Quando al 20 aprile manca poco più di un mese, discreta è la confusione sotto il cielo (societario) di Ubi. Il rinnovo dei vertici di questo che, è meglio ricordarlo subito sorvolando, o per meglio dire, volando sopra e più alti, sul dual provincialismo bergamasco-bresciano che lo lacera, è il quarto gruppo bancario italiano, è stato preannunciato con un valzer di nomi e liste che si susseguono da mesi. Un tourbillon di ipotesi e di assetti più o meno affascinanti che ormai è destinato ad un "redde rationem", in considerazione della scadenza del 25 marzo, ultimo termine per la presentazione delle compagini in lizza. Quella che si preannuncia la madre di tutte le assemblee, anche in termini numerici (sicuramente alla Fiera di Bergamo si viaggerà su numeri tripli se non quadrupli rispetto alle precedenti assemblee con implementazioni logistiche ed organizzative di rilievo) segnerà il tramonto dell’ “era Zanetti”, epocale sotto molti punti di vista. In realtà, l’epoca di questo (galant’) uomo ultraottanenne, incarnazione di una bergamaschità schiva e pragmatica e il cui morale negli ultimi tempi è stato minato e sfiduciato da inaspettate incursioni associativo-azionistiche, è finita già da un paio di anni. L’annuncio del suo passo indietro, arrivato con troppi mesi d'anticipo unito alla scomparsa, lo scorso dicembre, di Corrado Faissola, ha di fatto liberato le diverse anime campanilistiche bergamasche impegnate in una sorta di crociata contro il "nemico". Nemico che, se prima era stato individuato nell’arrembante Giorgio Jannone (da sempre dichiaratosi molto “spa” e poco “cooperativo”, salvo ripensamenti dell’ultima ora che lo hanno portato a dichiarare come la trasformazione in Spa di Ubi “non è all’ordine del giorno, né ora né in futuro”), si è infine concretizzato nella compattezza del gruppo ex Banca Lombarda, mai digerito all’interno di Banca Popolare di Bergamo. Un passo indietro. Nell’autunno del 2006, “il professor” Bazoli si accosta al tavolo di Banche Popolari Unite con l’obiettivo noto ai mercati e alla Banca d’Italia di sfuggire ai tentacoli del Santander. Gli spagnoli, per la Banca Lombarda (divenuta anche Piemontese) sono disposti a scucire un bel po’ di soldi (anche 20 euro per azione) money che attira non poco il composito patto di sindacato bresciano che regge l’istituto. Bazoli pur di non farsi sfilare la “creatura”dagli stranieri strappa, in quattro e quattr’otto, il consenso a Zanetti (assistito da quel Gianpiero Auletta Armenise che nel 2003 aveva già fatto confluire nella Popolare di Bergamo, la Commercio Industria). La trasformazione, da spa a cooperativa, per i pattisti bresciani attirati dalle sirene spagnole non è indolore: grossi pacchetti azionari vengono di colpo equiparati al singolo voto del socio pensionato dell' ormai ex Popolare. Con sedici voti contrari e nove astenuti la fusione viene, comunque, approvata a larghissima maggioranza. Un matrimonio di interesse (principalmente bresciano, o meglio bazoliano) di una coppia mal assortita, che fa nascere Ubi con il presidente dell’Abi, Faissola e il “professor Bazoli” nelle vesti di quelli che in Sicilia sono chiamati “paraninfi", procacciatori di unioni matrimoniali oltre che maestri di tecniche bancarie. Dal 2008 ad oggi, la liaison tra i due "coniugi" ha dovuto fare i conti con una crisi che, senza precedenti, ha minato nella fondamenta il sistema bancario anche italiano e, segnatamente in Ubi, con una base sociale e societaria che, sfrangiatasi dalla compattezza del 2007 all’atto della fusione, è confluita in una mezza dozzina di rivoli di associazioni di azionisti, portatrici più che di istanze a sostegno, di un diffusissimo malcontento, tra cui quello non di poco conto dei dipendenti. Maggiormente sugli scudi, anche grazie ad una aggressiva campagna pubblicitario-promozionale a suon di inserzioni e di cartelloni, si è rivelata l’Associazione Azionisti di Ubi, capitanata da Giorgio Jannone che, bruciando tutti, lo scorso 7 marzo ha scoperto le carte. Ventitrè nomi variamente assortiti e distribuiti sul risiko bancario di Ubi su cui spicca Piero Bertolotto, già presidente della Banca regionale europea, sfiduciato dalla Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo, che detiene un discreto malloppo pari al 2,230% del capitale di Ubi. Nella compagine figurano anche nomi di ex dipendenti del gruppo Ubi, le cui sorti lavorative e professionali sono sfociate in contenziosi contro Ubi. Un grande “boh” aleggia sulla lista che, brandendo lancia in resta la fondante idea cooperativistica della Banca Popolare delle origini, dovrebbe costituire la “terza via”, tra quella istituzionale di continuità, capeggiata da Andrea Moltrasio (attesi i nomi per la prossima settimana) e gli Azionisti di Ubi di Jannone. Il condizionale è d’obbligo perché, malgrado l’assertiva attività di promozione dell’ex dipendente Bonaldi, in continua spola tra il Sentierone e la Val Seriana, l’adesione di Bendotti (Fai), oltre che l’opera di proselitismo di alcuni sostenitori convinti (che si sono dati un gran daffare per racimolare nei mesi scorsi nuovi soci) ha trovato un grande scoglio nel reperimento del capolista. Malgrado sia stato fatto il suo nome, l'ex parlamentare Savino Pezzotta non è mai stato della partita, come invece il rettore dell’Università Paleari, che – pare molto soffertamente – ha traccheggiato fino alla fine di febbraio, salvo poi farsi da parte definitivamente, non senza lasciare la compagine in ambasce. Dai primi di marzo è dunque caccia al capolista, pedina fondamentale su cui poggia gran parte del castello sostenuto, anche non troppo velatamente, da alcuni manager di Banca Popolare di Bergamo che intendono lavare l’onta di una Popolare ridotta al ruolo di Cenerentola al gran ballo, con iniziative non prive di personalismi e rivendicazioni che rendono il clima all’interno della banca al calor bianco. A questo punto, l’ipotesi che sta prendendo più piede, nella terza lista, è quella di un professore universitario di area milanese, personaggio di alto profilo che dovrebbe decidere nelle prossime ore se accettare o meno il ruolo di capolista. L’alternativa è quella di una soluzione interna con Giuseppe Guerini. L’uomo in questione, cooperativistico fino al midollo e attualmente presidente pro-tempore di Imprese & Territorio, dovrebbe sciogliere la riserva entro lunedì 11 marzo. Negli ambienti associativi bergamaschi era attesa una “lettera d’intenti” dell’ex direttore dell’Eco, Ettore Ongis che, il prossimo venerdì a Vertova, alla casa di riposo, affiancherà, in qualità di portavoce del “Comitato Bergamo Popolare”, Angelo Ondei. Mossa a sorpresa in un Paese dove un partito, come un comitato, non si nega a nessuno esattamente come un piatto di risotto dell’atteso catering di Vittorio, il vero must delle assemblee di Ubi cui daranno la caccia centinaia di soci. Per loro, come per gli italiani del 1500, il problema della scelta non sarà così stringente. Moltrasio o Jannone o chissà chi altro varranno quanto il detto “Franza o Spagna purché se magna”.