ha aperto, giovanissima, 26 anni fa. «L’Associazione si basa sulla consapevolezza che Trescore ha molto da offrire – nota – e che si è lavorato troppo poco per renderlo attrattivo, soprattutto in chiave turistica. Le potenzialità ci sono, pensiamo solo al Lotto, alle Terme e poi al paesaggio e al lago. In passato eravamo il polo turistico della Valle, in centro c’erano ben sette alberghi; non dico che si potrà tornare a quei fasti, ma cerchiamo almeno di puntare su queste carte, imparando a lavorare insieme. L’organizzazione sarà vincente solo se tutti i partecipanti si metteranno in gioco, promuovendo se stessi e l’associazione».
Secondo Loretta Finazzi, titolare da 11 anni della merceria Fili di Fate, in via Roma, si può pure portare più vita in paese, ma conta soprattutto la capacità di rispondere alle esigenze della clientela. «Sinceramente durante l’apertura serale non è entrato nessuno in negozio e allora mi chiedo cosa cambia – dice -. Preferisco impegnarmi per far girare la mia attività, dedicandomi alle riparazioni che prima non facevo, ma di cui, visto il periodo, ora c’è richiesta. È logico che preferirei starmene dietro al bancone e vendere solamente, ma se non si può bisogna per forza buttarsi su un servizio utile e che può rendere».
«La nostra attività in realtà non aveva bisogno di promozione, eppure abbiamo partecipato a StreTfood, offrendo il nostro servizio perché pensiamo che sia importante che la gente giri e conosca i negozi», racconta Ciro Prisco, titolare della Bottega della Pizza, pizzeria d’asporto da 13 anni aperta in via Roma ed esponente di una famiglia napoletana che «ha portato la pizza in Val Cavallina». «La presenza delle attività professionali – rimarca – può essere anche una risposta alle sagre, offrendo qualità a prezzi contenuti, a differenza di quanto di può trovare in tante manifestazioni». 


Zanetti: «Ancora alla guida
della Popolare? Vedremo
cosa deciderà il Consiglio»

Fredda mattinata d’ottobre.
«Ogni stagione ha aspetti positivi e negativi allo stesso tempo».  
Lei a che stagione della vita è arrivato?
«Alla quarta, ormai ho 82 anni».
Non pensa che potrebbe essere il momento per fare altro?
«No, anzi adesso ho più tempo. Anche per pensare al tempo che rimane».
Al netto dei suoi incarichi istituzionali, ma soprattutto bancari, presidente di Ubi e della Banca Popolare per 28 anni, ad Emilio Zanetti si potrebbe pensare come a certi vecchi zii, con un sentimento di vago affetto e riconoscenza per quello che hanno rappresentato. In particolare per il concetto di immutabilità ed incrollabilità. Esattamente come i capelli che porta in testa (appena più leggermente incanutiti), i suoi pensieri sono gli stessi di undici anni fa (come forse di 30 o 40 o 50). Nel 2002, su queste colonne, comparve una sua lunga intervista che, senza troppa fatica, si potrebbe riproporre anche adesso, quasi riga per riga, togliendo solo qua e là qualche piccolo riferimento alle cronache di allora, senza timore di essere smentiti. Il puzzle mentale di Zanetti sembrerebbe costituito dagli stessi pezzi. Almeno formalmente, sostanzialmente chissà.
A proposito di tempo per pensare. Dopo l’assemblea di Ubi dello scorso aprile, disse che si sarebbe ritirato in un luogo solitario per meditare: l’ha fatto?
«È un proposito che non ho ancora realizzato».
Perché?
«Mancanza di tempo. No, diciamo, per mancanza di volontà. Anche se si è super impegnati, però, due giorni in un anno si trovano».
Parliamo di banca, ma partiamo da un altro punto di vista, quello immobiliare. BergamoScienza ha ridato un po’ di vita al centro cittadino, occupando immobili lasciati liberi. Tra questi anche parecchi di proprietà della Banca Popolare di Bergamo. Fra un mese finita la manifestazione ritorneranno vuoti e il centro cittadino ripiomberà nella sensazione di abbandono.
«La crisi economica ha inciso profondamente sui consumi ed ha coinvolto anche attività tradizionali, quali Sacerdote. Le ragioni sono state illustrate nell’intervista concessa al vostro giornale dal dottor Luca Sacerdote, che ha dovuto assumere una decisione certamente sofferta che merita il nostro rispetto, una decisione ritenuta necessaria tenuto conto della contrazione dei consumi e della forte concorrenza. Per il reparto Uomo la chiusura è avvenuta il 31/12/2012, purtroppo si profila pure la chiusura del reparto Donna a fine d’anno. La Galleria La Torre ha lasciato i locali il 31 marzo scorso, essendosi trasferita in locali di proprietà più ampi. Stiamo cercando altri inquilini che possano svolgere attività compatibili con l’ubicazione centrale della nostra città e che di conseguenza possano valorizzare il centro cittadino mantenendo il necessario decoro».
Non crede che la politica immobiliare della banca, ci riferiamo al livello degli affitti delle locazioni commerciali negli ultimi anni, sia stata non propriamente vicina al territorio?
«In passato la politica immobiliare della Banca, così come la chiama Lei, soprattutto quella riguardante le locazioni commerciali, prevedeva canoni molto inferiori a quelli di mercato. Nel tempo si è proceduto a un riallineamento, mantenendo peraltro livelli inferiori o comunque non superiori a quelli di mercato. Questo è avvenuto anche per il settore residenziale, ove si è cercato di favorire l’acquisizione degli immobili da parte degli inquilini attraverso la concessione di mutui che fossero appetibili».
Che cosa si augurerebbe di vedere in queste vetrine?
«Mah, mi piacerebbe un grande stilista, un nome dell’alta moda ad esempio».
Lei quanti vestiti ha nell’armadio? Per dire quante volte è entrato da Sacerdote?
«Una volta l’anno… ma io i vestiti di solito, me li faccio fare su misura».
Undici anni fa, alla domanda “Come immagina la Popolare tra vent’anni?” rispose: “Una banca libera ed indipendente che continui il proprio cammino e continui ad assolvere il proprio ruolo. La penso come una vera public company, con un azionariato molto diffuso dove non si formino gruppi di potere di qualsiasi natura. Mi auguro che possa difendere sempre la propria indipendenza”. Per lei è ancora così?
«Le do la stessa risposta, mi auguro che la banca o meglio il gruppo sia esattamente così; libero e senza condizionamenti di sorta. Me lo auguro francamente, perché tutti abbiamo operato tenendo conto di questi indirizzi».
La parola territorio è il mantra delle Banche Popolari. Hanno coltivato questa vocazione di vicinanza alle componenti territoriali, anche in considerazione della loro natura giuridica che fino almeno agli anni 70/80 le differenziava veramente dalle banche di interesse nazionale. Ora molto meno. E il Governatore, in almeno due occasioni ufficiali, ha invitato le popolari a trasformarsi in Spa…
«Le Banche Popolari hanno sempre assolto ad una funzione di carattere sociale, con un’attenzione particolare allo sviluppo dei territori in cui sono insediate ed io sono certo che continueranno questa loro missione. Purtroppo la crisi, lunga e assai pesante (ricordiamo che la Lehman Brothers è fallita nel 2008), ha costretto molte imprese a ridimensionare l’attività, altre non ce l’hanno fatta. Questo ha inciso anche sui bilanci delle banche, le perdite sui crediti sono cresciute notevolmente. Teniamo ben presente che noi gestiamo i risparmi di famiglie e imprese e quindi denari di risparmiatori che devono essere allocati con prudenza, certamente per favorire lo sviluppo delle imprese e dei livelli occupazionali. L’attività delle banche popolari in passato si è distinta dall’attività di altre istituzioni creditizie. Allora gli istituti di credito di diritto pubblico e le banche di interesse nazionale tendevano ad avere rapporti con grandi imprese ed operavano soprattutto con sedi poste nei capoluoghi di provincia. Con le privatizzazioni anche queste banche si sono trasformate, hanno curato sempre più i rapporti anche con le piccole e medie imprese, non sempre con l’attenzione che le banche popolari riservano allo sviluppo e alla crescita del territorio e delle iniziative a questo collegate».
Lei è presidente dell’Associazione delle Banche Popolari, da sempre molto attiva nel valorizzare e difendere la natura cooperativa. Come vede il futuro?
«Sono convinto che le Banche Popolari debbano mantenere l’attuale forma giuridica di Società cooperativa, trovando soluzioni volte a favorire l’apporto di capitali, tanto necessari per consentire lo sviluppo degli impieghi, così come auspicato da alcuni autorevoli esponenti del nostro settore. Alcune innovazioni sono state introdotte e riguardano l’innalzamento del limite al possesso azionario sino all’1% e per le Fondazioni di origine bancaria livelli maggiori sempre che derivanti da operazioni di fusione».
Come è possibile che due Governatori abbiano approcci diversi sul tema, a distanza di pochi anni? Ci riferiamo a Draghi che applaudì e favorì la concentrazione tra banche, benedicendo nel caso di Ubi, quella anomala e difensiva tra una spa, Banca Lombarda, che abbandonava il modello per blindarsi in una cooperativa, Bpu?
«Tecnicamente l’operazione di aggregazione di Bpu (Banche Popolari Unite) e Banca Lombarda e Piemontese è avvenuta nel 2007 attraverso la fusione per l’incorporazione della seconda nella prima. Le condizioni stabilite riguardavano il mantenimento della forma giuridica di Società Cooperativa e la Sede Legale in Bergamo. L’operazione ebbe il benestare di Banca d’Italia e quindi dell’allora Governatore Draghi. Il discorso del nuovo Governatore Visco, riguarderebbe casi particolari nei quali i principi ispiratori delle Banche Popolari sono stati travisati a causa di comportamenti anomali che ne hanno minato la Governance con conseguenze gravi, anche sotto il profilo dell’autonomia e dell’indipendenza, valori assolutamente da difendere».
Le banche da popolari sono impopolari?
«Tutte le banche lo sono un po’ diventate, ma occorre partire dal presupposto che le banche amministrano il denaro altrui. L’allocazione del risparmio al sostegno alle medie e piccole imprese è nel dna, soprattutto delle banche popolari. Cinque anni di crisi hanno però segnato anche il sistema bancario, i suoi bilanci. Molti imprenditori sono stati bravi però a stare a galla, ristrutturando le aziende e aprendosi a nuovi mercati».
Avendo seguito l’ultima assemblea di Ubi, in particolare la bagarre di  alcuni soci che hanno tentato per un po’ di bloccare i lavori, non è venuto anche a Lei il pensiero: “il voto capitario è superato o da rimodulare”?
«Nell’ultima Assemblea vi è stato un momento di tensione che mi auguro non debba ripetersi. L’Assemblea è il luogo dell’incontro con i Soci, un incontro che si vorrebbe avvenisse in modo civile. La forma giuridica è ininfluente, dipende dal comportamento dei singoli, ai quali è richiesto di interloquire, ripeto, in termini civili».
Gli investitori istituzionali detengono consistenti quote del capitale sociale delle banche popolari, in Ubi anche il 30%, votano come tutti e non hanno rappresentanti in Consiglio. Non c’è qualcosa da correggere?
«Gli Investitori istituzionali, soprattutto i Fondi Pensione, svolgono una funzione importante perché, come dicevo prima, è necessario favorire la patrimonializzazione delle banche. Questi soggetti, finora, non hanno dimostrato interesse a occuparsi della gestione. Se a loro giudizio questa è conforme alle loro aspettative, manterranno l’investimento, diversamente lo dismetteranno. Da noi, ma per quanto di mia conoscenza, anche in altri Istituti non è stata avanzata richiesta di partecipazioni negli organi amministrativi. Se questo avvenisse, e se dovesse rappresentare un’utilità per la Società, e se le persone indicate fossero in possesso di requisiti di professionalità e di onorabilità, tali da costituire un arricchimento negli organi collegiali non vedo remore all’inserimento di alcuni nominativi nelle liste da presentare all’Assemblea. Le Banche Popolari hanno progredito anche perché ai vertici hanno avuto persone che si sono impegnate con onestà e passione ed hanno creduto nei principi e nei valori delle stesse. Le maggioranze e le minoranze una volta elette debbono operare tutte insieme nel superiore interesse della Banca. Quando abbiamo celebrato i 140 anni di vita della Banca Popolare di Bergamo, nel 2009, il Professor Tancredi Bianchi, a un giornalista che gli chiedeva di esprimere un giudizio sulla Banca ha detto: “È la storia di persone che hanno sempre anteposto l’interesse della Banca a qualsiasi interesse personale”. È quanto io auspico anche per il futuro».
Si metta nei panni di un imprenditore, quale peraltro lei è, e venga in banca a chiedere un prestito. Cosa farebbe?
«Porterei un progetto valido. In presenza di certi requisiti le progettualità imprenditoriali sono finanziabili. Ma non si può pensare che tutto sia meritevole di supporto. Si parla tanto di credit crunch, ma ci sono molti elementi che vanno valutati».
Che cosa salva del mondo imprenditoriale bergamasco?
«Il grande impegno, in alcuni casi lo spirito di sacrificio, la capacità di essersi rimboccati le maniche e di aver guardato avanti, ricercato nuovi mercati soprattutto, ma anche nuovi prodotti. In alcuni casi la crisi purtroppo ha mietuto qualche vittima».
Lei si sarebbe mai aspettato un periodo così duro?
«Nel 2007, quando effettuammo l’incorporazione con Banca Lombarda, forse solo qualche economista preveggente fu in grado di anticipare quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Ci ha colto quasi di sorpresa, per le dimensioni e per la durezza delle condizioni. Speriamo di intravedere la luce in fondo al tunnel».
Come vede Bergamo, adesso?
«Ci sono state importanti realizzazioni, penso allo sviluppo dell’aeroporto e a cascata il turismo e i servizi».
Orio ci porta milioni di passeggeri e intanto i pendolari attraversano i binari per prendere il treno per Milano…
«Mi auguro che questo sia un problema che trovi presto una soluzione…».
Ma non difettiamo di progettualità?
«Non direi, abbiamo alcune eccellenze: Università, ospedale e aeroporto indicano questo. Credo che anche la vita dei bergamaschi sia migliorata».
L’anno prossimo ci sono le elezioni. Che cosa si augurerebbe per Bergamo?
«Il voto è segreto! Mi auguro che la città venga retta da persone oneste e che abbiano a cuore le sorti della città».
È una risposta ecumenica! Tentorio farebbe bene a ricandidarsi?
«Tentorio ha bene amministrato, così come il suo predecessore, pur con qualche sbaglio, tipico di chi fa».
La Fondazione del Credito Bergamasco sta preparando per il 2015 la mostra di Palma il Vecchio. La Fondazione BPB cosa ipotizza di metter in campo?
«Abbiamo ristrutturato il complesso di Sant’Agostino con un impegno notevole, porta Garibaldi e ancora Astino e la chiesa del nuovo ospedale di Bergamo e dando sostegno a molti organismi. Vedremo che cosa mettere in campo».
L’anno prossimo scade anche il suo mandato come presidente della Banca Popolare? Che fa? Pensa di andare o restare?
«Vedremo cosa deciderà il Consiglio».
Prima suo padre, adesso lei, tra poco toccherà a suo figlio Matteo?
«Vedremo se saprà guadagnarsi l’apprezzamento degli organi deliberanti».
Si augurerebbe di vederlo sulla poltrona che è stata sua e prima ancora di suo padre?
«Con questa banca abbiamo un legame affettivo».
Tornasse indietro rifarebbe tutto?
«Cercherei di evitare certi errori, quelli che fanno un po’ tutti».
Qual è stato il giorno più bello, qui dentro?
«Ce ne sono stati molti, non saprei citarne uno in particolare». 
Bpb è il gioiello di Ubi…
«Abbiamo a che fare con una clientela solida, con un’imprenditoria capace e questo ci ha consentito di risentire meno della crisi».
Chi le ha dato più dispiacere Jannone o Masnaga?
«Lascio il giudizio ad altri. Passi ad un’altra domanda».
Dieci anni fa alla domanda: "C’è qualcuno in particolare che l’ha delusa?" mi rispose “Non in modo particolare”
«Anche adesso questa resta la mia risposta».
Quali sono i peccati che le inducono più indulgenza?
«Mi rifaccio a quello che dice Papa Francesco: chi siamo noi per giudicare? Dovrei pensarci».
Ritorniamo al tema della meditazione. Forse questo suo procrastinare è sintomatico. Trovarsi a tu per tu con se stessi non è facile…
«È mancata l’occasione».
In quel caso le sarà inevitabile trovarsi a tu per tu con il Padreterno. Che cosa gli chiederebbe?
«Di essere molto misericordioso nel giudicarmi».
Che cos’è per lei la misericordia?
«Bisognerebbe chiederlo di nuovo a Papa Francesco. Tutti, nella vita, abbiamo fatto degli errori, io non sono esente».
Uno sbaglio in particolare?
«Dovrei fare un bell’esame di coscienza. Le darò una risposta, dopo i due giorni meditativi».


Treviglio,
il distretto
del commercio
punta su Wi-Fi
e gruppi d’acquisto

Archiviato il deludente capitolo delle luminarie natalizie, l'attenzione ora è concentratasulla diffusione della connessione wireless tra gli esercenti e sui possibili risparmi garantiti dagli acquisti collettivi. Il presidente Ghidotti: «Strategie per dare impulso alle attività»

Sospeso per quest'anno il progetto delle luminarie natalizie a spese dei negozianti, il distretto del commercio di Treviglio rilancia mettendo in campo altre iniziative di marketing diretto: l'estensione del wi-fi in tutto il centro e i gruppi d'acquisto. “Sono strategie per promuovere e dare impulso alle attività”, commenta  Roberto Ghidotti, presidente del distretto. L'obiettivo è l'estensione della copertura territoriale per il free wi-fi città di Treviglio, vale a dire 60 metri di raggio per ogni hot spot, salvo limiti strutturali, un unico username e password per navigare nel cuore della città e non solo, oltre alla tracciabilità degli utenti.
“I commercianti potranno inviare mail o sms, che però non sono inclusi, alle persone che si sono connesse e che in questo modo hanno usufruito di un servizio aggiuntivo, sia che si tratti di propri clienti sia di visitatori che si trovano nel paese”, spiega Ghidotti. Il servizio avanzato prevede, inoltre, la possibilità di inserire tre spazi pubblicitari nella pagina di login e altrettante vetrine sul sito con offerte speciali, novità, inviti a eventi. Il costo del dispositivo è di 120 euro più spese di trasporto (9,80 euro) al momento dell’attivazione, a cui si somma il canone annuale, 120 euro, elevato a  220 per il servizio avanzato. “L'iniziativa è appena stata proposta e stiamo già raccogliendo le adesioni, nella speranza che non siano a macchia di leopardo – si augura il presidente del distretto -. Per spronare i commercianti, proponiamo condizioni vantaggiose ai primi dieci che sottoscriveranno il wi-fi entro il 31 ottobre: dispositivo gratuito e canone a 180 euro per il sistema avanzato e un contratto triennale”. Altro strumento che può facilitare la vita dei commercianti in tempo di guadagni in calo, sono i gruppi d'acquisto, già sperimentati da altri distretti che hanno ottenuto risparmi pari al 20 per cento.
“Conosciamo tutti la legge del mercato, ricavi meno spese uguale guadagno. Ma le economie di scala si fanno anche sui costi d'esercizio”. Il distretto mette a disposizione un consulente specializzato nei servizi di elettricità, gas, acqua e assicurazione. L'esperto analizzerà le bollette degli ultimi mesi, da sei a un anno, e la polizza assicurativa, cercando nel mercato soluzioni alternative meno costose. L'importo dovuto al consulente è variabile e si aggira in media sul 20 per cento del risparmio ottenuto. Anche in questo caso è previsto uno  sconto per chi aderisce entro fine mese. “Più si è, meglio è per tutti: se i commercianti sono 40 o 50  si può pagare meno. L'importante è fare squadra”, afferma Ghidotti alludendo al progetto mancato delle luminarie natalizie. “Premiare chi non ci credeva, sarebbe stato ingiusto”. Al momento della sottoscrizione delle adesioni, infatti, solo 59 commercianti hanno dato il proprio consenso su 350, contro i 113 del 2011 e gli 83 dell'anno scorso. “Il budget mancante era di 20mila euro, pertanto quest'anno la città sarà abbellita dalle luminarie comunali, molto limitate”. A pesare sulle tasche, i 150 euro richiesti, che negli anni precedenti erano 240 e 220, considerati una tassa. “È un concetto sbagliato, si tratta di un contributo in un programma annuale, che comprende aperture estive il mercoledì sera, notti bianche e altre iniziative. Se a qualcuno pesava, saremmo venuti incontro dilazionando il pagamento o chiedendolo in forma ridotta, bastava che i nostri iscritti esprimessero critiche, dando segnali di vitalità”. Il messaggio è semplice: “Abbiamo voluto dare una scossa, cerchiamo ogni strumento per combattere l'apatia, per riscoprire il valore dello stare assieme”. Al contrario, funziona la collaborazione con Promoberg, come dimostra il tutto esaurito dei Legnanesi al PalaFacchetti, sabato scorso, per il primo spettacolo della minirassegna autunnale. “Un ulteriore volano per Treviglio e le sue imprese. I commercianti ci hanno creduto, la città si è appassionata. Così si crea tessuto, si rivitalizza la piazza, si costruiscono leve importanti per lo sviluppo economico”.      


Trescore
vara il primo
“Centro
commerciale
naturale” 

Per il vicedirettore dell’Ascom, Fusini, sono due i punti focali del progetto: «La cooperazione in rete tra negozianti e il dialogo tra pubblico e privato». Il presidente dell’ACT, Pina: «Un grazie a tutti gli associati che quotidianamente danno vita a questa grande iniziativa»

La manifestazione StreeTfood, organizzata dall’Associazione Commercianti di Trescore (ACT) lo scorso 12 ottobre, è stata l’occasione per inaugurare il primo Centro Commerciale Naturale della Lombardia, un’area urbana con una propria vocazione commerciale dove più esercizi concorrono a determinare un’offerta integrata basata su un mix merceologico in grado di attrarre consumatori, cittadini o turisti. Dopo il battessimo estivo con la costituzione dell’Associazione commercianti, pensata per valorizzare il progetto strategico studiato nel Piano di Governo del Territorio, i commercianti di Trescore hanno fatto passi da giganti e in pochi mesi hanno raccolto 64 adesioni su circa 120 attività commerciali e organizzato un grande evento inaugurale per dare il via alla gestione del Centro Commerciale Naturale. Evento che ha avuto evidenti riscontri grazie alla presenza di migliaia di persone che hanno affollato la galleria commerciale naturale che da Piazza Cavour , attraversando il viale Locatelli, arriva a Piazza Dante.
Trampolieri, giochi, animazione, artisti del cioccolato e specialità culinarie hanno animato l’avvio della gestione.
Non è mancato il momento istituzionale con la premiazione del vincitore del concorso per il logo: Eleonora Patelli. Lo skyline del centro storico cittadino è rappresentato all’interno del logo con due frecce rotanti di colore giallo e rosso, rappresentativi di Trescore.
Nel nome “Il Centro” c’è tutta la voglia e la volontà di riportare in alto i valori del nucleo cittadino da sempre considerato Centro di Commercio di riferimento per tutta la Val Cavallina. Il motto “Commercio, Cultura e Turismo a Trescore”, racchiude infatti le finalità dell’iniziativa volta a valorizzare il territorio non per funzioni monotematiche ma in sinergia tra i diversi settori economici del territorio. Presenti all’inaugurazione due assessori regionali, la bergamasca Claudia Terzi, con delega all’ambiente, e Alberto Cavalli con delega al Commercio e Turismo, a testimoniare l’importanza del progetto e l’interesse degli organi regionali verso un nuovo strumento di governance pubblico/privato non ancora attivo in Regione Lombardia ma già presente in altre regioni italiane. “Il progetto Trescore – ha commentato Cavalli – rappresenta una evoluzione dei distretti del commercio, dove trovo per similitudine la cooperazione in rete tra commercianti e la collaborazione pubblico/privato. Il progetto è da considerarsi a tutti gli effetti pilota essendo il primo in Lombardia e in linea con i principi del programma elettorale della Giunta Maroni. Ricordo a tutti che uno dei primi provvedimenti di questa Giunta è stato la moratoria dei Centri Commerciali per favorire la riapertura dei negozi di vicinato nei centri cittadini. È stato fatto un grande lavoro che potrà essere replicato anche in altre realtà lombarde”.
L’assessore Terzi ha apprezzato “il coraggio politico di fare scelte forti in sede di redazione del Piano di Governo del Territorio discostandosi dai facili sistemi di progettazione tradizionale, ma utilizzando sistemi di progettazione innovativi capaci di tutelare il paesaggio e valorizzare l’identità locale del territorio”.
Il vicedirettore dell’Ascom, Oscar Fusini, nel complimentarsi su tutto il percorso fatto dagli associati, ha evidenziato i due punti focali del progetto che “sono la cooperazione in rete tra commercianti e il dialogo pubblico/privato che hanno funzionato perfettamente in questa iniziativa”. Ha ricordato poi alle Istituzioni regionali che “in Lombardia oltre ai Distretti del Commercio c’è anche il  primo  Centro Commerciale Naturale con l’augurio di vedere presto anche una regolamentazione sul tema”.
Il Sindaco di Trescore Alberto Finazzi, ha ricordato il difficile percorso di approvazione del Piano di Governo del Territorio e ha evidenziato le capacità e la determinazione dell’estensore del piano, Cosimo Caputo, che sin dalle prime analisi territoriali del 2009 ha lanciato l’idea di un modello di Town Center Management ed è stato il vero mattatore dell’iniziativa, trascinando dapprima l’Amministrazione in questa scelta e successivamente i commercianti fino a raggiungere il traguardo.
Anche il presidente dell’Associazione Commercianti  Giovanni Pina si è unito ai ringraziamenti del Sindaco all’estensore del PGT Cosimo Caputo e ha “ringraziato tutti gli associati che con determinazione danno vita quotidianamente a questa grande iniziativa”. Una citazione di merito è andata al vicesindaco Loredana Vaghi, al consigliere comunale Danny Benedetti e al responsabile della polizia locale Debora Bonzanni che con l’Associazione Igea e la Pro Loco hanno collaborato attivamente per la riuscita del progetto. Il tradizionale taglio del nastro ha visto come madrina il vicepresidente dell’associazione commercianti Raffaella Cortesi.


Scocca
l’ora
di Passeggiar
Gustando

Domenica 27 ottobre è tempo di Passeggiar Gustando, la festa del commercio e della famiglia promossa dagli alimentaristi dell’Ascom e dai panificatori dell’Aspan, che allestiscono una tavolata a cielo aperto nel cuore di Bergamo. Fissata in origine il 6 ottobre e rimandata a causa delle condizioni meteo, la manifestazione sarà sul Sentierone dalle 10.30 alle 18, offrendo la possibilità di assaggiare i prodotti ed i piatti del territorio selezionati e preparati dai negozianti.
L’iniziativa vuole infatti portare in primo piano le attività di vicinato, il loro ruolo di servizio all’interno dei centri urbani e ricordare il grande patrimonio di relazioni che i piccoli commercianti custodiscono con il proprio lavoro quotidiano. Concetti che quest’anno vengono amplificati dalla collaborazione del Distretto del Commercio che, in occasione della manifestazione, promuove l’apertura dei negozi del centro e la realizzazione di allestimenti legati dal filo conduttore del colore giallo, nell’ambito del progetto “Una luce per Expo” che ha già visto la città vestirsi di blu, verde e rosa nelle serate di “Vivi Bergamo il Giovedì”.
Per accedere alle degustazioni occorre dotarsi alla cassa dei gettoni della solidarietà (offerta minima di 5 euro per tre degustazioni con acqua, vino e pane offerti), con i quali “acquistare” le proposte che stuzzicano di più e contribuire alla raccolta fondi benefica che ogni anno caratterizza l’appuntamento. Facendo tappa dai gastronomi si potrà spaziare tra i salumi e i formaggi tipici presentati con la collaborazione dei consorzi di tutela o optare per piatti caldi, come il risotto, la zuppa di cereali e la polenta taragna. Dai macellai, immancabili le carni alla griglia, mentre chi preferisce rinfrescarsi con la frutta di stagione può rivolgersi ai fruttivendoli. I fornai Aspan sfoderano infine i loro progetti legati al territorio, la Garibalda, la Torta di Sant’Alessandro ed il pane realizzato con il grano coltivato in Bergamasca. Il tutto sarà accompagnato da musica e spettacoli per grandi e piccini, a sottolineare l’idea della festa per tutta la famiglia. La manifestazione è realizzata anche con la collaborazione della Pia Unione San Lucio, storico sodalizio tra gli alimentaristi bergamaschi che fa capo all’Ascom. In totale saranno così impegnati circa 50 operatori.
Il ricavato sarà devoluto al fondo diocesano di solidarietà Famiglia e Lavoro attraverso il fondo Ascom aperto presso la Fondazione della Comunità Bergamasca Onlus. Si tratta di un progetto della Caritas inteso come “servizio-segno” verso le famiglie che si trovano in una condizione di forte difficoltà sociale per la perdita del lavoro.


Immobili, essere agenti
ai tempi della crisi

Per guardare oltre la crisi e vincere la sfida sempre più pressante con internet, che ormai assorbe la metà delle compravendite, l’agente immobiliare deve essere meno venditore e più consulente, meno ingessato e più aperto. La difficoltà d’accesso al mutuo ha praticamente eroso il mercato della prima casa, ormai marginale, mentre le famiglie che nel frattempo si sono allargate o ristrette, spulciano gli annunci con le idee spesso confuse. La sfida per il mediatore è interpretare al meglio i bisogni dei potenziali acquirenti e raccogliere sotto lo stesso tetto  sforzi economici e investimenti emotivi. Stefano Lascar, formatore di grande esperienza e guru delle vendite – a margine del corso promosso da Ascom Formazione, con record di partecipanti dedicato alla mediazione immobiliare – invita gli agenti  alle prese con la crisi ad investire sulle relazioni e su quel  patrimonio immateriale che oggi come non mai rappresenta il vero valore aggiunto per chi opera sul mercato. A guidare gli acquisti sono sempre le emozioni anche quando si tratta di un investimento sicuro che non ha prezzo e che non può che rivalutarsi con il tempo.
Come è cambiato il mercato immobiliare negli ultimi anni?
«La crisi ha inevitabilmente ridimensionato il settore immobiliare. Il mercato della casa soffre. Nel 2006 si erano registrate 856 mila compravendite e nel 2013 i dati più recenti Nomisma ne stimano 410 mila. Nel 2006 in Italia si contavano 36-40 mila agenzie immobiliari; considerando 2 o 3 addetti ad agenzia, il settore dava lavoro a 90 mila persone. Oggi l’organico si è ridotto all’osso, con un calo del 20-30%. Oltre l’80 per cento del mercato è ormai rappresentato dal cambio casa. È ormai scomparso il cliente che acquista la casa e che già non vive in una casa di proprietà, questo perché da un lato è aumentata la percentuale di coloro che già possiedono l'abitazione, dall’altro perché è aumentata la percentuale di coloro che avrebbero difficoltà ad accedere al mutuo».
In che senso?
«Il cliente in cerca della prima casa è meno selettivo, anche perché sa che l’abitazione non sarà con forti probabilità quella definitiva e soprattutto la sua preoccupazione principale è riuscire nell’acquisto. Quando invece il cliente ha già la sua casa, cresce il peso dato a quei 50-100 mila euro in più per un’ulteriore stanza, un quartiere più vicino al luogo di lavoro o un box. Cambia completamente l’approccio al mercato immobiliare e necessariamente deve cambiare la tecnica di vendita».
Qual è l’approccio giusto in un mercato profondamente cambiato?
«Il segreto è entrare in relazione con i clienti, condividere le loro priorità, le loro questioni quotidiane. Finché la propensione all’acquisto è stata forte gli agenti immobiliari hanno potuto vivere di rendita, visto che dal 1996 al 2006 la crescita del mercato è stata costante e continua. Prima bastava mettere un cartello, ora invece bisogna entrare nella prospettiva dei clienti. Bisogna analizzare attentamente i bisogni dei clienti, approfondire quali sono le ragioni che portano a cambiare casa: dalla famiglia che si è ristretta a quella che si è allargata, ai motivi di lavoro o studio. Bisogna acquisire una maggiore sensibilità nell’analisi dell’immobile. Non  basta valutare metratura, finiture, posizione ma immaginare come ogni singolo spazio possa essere vissuto e su questo stabilire una comunicazione col cliente».
Il mediatore è sempre più un consulente?
«Quando il potenziale acquirente varca la soglia di una casa inevitabilmente immagina come potrebbe vivere ogni singola stanza. L’agente immobiliare deve guadagnare questa stessa prospettiva ed interpretare al meglio le esigenze di ognuno, valorizzando  così  gli aspetti più interessanti dell’immobile  in vendita».
Ci fa un esempio?
«La casa è uno spazio da vivere e a poco serve cercare ad esempio una terza camera se l’agente non riesce a comprendere l’uso che il potenziale acquirente ne vuole fare. Se ne vuole fare uno studio, ad esempio,  può bastare un immobile con un soggiorno molto ampio, dove ricavare lo spazio desiderato. Anche la conoscenza della composizione del nucleo familiare è fondamentale: se a casa vivono, ad esempio,  anche i suoceri una suddivisione della casa che garantisce un minimo di privacy a tutti può davvero fare la differenza. Insomma la parola d’ordine è concentrarsi sul cliente e comprenderne a fondo desideri e priorità».
Quali sono gli errori che un agente non deve commettere?
«Contrariamente a quanto si immagini non bisogna mai mettersi a cercare un immobile assolutamente rispondente a quanto il cliente afferma di desiderare. La maggior parte delle persone ha un'idea di casa ideale per molti versi diversa da quella che poi finisce per acquistare. Sono all'ordine del giorno i clienti che acquistano casa nel quartiere dove hanno sempre sostenuto che non avrebbero mai abitato e che finiscono con il rinunciare a quel box che fino ad un momento prima era tassativo. L’agente immobiliare deve sforzarsi di capire i bisogni reali del cliente, anche quelli inespressi o che il cliente stesso non si è reso conto di avere».
Chi acquista casa è quindi un consumatore immaturo?
«Impariamo a scegliere man mano che scegliamo e chiaramente la casa non si acquista ogni stagione. In media nella vita capita di acquistare due, tre, quattro volte al massimo casa ed è anche per questo che molto spesso chi cerca casa appare davvero incerto.  L'offerta di immobili, ormai spaventosa, non fa che disorientare ancora di più i potenziali acquirenti. In questa prospettiva il ruolo di un agente immobiliare diventa essenziale».
Internet raddoppia i problemi?
«Oltre il 50% delle compravendite avviene fuori dalle agenzie immobiliari. Internet rappresenta una vera sfida da vincere: prima del web il rischio che acquirente e venditore si accordassero senza l’intervento di un agente immobiliare era già forte, ma ora, con internet, questo rischio è aumentato a dismisura».
Il boom di internet e compravendite  tra privati è figlio della crisi o anche gli agenti hanno le loro colpe?
«L’immagine dell’agente immobiliare non è al top della popolarità e purtroppo anche i mediatori hanno la loro parte di colpa. Il mercato negli anni d’oro ha attratto anche figure non sempre professionali, spesso tanti improvvisati e anche qualche venditore spregiudicato, per alcuni l’etica purtroppo non rappresentava una priorità. La crisi ed una maggiore qualificazione hanno portato negli ultimi anni ad una maggiore professionalità. È tramontata l’era del venditore d’assalto  aggressivo che non si poneva scrupoli a fare le scarpe al collega. L’intervento del legislatore ha portato ad una maggiore professionalità: le conoscenze tecniche sono orami più che assodate, con la crisi può essere d’aiuto estendere il proprio orizzonte cognitivo».
Il corso si è concentrato anche su stile abitativo e tratto architettonico.
«Ogni epoca, ogni classe sociale ed ogni gruppo etnico ha un modo diverso di vivere la casa. Fino all’Ottocento le stanze erano spazi da interpretare, oggi ormai corrispondono a funzioni: la stanza nasce come camera da letto con interruttori già posizionati e cucina e bagno hanno allacci predefiniti. Ma quando il tratto architettonico non corrisponde allo stile abitativo di chi vive la casa, allora diventa un contenitore vuoto senza significato. Emblematico in tal senso l’esempio riportato da Umberto Eco ne “La struttura assente”: nelle case popolari  del Sud destinate  nel secondo dopoguerra a mezzadri e lavoratori il bagno veniva utilizzato per lavare le olive, perché quello era secondo loro – in relazione al proprio stile abitativo – l’uso del misterioso sanitario».


Expo, a Bergamo
i delegati di 70 Paesi

L’Expo è alle porte e Bergamo l’ accoglie in Fiera, ospitando dal 29 al 31 gennaio, 350 delegati da oltre 70 Paesi. La nostra sarà la prima provincia ad ospitare i rappresentanti di tutte le nove aree tematiche o cluster, gli spazi espositivi innovativi che interpretano in un progetto architettonico un tema centrale, condiviso da tutti i Paesi partecipanti. I Cluster – Riso, Cacao, Caffè, Cereali e Tuberi, Frutta e Legumi, Spezie, BioMediterraneum, Isole, Mare e Cibo, Agricoltura e Nutrizione in Zone Aride – romperanno per la prima volta nella lunga storia dell’Esposizione Universale  l’organizzazione per padiglioni, abbracciando la globalizzazione in una logica di filiera e rete. L’Esposizione è da sempre l’occasione per intessere relazioni commerciali e Bergamo ha tre giorni di tempo per interpretare le esigenze di ogni delegazione che trascorrerà almeno sei mesi nell’area di Milano. Con l’invasione di oltre 20 milioni di visitatori attesi e quasi 5 mila addetti all’organizzazione nei sei mesi precedenti il taglio del nastro dell’Expo, la Madunina sembrerà davvero a due passi, Rho dietro l’angolo e Bergamo e la nostra provincia un’ottima base logistica. Nei primi due giorni dovremo conquistare con la bellezza del territorio e prendere per la gola i delegati con i nostri prodotti tipici, ma il terzo giorno sarà tutto per le nostre imprese e la nostra proverbiale capacità di organizzare, lavorare e smuovere montagne a suon di sacrifici. L’Expo è una vetrina per il territorio e per le nostre imprese, tocca solo accendere i riflettori sulle nostre eccellenze e puntare i fari sulle produzioni meno note, ma che possono rivelarsi fondamentali .“La scelta della nostra città per questo importante appuntamento che per la prima volta vede tutti i Paesi riuniti nella stessa sede – ha commentato il presidente della Camera di Commercio Paolo Malvestiti – rappresenta una straordinaria occasione per promuovere Bergamo, il suo territorio, la sua realtà economica e imprenditoriale su scala internazionale. Dai primi contatti avuti abbiamo verificato come le nostre imprese abbiano davvero molto da offrire a queste nazioni". Il sottosegretario alle politiche agricole, forestali e alimentari con delega ad Expo, Maurizio Martina ha indicato nell’incontro di fine gennaio un primo banco di prova per le imprese e l’accoglienza: "La piattaforma bergamasca è fondamentale per la connessione ad Expo. E' l'occasione per raccontare il territorio e portare avanti obiettivi precisi, supportando la partecipazione all'Esposizione nei sei mesi che precedono l'evento". E' ora di costruire infrastrutture relazionali perché  l'Expo non può essere solo legata a grandi opere e solo all’area milanese, che aprì il nuovo secolo, nel 1906 con l’Esposizione universale dedicata ai trasporti. Il tema valorizza questa volta un comparto vitale e innovativo italiano come quello alimentare. “Abbiamo avuto mesi in cui è stato davvero difficile lavorare visto che è stata messa in dubbio più volte la capacità italiana di affrontare l’Expo – continua Martina -. L’Expo è un’occasione per modernizzare il territorio e non solo a livello di infrastrutture, anche perché l’Italia nel settore agroalimentare ha costruito molto di più e anche meglio. Non resta che rafforzare la consapevolezza sulla natura e la portata dell’evento perché sarà il cibo aa rideterminare i rapporti di forza tra i sistemi territoriali nel prossimo futuro. Bergamo deve arrivare a questo appuntamento con obiettivi precisi e ben definiti, si deve presentare come territorio forte capace di mettere in mostra le potenzialità strategiche di cui dispone”. Stefano Gatti, direttore generale Participiants Division di Expo 2015 ha sottolineato come Bergamo possa contribuire a disegnare l’Expo se riuscirà a sfruttare al meglio questa opportunità: “L’obiettivo è mettere a punto i dettagli tecnici per allestire le nove aree tematiche, offrendo un supporto anche logistico. A Bergamo è stato affidato a gennaio il compito più complesso perché l’incontro è con tutti i nove cluster. Anche per questo abbiamo un fitto calendario di incontri settimanali per organizzare nel dettaglio questi tre giorni. Finora gli incontri sul territorio hanno dato riscontri positivi: Trieste, capitale italiana del caffè, sarà la base logistica per il caffè proveniente da tutto il mondo, Palermo ha siglato un accordo per la fornitura dei migliori ingredienti base della dieta mediterranea per il cluster Biomediterraneum. Bergamo può intessere importanti relazioni con la sua vocazione produttiva dall’area del Maghreb ai Balcani fino al Sud est asiatico”.  Il primo incontro con l’Esposizione Universale per Bergamo vede al lavoro sotto la cabina di regia della Camera di Commercio le associazioni di categoria, Comune, Provincia, Turismo Bergamo, Università e Diocesi. “Siamo certi di fare bene e di valorizzare al meglio il nostro territorio e le sue imprese, anche perché ci stiamo preparando da tempo all’Expo, grazie all’impegno di Comune, Provincia, Ente camerale e delle principali istituzioni – assicura Matteo Zanetti, vicepresidente della Camera di Commercio e di Confindustria con delega all’Expo -. Un portale dedicato all’accoglienza, con una sezione dedicata alle imprese, agli eventi e agli itinerari turistici e culturali sarà la vetrina del territorio, fortemente voluta dalla Camera. Le associazioni dovranno valorizzare le aziende che meglio rispondono alle esigenze riportate dalle delegazioni. L’obiettivo è potenziare la nostra imprenditorialità e acquisire attraverso nuove commesse nuovi mercati”.


Albergatori, col web
non si scherza

Gestire la propria reputazione online e imparare a rispondere alle recensioni dei visitatori è un’occasione da cogliere per gli albergatori bergamaschi. Le opinioni che compaiono sui social network o su Tripadvisor, infatti, non vanno viste come una minaccia, bensì come un’opportunità per rilevare eventuali punti di debolezza su cui lavorare per migliorare. Sono queste le basi da cui Vittorio Deotto (nella foto), responsabile sviluppo di Res Hospitality Business Developers, è partito per illustrare ai gestori orobici come acquistare credibilità agli occhi della clientela. Lo ha fatto attraverso due corsi organizzati in questi giorni da Bergamo Sviluppo, in collaborazione con Ascom, Confesercenti, PromoSerio, Comunità Valle Brembana e Valle Seriana. 

«L’operatore turistico deve imparare
a riconoscere i propri difetti per migliorarsi»

Agenzie di viaggi, cataloghi illustrati o pubblicità televisive sono roba d’altri tempi. Oggi per prenotare le proprie vacanze in Bergamasca, 8 turisti su 10 ricorrono alla rete e il 90% si fida delle opinioni dei blogger. È sul web, infatti, che le informazioni corrono veloci e dove è possibile soddisfare ogni desiderio con un click a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il sito di recensioni di viaggio più gettonato resta Tripadvisor, ma anche i social network appaiono come uno strumento ideale per verificare se la propria aspettativa di vacanza potrà essere soddisfatta dall’hotel che offre un prezzo conveniente o una proposta interessante. Sebbene alcuni albergatori orobici temano ancora internet, convinti che la maggior parte delle recensioni siano inventante da qualche concorrente per metterli in cattiva luce, parecchi hanno capito, al contrario, quanto sia fondamentale impegnarsi nel promuovere e difendere la propria reputazione telematica. Ma farlo nel modo giusto non è facile come sembra. “Una buona reputazione non fa solo dormire sonni tranquilli ma influisce positivamente anche sul fatturato di un hotel – dice Vittorio Deotto, responsabile sviluppo di Res Hospitality Business Developers -. Ricordiamoci però che ogni reputazione ha un punto debole. L’albergatore deve imparare a riconosce i propri difetti per migliorarsi. Oggi, in pratica, bisogna trasformare i propri clienti in fans. Se prima con la pubblicità televisiva si parlava di target, adesso ci sono le tribù dei social network. Tutti dovrebbero avere una pagina su Facebook per attirare la clientela. Se non costruisci la tua comunità, altri lo faranno”. Insomma, nell’era digitale gli spettatori passivi si sono trasformati in soggetti attivi che interagendo in prima persona con foto, commenti e opinioni, giocano un ruolo chiave nel determinare il successo di un’azienda. “Gli utenti ormai accedono direttamente alle informazioni, sostituendosi di fatto alle compassate comunicazioni istituzionali – prosegue Deotto -. La fiducia oggi si guadagna senza finzioni e sovrastrutture, ciascuno deve imparare a relazionarsi con il pubblico che non dà scampo, perché attraverso la conversazione può favorire o meno il nostro operato e il prodotto che offriamo”. Secondo l’analisi effettuata dal Res, la reputazione on line di Bergamo è ottima. La nostra città è infatti al primo posto a livello europeo davanti a capitali famose come Valencia, Vienna, Zurigo e Barcellona. Stesso primato anche su scala nazionale dove il territorio orobico batte Taormina, Bologna e addirittura Venezia. L’indagine è stata fatta seguendo parametri come la cortesia (94 punti), la pulizia delle camere (89), la posizione (86), l’atmosfera (80), i letti (76), la colazione (74), il prezzo (73). Restano invece ancora un po’ lacunosi, per gli hotel bergamaschi, aspetti come l’insonorizzazione (65 punti), internet (56) e la manutenzione (51). Da inizio 2013 il tasso di occupazione delle camere negli alberghi orobici è stato del 65,6% durante i giorni infrasettimanali (contro il 65,1 dello scorso anno) e del 59,7 nei weekend (con una lieve flessione rispetto al 60,4% del 2012). Il prezzo medio di vendita a camera, al netto di Iva e colazione, è di 84 euro durante la settimana (contro gli 87 del 2012) e 79 euro nel weekend (contro gli 83 dell’anno scorso). “Bergamo ha una tariffa media giornaliera negativa rispetto alle altre città italiane – osserva Deotto -, il ricavo medio per camera potrebbe infatti essere molto più alto. Nonostante la flessione dei prezzi, si nota però che il tasso di occupazione si è abbassato. Questo significa che non è il prezzo stracciato a portare più clienti ma la cura offerta nel servizio. Bisogna però comunicare con il cliente. Mettere una mail per contatti sul proprio sito con la scritta “Vi risponderemo il prima possibile” non va bene in questi tempi dove tutto corre veloce, è vecchio. Il turista deve avere la possibilità immediata di verificare le disponibilità di stanze e di prenotare, altrimenti si rivolgerà altrove”.
Per consentire agli alberghi della provincia di tenersi al passo dei tempi, la Camera di commercio di Bergamo ha lanciato il progetto Barometro alberghiero, un sistema di analisi per monitorare i concorrenti e reagire tempestivamente ai cambiamenti. “È uno strumento importante – ha detto Andrea Locati, Capo servizio promozione interna dell’ente camerale – per affrontare le sfide del mercato grazie a una gestione consapevole. Alle strutture è chiesto di inserire ogni giorno in un sistema informatico i dati relativi al prezzo medio, occupazione e ricavo medio per camera disponibile, il tutto in forma gratuita e anonima. Grazie a questa analisi il gestore conserva una visione d’insieme degli ultimi 18 mesi che gli dà la possibilità di analizzare la domanda e di pianificare sul breve, medio e lungo periodo”.

«La mossa vincente è rispondere
sempre alle recensioni negative»

Secondo le attuali valutazioni relative agli alberghi di Bergamo raccolte su Tripadvisor, i turisti incoronano come miglior hotel il Petronilla di via San Lazzaro. Seguono la Valletta Relais di Via Castagneta, l’Hotel San Lorenzo di piazza Mascheroni, il GombitHotel di via Mario Lupo e il BergHotel di via Per Azzano San Paolo. Molti albergatori, e non solo, si chiedono però quanto queste recensioni siano attendibili e puntano il dito sulle modalità che consentono al turista di inserire commenti e foto a piacimento su Tripadvisor. Basti pensare che nella top 5 degli hotel presenti in città ci sono strutture con meno di sei commenti che si piazzano davanti ad alberghi con centinaia di recensioni in più. Questo implica che poche opinioni positive bastano a determinare l’esito delle graduatorie. Inoltre Tripadvisor offre anche ai diretti interessati un’ampia gamma di contenuti, opportunità di marketing e soluzioni promozionali che incentivano le prenotazioni online. Una strategia che, però, non è condivisa da tutti gli albergatori orobici che preferirebbero un servizio super partes. “In un simile contesto, imparare a rispondere alle recensioni che si leggono online deve diventare per il gestore di un albergo una priorità – precisa Vittorio Deotto, responsabile sviluppo di Res Hospitality Business Developers -. La velocità della rete permette a chiunque di esprimere le proprie opinioni, in lunghi articoli o in 140 caratteri, con cui far sentire la propria voce senza filtri. Le informazioni su Internet non possono essere governate e quindi la propria presenza sul web va programmata, studiata e gestita. La parola d’ordine è monitorare. Sicuramente è utile conoscere chi parla di noi e soprattutto cosa scrive e pensa di noi. Diventa quindi sempre più importante sapere quale è la percezione che, dall’esterno, si ha di noi dei nostri servizi”. L’albergatore deve quindi imparare a gestire la conversazione online, diventando attivo e non restando passivo. Deve rispondere prontamente alle domande e amministrare correttamente eventuali contenuti negativi. Prima di farlo, però, deve imparare a leggere le recensioni recenti, scoprire il punteggio che i viaggiatori hanno assegnato alla sua struttura in base a parametri come il servizio, la pulizia, l’ubicazione, e confrontare questo rendimento con la concorrenza. A questo punto il gestore può prepararsi a controbattere. Statisticamente i turisti sono più propensi a prenotare un hotel che replica alle recensioni rispetto a uno simile che non risponde ai viaggiatori. La replica, però, non può essere standard ma dev’essere personalizzata e circostanziata. È buona norma ringraziare per la recensione positiva e approfondire e contestualizzare la risposta nel caso di una segnalazione negativa, magari scusandosi per il disservizio riscontrato. Quando l’albergatore riceve un commento che, a suo dire, è ingiusto, è necessario controbattere e fornire spiegazioni concrete proprio per dimostrare l’infondatezza di tali affermazioni. Questo contribuirà a creare un’immagine seria e affidabile della struttura e, nel contempo, a sminuire il valore di una recensione negativa. È bene evitare, invece, di dare giudizi sul cliente o criticarne il comportamento: sollevare polemiche non giova alla struttura e allontana potenziali turisti. Insomma, non esiste un modo universalmente corretto di rispondere alla recensioni, quello che conta è mantenere un tono professionale e cortese. “Subire un commento negativo significa ‘Andiamo avanti così, continuiamo a farci del male’ – conclude Deotto -. Quando il profilo di una struttura è costantemente seguito dal suo direttore è molto più vincente di un profilo lasciato all’autogestione. Il mio consiglio è quello di rispondere sempre a tutti, ma se non si ha il tempo di farlo è bene controbattere almeno ai commenti negativi che sono quelli che creano più partecipazione emotiva. L’immagine dell’albergo ci guadagnerà sicuramente”. 


Bergamo Sviluppo prende casa al Point
«Potenziato il sostegno all’innovazione»

«Non è solo la giornata inaugurale del nuovo insediamento, è un’apertura in tutti i sensi, la volontà di dare vita ad una collaborazione fattiva con tutta la comunità». Il presidente di Bergamo Sviluppo Angelo Carrara sintetizza così il valore della nuova sede operativa dell’azienda speciale della Camera di Commercio all’interno del Point di Dalmine, un spazio dedicato – che occupa l’edificio 1B del complesso – che permette di aumentare e potenziare le iniziative per la promozione dell’innovazione tecnologica. «Con la nascita di Bergamo Sviluppo – ha ricordato – si sono ampliate le mission dell’azienda speciale, affiancando alla formazione, all’orientamento e alla creazione d’impresa i temi sempre più strategici dell’internazionalizzazione e dell’innovazione. L’obiettivo è promuovere uno sviluppo diffuso – ha sottolineato –. I casi singoli di realtà eccellenti non sono sufficienti, “sono locomotive che trainano vagoni frenati”, per usare un’espressione del rettore dell’Università di Bergamo, il solo modo per assicurare competitività al territorio è puntare ad una diffusione capillare della cultura dell’innovazione. Il Point è una delle eccellenze di Bergamo, ma purtroppo quasi nessuno sa che esistiamo – ammette -. Sino ad ora non siamo stati capaci di contaminare in modo positivo il tessuto imprenditoriale, con la nuova sede e i servizi contiamo di aprire questo dialogo».
La nuova struttura ospiterà, in particolare, l’Incubatore 2020, un’evoluzione dell’Incubatore d’impresa avviato nel 2001 che ha sinora accompagnato 110 idee imprenditoriali, in prevalenza nei settori del commercio e dei servizi. La nuova annualità vedrà trasferite a Dalmine le attività attualmente ospitate a Brembate Sopra (il nuovo bando di partecipazione è in fase di definizione), cui si affiancherà una nuova sezione (destinataria di un bando apposito) dedicata al manifatturiero con la possibilità di allestire dei laboratori.
«L’Incubatore 2020 – ha ricordato il direttore di Bergamo Sviluppo Cristiano Arrigoni – vuole porsi come uno “strumento di facilitazione dell’innovazione”, per supportare sia le start-up sia le imprese già attive nell’implementazione di processi di innovazione produttiva e tecnologica». Le start-up potranno contare su spazi attrezzati e su un sistema di servizi personalizzati di assistenza, formazione e consulenza per la progettazione e l’avvio dell’attività imprenditoriale, «ma anche tutte le imprese del territorio bergamasco – tiene a precisare Arrigoni – potranno rivolgersi al Point per trovare, anche attraverso servizi a sportello, supporto su tematiche specifiche per innovarsi e competere con maggiore slancio sui mercati di riferimento». Più in generale, Bergamo Sviluppo si pone come raccordo tra il sistema delle imprese e il mondo della ricerca e come animatore della propensione all’innovazione, anche attraverso incontri, seminari e interventi formativi avanzati. Strategico è anche il confronto con gli altri centri di ricerca, «creando nuove partnership e rafforzando quelle già in essere».
Sulla localizzazione si è soffermata Maria Teresa Azzola, consigliere con delega all’Innovazione di Bergamo Sviluppo. «Il parco scientifico in così stretta vicinanza con l’Università dà vita ad un unicum importante, l’opportunità di creare collaborazioni tra produzione e ricerca. Nostro compito è fare incontrare questi due poli, chiedendo al mondo accademico di tradurre la conoscenza in linguaggi più immediati ed applicabili e agli imprenditori l’impegnativa sfida di affacciarsi su un mondo nuovo, che richiede di mettere in campo risorse non solo economiche, ma anche intellettuali e personali. Un percorso che consentirà di dare valore all’intangibile, di fare emergere e mettere a bilancio il know how delle piccole e medie imprese, che sono l’ossatura dell’economia bergamasca e l’oggetto delle nostre attenzioni».